Lavaggio bronco-alveolare (BAL) nel cane e nel gatto

Il lavaggio bronco – alveolare (BAL) è un campionamento strumentale che consente di raccogliere materiale dalle vie respiratorie profonde ed è indicato in presenza di una patologia polmonare diffusa alveolare e/o interstiziale precedentemente evidenziata tramite esame radiografico e/o tomografico (Andreasen CB, 2003).

Il paziente viene contenuto in anestesia generale, l’esame broncoscopico indica la sede più adatta al prelievo. Questo si effettua mediante un catetere sterile di adeguata lunghezza inserito nel canale operatore del broncoscopio ed introdotto nel lume del bronco oggetto del prelievo. Il materiale cellulare, fisiologico e/o patologico delle vie respiratorie viene raccolto per via indiretta (lavaggio) (Andreasen CB, 2003).

Il lavaggio si effettua mediante l’introduzione nell’albero respiratorio di soluzione fisiologica tiepida in quantità differenti sulla base delle dimensioni del paziente e sul suo immediato recupero (15-30% del liquido inizialmente introdotto). Considerando che il prelievo viene effettuato in anestesia generale, raccogliere contestualmente un campione per la batteriologia, consente nel caso di sospetta flogosi batterica, di effettuare un esame colturale.

I liquidi ottenuti per il lavaggio sono molto acquosi, difficilmente fissabili all’aria e scarsamente cellulari. Pertanto, il liquido prelevato deve essere conservato refrigerato e inviato al laboratorio per la processazione entro brevissimo tempo (1-2 ore) (Nafe LA et al. 2011; Curran M et al. 2020).

Nel caso non sia possibile far pervenire immediatamente il campione in laboratorio, devono essere allestiti dei vetrini del sedimento in questo modo:

  • centrifugare ad un numero basso di giri il campione;
  • eliminare quasi completamente il surnatante;
  • aspirare il pellet sul fondo della provetta con una pipettatrice e depositarne una piccola quantità (2-3 microlitri) su vetrino;
  • strisciare il materiale utilizzando la tecnica di strisciamento utilizzata per gli strisci ematici;
  • asciugare molto rapidamente.

E’ opportuno inviare in ogni caso in laboratorio parte del campione in provetta K3EDTA unitamente agli strisci preparati. Nel caso in cui debba essere richiesto anche l’esame colturale, una parte del campione deve essere lasciato in siringa o in caso di trasporto prolungato messo in terreno di trasporto idoneo.

In condizioni normali i campioni citologici delle vie aeree profonde prelevati per BAL sono caratterizzati da cellularità moderata/scarsa e costituiti da muco, cellule dell’epitelio respiratorio, cellule infiammatorie (es. macrofagi alveolari). Le cellule dell’epitelio respiratorio sono rappresentate da cellule da colonnari a cuboidali (talvolta ciliate); cellule alveolari cilindriche con nucleo rotondo/ovale e citoplasma debolmente blu; cellule mucipare di forma cilindrica contenenti granuli di mucina citoplasmatici rotondeggianti da rosa a violetto. In alcuni casi i granuli di mucina distendono talmente il citoplasma da conferire alla cellula una forma rotondeggiante (“goblet cells”) (Figura 1).

Il muco presente sul fondo del vetrino può essere granulare di colore blu-violetto o filamentoso, talvolta addensato a formare le “spirali di Curschmann”, di colore violetto e di aspetto simile ad uno scovolino (Figura 2). Le spirali di Curschmann si possono riscontrare in pazienti con eccessiva e cronica produzione di muco e può indicare ostruzione bronchiolare.

I processi infiammatori di maggiore interesse sono di tipo neutrofilico, macrofagico, eosinofilico, linfocitario o misto.

Le flogosi neutrofiliche o purulente sono acute e generalmente ad eziologia batterica. Poiché il mancato riscontro di aspetti degenerativi dei neutrofili e l’assenza di batteri non consentono di escludere una patologia batterica, è fortemente consigliato eseguire anche un esame batteriologico, soprattutto in presenza di flogosi neutrofilica.

Le polmoniti batteriche sono generalmente caratterizzate dalla presenza di granulociti neutrofili con aspetti degenerativi e batteri fagocitati. Una comune infezione polmonare batterica è data da Bordetella bronchiseptica, citologicamente è possibile il riscontro dei coccobacilli pleomorfi aderenti alle cilia delle cellule dell’epitelio respiratorio (Canonne AM et al., 2016).

Nel cane i batteri più comunemente isolati oltre a Bordetella bronchispetica,  sono Mycoplasma, Pasteurella, Enterobcteriaceae e batteri anaerobi (Bacteroides/Prevotella, Preptostreptococcus anaerobius, Porphynomonas spp., Propionobacterius spp., Clostridium spp., Fusobacterium) (Johnson LR et al., 2013).

E’ frequente il riscontro in condizioni normali di batteri contaminanti. La distinzione fra un contaminante e un patogeno viene fatta sulla base dell’assenza di sintomatologia e mancanza di un quadro citologico flogistico associato, oltre che in base alla specie di batterio che viene isolato.

Numerosi sono i virus che possono causare infezioni delle vie respiratorie profonde nel cane e nel gatto. Tra questi adenovirus tipo 2 (CAV-2), herpesvirus del cane (CHV), parainfluenza virus del cane (CPiV), influenza virus del cane (CIV), coronavirus respiratorio del cane (CRCoV), pneumovirus del cane (CnPnV) e calicivirus nel gatto.

Il quadro citologico associato a una infezione virale è aspecifico, spesso caratterizzato dalla presenza di granulociti neutrofili non degenerati. Possibile un aumento del numero di linfociti presenti.

L’infezione virale è frequentemente associata a infezioni batteriche secondarie.

Nel cane viene identificato un complesso delle infezioni respiratorie che può includere varie associazioni fra i virus e i batteri sopra elencati (Day MJ et al., 2020).

Per l’esame batteriologico una parte del campione deve essere lasciato in siringa o in caso di trasporto prolungato va utilizzato un tampone che, dopo essere stato bagnato nel liquido di lavaggio, va inserito nel terreno di trasporto idoneo. Una volta effettuato il prelievo, il tampone va mantenuto a temperatura ambiente e deve giungere in laboratorio contestualmente al liquido. Eventuali terapie antibiotiche devono essere sospese almeno 3-5 giorni prima del prelievo.

Se l’anamnesi e il quadro clinico-patologico fanno sospettare una specifica infezione virale è possibile utilizzare la biologia molecolare (PCR). Questa metodica può essere utilizzata anche per l’identificazione di Bordetella bronchispetica (Canonne AM et al., 2016), in presenza di un sospetto clinico-patologico specifico, a fronte di un esame microbiologico colturale negativo. Per la PCR si può inviare parte del liquido in provetta con K3EDTA ed è possibile conservare il campione fino a 7 giorni refrigerato.

Numerose forme micotiche e protozoarie possono svilupparsi nel contesto del parenchima polmonare. Tra le forme micotiche ritroviamo Cryptococcus neoformans, Histoplasma capsulatum, Aspergillus spp, Blastomyces, Coccidioides spp., Pneumocystis carinii e altri funghi opportunisti (Andreasen CB, 2003). Cryptococcus neoformans è più comunemente riscontrabile negli essudati nasali, particolarmente nel gatto, ma è comunque possibile una infezione polmonare che può essere evidenziata nel BAL.

Anche Aspergillus spp è di più comune riscontro a livello nasale che polmonare. Nel pastore tedesco è descritta una aspergillosi sistemica che può essere caratterizzata da un diffuso coinvolgimento polmonare, probabilmente dovuta ad immunodeficienza ereditaria (Andreasen CB, 2003).

Histoplasma capsulatum, Blastomyces, Coccidioides spp. sono funghi che possono dare infezioni polmonari e essere riscontrati nei BAL. Hanno una bassa incidenza in Europa e sono generalmente casi “importati” (Lloret A et al., 2013). Pneumocystis carinii è un fungo patogeno opportunistico, che può essere riscontrato nei BAL sia nella forma cistica (struttura rotondeggiante di 5-10 µm in diametro, contenente da 4 a 8 corpi intracistici) che nella forma simil trofozoitica di 1-2 µm (Weissenbacher-Lang C et al., 2018).

Tra le forme protozoarie ha maggiore rilevanza Toxoplasma gondii, riscontrabile, sia nel gatto che nel cane, in corso di infezioni sistemiche polmonari (Andreasen CB, 2003). Citologicamente i tachizoiti di Toxoplasma gondii sono osservabili come piccoli corpi (5×2µm) di forma da rotondeggiante a mezzaluna, con citoplasma leggermente blu e nucleo paracentrale.

Le flogosi eosinofiliche sono generalmente su base allergica (Figura 3) o parassitaria, ma anche micotica o neoplastica (Johnson LR et al., 2019). Nel cane esiste una specifica condizione patologica, la broncopneumopatia eosinofilica (BPE) su base allergica che colpisce cani giovani o di età media, clinicamente associata a tosse e scolo nasale (Johnson LR et al., 2019). Radiograficamente, è caratterizzata da bonchiectasie e citologicamente da infiltrato prevalentemente eosinofilico.

Infine, segnaliamo che nel cane non è infrequente il riscontro nei preparati citologici di un elevato numero di linfociti (>20% delle cellule totali) in risposta ad una lesione delle vie aeree, indipendentemente dal tipo o dalla durata della patologia in atto (Johnson LR and Vernau W, 2019).

L’emorragia polmonare è citologicamente caratterizzata da reperti di eritrofagocitosi da parte dei macrofagi alveolari. La fagocitosi di eritrociti ancora ben riconoscibili è segno di un episodio emorragico recente; poiché l’eritrofagocitosi può avvenire anche in vitro, per evitare questo “artefatto” è consigliabile processare immediatamente il campione prelevato.

Il riscontro nel citoplasma dei macrofagi di prodotti di degradazione eritrocitaria (emosiderina ed ematoidina) è invece segno di un episodio emorragico non recente. Secondo un recente studio di Hooi et al. (2018), questo reperto si riscontra maggiormente nella specie felina a causa di una ridotta capacità di degradazione dell’emosiderina da parte dei macrofagi alveolari e una maggior suscettibilità all’emorragia. La colorazione “speciale” Blu di Perls permette di differenziare l’emosiderina (che si colora di blu) da altro tipo di pigmento nerastro (es. pigmento antracotico di frequente riscontro) che non si colora di blu.

Nel cane e gatto, le emorragie polmonari possono essere causate da: traumi, filariosi, corpi estranei inalati, torsione di un lobo polmonare, infezioni (batteriche e micotiche), parassiti, insufficienza cardiaca, embolia polmonare, coagulopatie e neoplasie (primarie o metastatiche). Si deve considerare che il riscontro di eritrociti in un BAL non depone necessariamente per una emorragia polmonare, infatti può essere dovuto alla contaminazione ematica causata dal trauma del campionamento. E’ altresì possibile che campioni di BAL ematici, non rapidamente processati, siano caratterizzati da eritrofagocitosi recente post-prelievo.

Angiostrongylus vasorum, Aelurostrongylus abstrusus (Figura 4), Crenosoma vulpis possono causare patologie polmonari nel cane e nel gatto ed essere identificati in campioni ottenuti da noduli polmonari, lavaggi tracheali o broncoalveolari. Sono le larve e le uova a indurre la risposta infiammatoria, non gli adulti. Le larve si presentano nei preparati citologici la maggior parte delle volte avvolte a spirale. Sono accompagnate da una flogosi mista, con una buona componente eosinofilica. Per la distinzione di specie in base a criteri morfologici si rimanda ai testi di parassitologia.

Le neoplasie polmonari possono presentarsi in forma nodulare, singola o multipla, o in forma diffusa. Le lesioni nodulari è preferibile siano campionate citologicamente tramite ago aspirato o ago infissione. Sia le neoplasie nodulari che diffuse, se non coinvolgono o infiltrano l’albero bronchiale, non esfoliano cellule nel BAL e non sono pertanto diagnosticabili con questa tecnica di prelievo.

I tumori primari polmonari più frequenti sono i carcinomi e in particolare gli adenocarcinomi. Sono caratterizzati da cellule epiteliali con marcati caratteri di atipia, se sono presenti strutture simil-acinari o è presente materiale di secrezione sono classificabili come adenocarcinomi. Possibili come neoplasie primarie polmonari il linfoma e il sarcoma istiocitario. Si ricorda la possibilità di metastasi polmonare di numerose neoplasie epiteliali (es. carcinomi mammari) (Pavelski M et al., 2017) e mesenchimali (es. osteosarcoma, angiosarcoma).

Va ricordato che in corso di flogosi è possibile il riscontro di epitelio respiratorio con caratteri di iperplasia e displasiache possono mimare una condizione neoplastica (Figura 5). Le cellule epiteliali iperplastiche si possono presentare in piccoli gruppi fortemente coesivi con aumento del rapporto N:C, nuclei ipercromatici, citoplasma intensamente colorato. Caratteri di displasia sono una lieve/moderata anisocitosi, anisocariosi e “nuclear molding”. La “conservazione” delle cilia in queste cellule epiteliali respiratorie atipiche aiuta nel differenziare una displasia da una neoplasia. Ovviamente il quadro clinico-radiografico aiuta nella diagnosi differenziale.

Va segnalata in cani clinicamente sani la metaplasia peribronchiale (Lambertosis): è una forma di iperplasia dell’epitelio dei bronchioli terminali. Le cellule iperplastiche non presentano caratteri di atipia.

 

Dr. Gabriele Ghisleni – DVM, ECVCP Dipl.

 

Didascalie immagini

  • Figura 1- Cane, lavaggio bronco-alveolare, May Grünwald-Giemsa, x600. Flogosi mista aspecifica con componete allergica-iperergica. È presente una “goblet cell” (A), cellule epiteliali cilindriche ciliate (B), granulociti neutrofili non degenerati (C), granulociti eosinofili (D) e macrofagi (E).
  • Figura 2- Cane, lavaggio bronco-alveolare, May Grünwald-Giemsa, immersione. Spirale di Curschmann. (Ghisleni, 2006).
  • Figura 3 – Gatto, lavaggio bronco-aveolare, May Grünwald-Giemsa, x600. Pneumopatia allergico-iperergica (probabile polmonite interstiziale eosinofilica) complicata da flogosi neutrofilica. Campione caratterizzato dalla presenza di una popolazione mista di cellule con prevalenza di eosinofili nonché neutrofili non degenerati e senza evidente fagocitosi batterica. (Ghisleni, 2006)
  • Figura 4 – Gatto, lavaggio bronco-aveolare, cytospin, May Grünwald-Giemsa, x100. Polmonite verminosa. Campione con elevata cellularità, con una popolazione infiammatoria mista associata alla presenza di uova e larve, molto probabilmente di Aleurostrongylus abstrusus.
  • Figura 5 – Cane, femmina 3 anni, lavaggio bronco-alveolare, cytospin, May Grünwald-Giemsa, x600. Flogosi mista aspecifica con iperplasia/displasia dell’epitelio. Campione con buona cellularità, caratterizzato dalla presenza di una popolazione mista di cellule con prevalenza di neutrofili non degenerati e senza evidentefagocitosi batterica. Eosinofili, macrofagi, linfociti ed epitelio respiratorio che mostra qualche reperto di iperplasia/displasia. (Ghisleni, 2006)

 

Bibiografia

  • Andreasen CB. Bronchoalveolar lavage. Vet Clin Small Anim 33: 69–88, 2003
  • Canonne AM , Billen  F , Tual  C , Ramery  E , Roels  E , Peters  I , Clercx  Quantitative PCR and Cytology of Bronchoalveolar Lavage Fluid in Dogs with Bordetella bronchiseptica infection. J Vet Intern Med 30(4):1204-9, 2016.
  • Curran M , Boothe  DM , Hathcock  TL , Lee-Fowler  Analysis of the effects of storage temperature and contamination on aerobic bacterial culture results of bronchoalveolar lavage fluid. J Vet Intern Med 34(1):160-165, 2020.
  • Day MJ , Carey  S , Clercx  C , Kohn  B , MarsilIo  F , Thiry  E , Freyburger  L, Schulz  B , Walker  Aetiology of Canine Infectious Respiratory Disease Complex and Prevalence of its Pathogens in Europe. J Comp Pathol 176:86-108, 2020.
  • Ghisleni G. Atlante di citologia diagnostica del cane e del gatto. Point Veterinaire Italie, Milano, 2006.
  • Hooi KS et al. Bronchoalveolar lavage hemosiderosis in dogs and cats with respiratory disease. Vet Clin Pathol 48 (1): 42-49, 2019
  • Johnson LR , Queen EV, Vernau W, Sykes JE, Byrne BA. Microbiologic and cytologic assessment of bronchoalveolar lavage fluid from dogs with lower respiratory tract infection: 105 cases (2001-2011). J Vet Intern Med 27(2):259-67, 2013.
  • Johnson LR, Johnson EG, Hulsebosch SE, Dear JD, Vernau W. Eosinophilic bronchitis, eosinophilic granuloma, and eosinophilic bronchopneumopathy in 75 dogs (2006-2016). J Vet Intern Med. 2019 Sep;33(5):2217-2226, 2019
  • Johnson LR and Vernau W. Bronchoalveolar lavage fluid lymphocytosis in 104 dogs (2006-2016). J Vet Intern Med 33 (3): 1315-1321, 2019
  • Nafe LA , DeClue AE, Reinero CR. Storage alters feline bronchoalveolar lavage fluid cytological analysis. J Feline Med Surg  13(2):94-100, 2011.
  • Pavelski M , Correa Leite  N , Pedri  E , Guérios  SD , De Sousa  RS , Rodrigues Froes  T , Triches Dornbusch  Single-aliquot, non-bronchoscopic bronchoalveolar lavage in the diagnosis of metastatic mammary tumours in dogs. J Small Anim Pract . 58(3):168-173, 2017.
  • Burkhard M.J. Respiratory tract. In Raskin R.E. Meyer D.J. (Eds): Canine and feline cytology. A color atlas and interpretation guide, Mosby Elsevier, St. Louis, 2016; pp. 138-190.
  • Weissenbacher-Lang C , Fuchs-Baumgartinger  A , Abigail Guija-De-Arespacochaga  A, Klang  A , Weissenböck  H , Künzel  Pneumocystosis in dogs: meta-analysis of 43 published cases including clinical signs, diagnostic procedures, and treatment. J Vet Diagn Invest . 30(1):26-35, 2018.


Iperlipasemia in cani ricoverati in Terapia Intensiva con o senza pancreatite acuta

In medicina umana, è riportato che pazienti ricoverati in terapia intensiva possano presentare valori di lipasi elevati (circa il 14-80% di cui solo il 35% con segni di pancreatite acuta). Alcuni pazienti possono sviluppare pancreatite secondariamente a trattamenti farmacologici, sepsi, ischemia, e altri invece, pur avendo iperlipasemia, non presentano segni clinici o di diagnostica per immagini riconducibili a tale patologia.

In veterinaria la diagnosi di pancreatite acuta è complessa ed è in genere presuntiva, poiché quasi mai viene confermata attraverso l’esame istologico. Vengono considerati insieme dati clinici e anamnestici, reperti di diagnostica per immagini ed esami di laboratorio. Tra questi ultimi rivestono particolare importanza la misurazione della Lipasi pancreatica specifica canina (cPL) e la Lipasi misurata con metodo DGGR, che ha dimostrato un ottimo agreement con il cPL (Kook et al., 2014), oltre che a essere una metodica più economica e accessibile a tutti. Tuttavia, nessuno di questi due test ha elevata accuratezza o può essere utilizzato come singolo test per la diagnosi di pancreatite acuta.

Le ipotesi che gli Autori del lavoro vogliono dimostrare sono: verificare se come nell’uomo anche nei pazienti critici canini è frequente l’iperlipasemia (misurata mediante lipasi DGGR) in assenza di pancreatite, secondaria ad altre cause; valutare se c’è una correlazione tra valori elevati di lipasi e l’outcome, inteso come mortalità e durata dell’ospedalizzazione.

Sono stati selezionati retrospettivamente 1360 cani definiti come pazienti critici e che avessero almeno 1 misurazione della lipasi nelle 24 ore precedenti al ricovero. Questi sono stati suddivisi in:

    • Cani con iperlipasemia > 324* UI/L misurata entro 24 ore dal ricovero (N= 216): rappresentano circa il 16% dei casi inclusi nello studio, di cui solo un terzo aveva segni clinici e ecografici di pancreatite acuta;
    • Cani con lipasemia < 324* UI/L misurata entro 24 ore dal ricovero (N= 1144); di questi 843 (62%) avevano lipasemia normale e 301 (22%) iperlipasemia ma < 324 UI/L.

*Il cut-off di 324 UI/L scelto corrisponde a 3 volte il valore superiore dell’intervallo di riferimento e viene utilizzato come aumento significativo e suggestivo di possibile pancreatite.

Di questi, i pazienti che durante il ricovero hanno avuto più misurazioni seriali della lipasi (n=345) sono stati divisi in altri due gruppi:

    • Pazienti con incremento non significativo durante il ricovero (ovvero < a 2 volte il valore al ricovero o < a 3 volte il valore superiore dell’intervallo di normalità) ;
    • Pazienti con incremento significativo durante il ricovero (ovvero > a 2 volte il valore al ricovero o > a 3 volte il valore superiore dell’intervallo di normalità).

La diagnosi di pancreatite acuta è stata stabilita in 95 cani (7% di tutti i soggetti inclusi) da specialisti (internisti o intensivisti) valutando tutti i dati a disposizione (anamnesi, clinica, esami di laboratorio, diagnostica per immagini) ed è stata differenziata in primaria se presente al momento del ricovero e come motivo principale dello stesso, oppure secondaria, insorta a causa di un’altra patologia.

Di questi 95, 70 erano nel gruppo con lipasi > 324 UI/L mentre i restanti 25 hanno avuto una diagnosi di pancreatite pur avendo una lipasi < 324 UI/L. Di conseguenza dei 216 cani che presentavano lipasemia > 324 UI/L, 146 pazienti avevano la lipasi marcatamente aumentata in assenza di segni e sintomi di riconducibili a pancreatite.

Il 23% dei soggetti ha evidenziato un aumento significativo dei valori di lipasi durante il ricovero ( > 324 UI/L) ed è stato ricondotto a infiammazione sistemica, insufficienza multiorganica e ipoperfusione, così come avviene nell’uomo.

La probabilità di mortalità (mortality likelihood ratio) si è rivelata maggiore (1.53) nei pazienti con iperlipasemia marcata al ricovero (> 324 UI/L) rispetto a quella nei pazienti con lipasi normale o < 324 UI/L (0.91).  Anche la durata del ricovero è risultata maggiore nel primo gruppo.

In questo studio le condizioni più comuni di aumento della lipasi DGGR sia all’ammissione che nel corso dell’ospedalizzazione, in pazienti che non hanno avuto una diagnosi di pancreatite sono state:

    • Patologie renali: non vi è una correlazione significativa tra i valori di lipasi e creatinina ma si pensa che l’iperlipasemia possa essere data in parte dalla riduzione della GFR e in parte da una riduzione di meccanismi di riassorbimento tubulare e inattivazione enzimatica che avviene a livello renale; in particolare sono stati osservati marcati aumenti di lipasi in pazienti sottoposti ad emodialisi, ma in questo caso l’ipotesi formulata dagli Autori è che l’emodialisi stessa possa provocare dei danni pancreatici subclinici, come dimostrato nell’uomo;
    • Endocrinopatie: la causa più comune è il diabete mellito in cui la pancreatite acuta è spesso considerata una comorbidità: nello studio di Bolton et al. (2016) si è visto che il 73% dei cani con chetoacidosi diabetica avevano valori elevati di lipasemia. Inoltre, questo incremento è riportato in corso di iperadrenocroticismo e ipotiroidismo: come possibile spiegazione troviamo una combinazione tra iperlipidemia, riduzione della sensibilità all’insulina e aumento delle citochine proinfiammatorie;
    • Disordini immunomediati: l’iperlipasemia potrebbe essere sia secondaria al trattamento a base di corticosteroidi, sia alla patologia stessa e alla flogosi ad essa associata;
    • Ostruzione delle vie prime respiratorie: nello studio è presente un numero elevato di Bouledogue Francesi in cui è riportata una comorbidità tra sindrome brachicefalica e alterazioni dell’apparato gastroenterico prossimale; in questi pazienti non è stato comunque possibile escludere una pancreatite sub- clinica mediante diagnostica per immagini.
    • Trattamenti con glucocorticoidi nei giorni precedenti al ricovero o durante il ricovero

La fragilità maggiore di questo lavoro è indubbiamente la mancanza di una diagnosi certa di pancreatite, poiché di fatto è stata fatta una diagnosi presuntiva e non definitiva che andrebbe supportata utilizzando l’istopatologia. Per questa ragione alcuni dei pazienti con iperlipasemia anche marcata potrebbero aver avuto una pancreatite anche in assenza di segni e sintomi specifici. Resta il fatto che molti dei cani con marcato aumento della lipasi avevano come causa sottostante non una pancreatite ma un’altra patologia; questo elevato numero di casi di iperlipasemia non correlata a pancreatite rende questo test poco specifico per la diagnosi di pancreatite.

Preso come singolo parametro, indipendentemente dal fatto che sia causata da pancreatite o da altro, l’iperlipasemia marcata è correlata a un ricovero più prolungato e un tasso di mortalità più elevato; infine gli Autori ipotizzano un ruolo della lipasi come marker di insufficienza multiorgano o ischemia.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM Dipl. ECVCP – Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

Bibliografia:

  • Prümmer et al. Hyperlipasemia in critically ill dogs with and without acute pancreatitis: Prevalence, underlying diseases, predictors, and outcome. J Vet Intern Med. 2020;1–11.
  • Kook et al. Agreement of Serum Spec cPL with the 1,2-o-Dilauryl-Rac-Glycero Glutaric Acid-(6′-methylresorufin) Ester (DGGR) Lipase Assay and with Pancreatic Ultrasonography in Dogs with Suspected Pancreatitis. J Vet Intern Med 2014;28:863–870
  • Bolton et al. Pancreatic lipase immunoreactivity in serum of dogs with diabetic ketoacidosis. J Vet Intern Med. 2016;30:958-963.


La neutropenia nel cane e nel gatto

Con neutropenia si intende una riduzione al di sotto dell’intervallo di riferimento del valore assoluto dei granulociti neutrofili circolanti (solitamente al di sotto di 2.900 cellule/uL nel cane e di 2.500 cellule/uL nel gatto (Weiss et al., 2010)) ed è una condizione meno frequente rispetto alla neutrofilia, soprattutto nel cane.

Riduzioni artefattuali del numero dei neutrofili possono verificarsi in seguito a ritarda processazione del campione poiché è possibile si formino aggregati di neutrofili in vitro per effetto dell’EDTA, oppure a causa della presenza di un coagulo in provetta (Zandecki et al., 2007).

CAUSE DI NEUTROPENIA (da Stockham e Scott, 2008, modificato):

Infiammazione

È una condizione che si verifica in seguito a gravi infiammazioni acute. Da un punto di vista fisiopatologico, la neutropenia avviene in poche ore dall’inizio dello stimolo flogistico: i granulociti neutrofili del pool circolante (nel sangue) e del pool marginale (adeso alle pareti dei vasi) vengono richiamati da citochine o altre sostanze chemiotattiche nei tessuti convolti dalla flogosi. A causa dell’acutezza dell’insorgenza dell’infiammazione, una volta esauriti i neutrofili del pool marginale e circolante, si attinge al pool maturativo del midollo osseo; per questa ragione spesso è presente un left shit (rigenerativo o degenerativo in base al numero di neutrofili immaturi provenienti dal pool maturativo): il midollo risponderà alla richiesta aumentando la produzione dei granulociti neutrofili in un paio di giorni, periodo trascorso il quale potranno ricomparire in circolo forme più mature (neutrofili segmentati). Inoltre, alla valutazione dello striscio ematico è frequente osservare moderati - gravi segni di tossicità citoplasmatica.

Le patologie che più comunemente portano a questo tipo di neutropenia sono batteriche e virali (ad esempio la parvovirosi con meccanismi multifattoriali).

Endotossemia

Le endotossine prodotte da batteri Gram negativi hanno la capacità di spostare i granulociti neutrofili dal pool circolante al pool marginale, stimolando l’organismo a produrre mediatori infiammatori (citochine come IL- 1 e TNF) che fan si che i neutrofili aderiscano alle cellule endoteliali; inoltre hanno la capacità di far rilasciare dal midollo osseo i granulociti neutrofili ancora immaturi entro poche ore dallo stimolo, pertanto in caso di endotossemia, la neutropenia è tendenzialmente di breve durata.

Aumentata distruzione periferica

La neutropenia viene causata da una distruzione indiretta (immunomediata) o diretta dei granulociti neutrofili.

La neutropenia immunomediata è una patologia molto rara nel cane e ancora di più nel gatto (Waugh et al., 2014); alla sua diagnosi presuntiva si giunge seguendo i seguenti criteri:

  • Severa neutropenia (in genere inferiore a 1.500 cellule/uL (Devine et al, 2017) oppure inferiore a 500 cellule/uL (Weiss et al, 2010)) associata a sintomatologia che non supporta una grave sepsi (solitamente segni clinici di lieve – moderata entità aspecifici come ipertermia, inappetenza, abbattimento oppure soggetti asintomatici che risultano neutropenici come reperto occasionale); left shift o segni di tossicità citoplasmatica possono essere presenti in particolar modo se vi sono infezioni concomitanti (non improbabili e secondarie alla neutropenia);
  • Esclusione di tutte le altre cause di neutropenia, comprese cause che possano secondariamente dare una neutropenia immunomediata (neoplasie, somministrazione di farmaci, agenti infettivi come ad esempio infezione da Anaplasma phagocytophilum);
  • Rapida risposta ai corticosteroidi, con aumento sostanziale del numero dei granulociti neutrofili, secondo alcuni Autori entro due settimane dall’inizio della terapia (Devine et al, 2017), secondo altri già dopo 2-3 giorni (Weiss at al, 2010).

La citologia midollare solitamente evidenzia una iperplasia mieloide a dimostrazione della distruzione periferica, ma sono riportati anche un numero di casi più ridotto in cui si segnala una ipoplasia – aplasia mieloide con arresto maturativo, suggerendo una distruzione sui precursori (in un gatto con neutropenia immunomediata la citologia midollare indicava una grave ipoplasia mieloide (Waugh et al., 2014)).

Sono state indagate diverse metodiche diagnostiche per la ricerca di anticorpi anti- neutrofili quali citofluorimetria, immunofluorescenza, leucoagglutinazione, RIA, ma nessuna di queste ha dimostrato una reale utilità diagnostica; ad oggi è una diagnosi presuntiva a cui si giunge solamente per esclusione di altre cause e per la risposta alla terapia.

La neutropenia causata da sindrome emofagocitica è una condizione rara secondaria ad un disturbo proliferativo dei macrofagi attivati che agiscono a livello midollare o splenico causando citopenie periferiche (non solo neutropenia); in letteratura tale sindrome non è unanimemente classificata e viene considerata secondaria a patologie immunomediate, infettive, disordini mielodisplasici – neoplastici o primaria di origine idiopatica (Weiss et al, 2007; Wilkinson et al., 2014).

Ridotta produzione midollare

Questo tipo di neutropenia si presenta nel momento in cui sono presenti un danno ai precursori mieloidi, un’alterazione a livello di microambiente midollare oppure un disturbo maturativo. A differenza delle forme infiammatorie, solitamente a livello periferico non sono presenti left shift e tossicità citoplasmatica, a meno che non vi siano infezioni secondarie; a livello citologico midollare si evidenzia un’ipoplasia mieloide, e più spesso la maturazione è ordinata con presenza di tutti gli stadi. Possono essere presenti più citopenie se il danno al midollo interessa tutte e tre le linee.

La riduzione della produzione midollare può essere secondaria a:

  • Somministrazione di chemioterapici: Sia nel gatto che nel cane, come nell’uomo, è riportato questo tipo di neutropenia: i chemioterapici citotossici hanno come target le cellule ad elevata replicazione come lo sono le cellule ematopoietiche e la mielosoppressione è solitamente dose dipendente; questo tipo di condizione è riportata più frequentemente sia nel cane che nel gatto in corso di protocollo chemioterapico per linfoma (Pierro et al, 2016; Sorenmo et al., 2010). Inaspettatamente è stato dimostrato che in corso di linfoma nel cane la neutropenia indotta da chemioterapia sia un marker prognostico favorevole (Wang et al, 2015);
  • Reazioni idiosincrasiche da farmaco, ovvero non dose dipendenti ma legati a una predisposizione individuale del paziente a produrre dei metaboliti reattivi che causano stress ossidativo e/o evocano una reazione immunitaria umorale o cellulo-mediata. Premesso che qualsiasi farmaco può indurre tale effetto, ricordiamo alcuni di quelli riportati in medicina veterinaria: fenobarbitale, fenilbutazone, trimetoprim/sulfamidici, griseofulvina, cefalosporine, fenbendazolo, cloramfenicolo;
  • Estrogeni sia endogeni (in corso di Sertolioma del cane) sia esogeni (in corso di trattamento per iperplasia prostatica, incontinenza urinaria in femmine sterilizzate o come cura per l’infertilità);
  • Patologie virali: in corso di FeLV la neutropenia è un riscontro frequente (Weiss at al, 2010), e alcuni case reports dimostrano talvolta una risposta ai corticosteroidi (Stavroulaki et al, 2020)); la neutropenia è segnalata anche in corso di FIV, parvovirosi (cane e gatto, eziologia multifattoriale) e cimurro.
  • Patologie da vettore croniche: Ehrlichia e Leishmania spp. (solitamente sono presenti citopenie multiple);
  • Mieloftisi: è più comune che si associ ad una pancitopenia ma, per una questione di emivita, può comparire per prima la neutropenia. Con mieloftisi si intende la sostituzione del midollo osseo da parte di un altro tessuto conseguente a infiltrazione di altre cellule in corso di neoplasie primarie del midollo (linfoidi (Museux et al., 2019), mieloidi, mieloma multiplo) o secondarie (ad esempio linfoma V stadio, carcinoma e mastocitoma metastatici). Tra le cause di mieloftisi ricordiamo anche la mielofibrosi (sostituzione di tessuto emopoietico con tessuto connettivo).
  • Necrosi midollare.

Ematopoiesi ciclica

È una malattia congenita autosomica recessiva segnalata nei Gray Collie, data da una mutazione del gene AP3B1 che provoca un’ematopoiesi ciclica con interessamento di granulociti neutrofili, eritrociti, piastrine e monociti. La ciclicità nella produzione dei granulociti neutrofili circolanti viene scandita da intervalli di circa 12-14 giorni: in alcuni momenti la conta dei neutrofili è azzerata e persiste per circa 2-4 giorni. La conta dei neutrofili nel sangue torna alla normalità o addirittura aumenta nel periodo successivo alla neutropenia.

Dismielopoiesi e sindrome mielodisplastica

Queste patologie sono caratterizzate da citopenie periferiche associate a un quadro midollare di iperplasia delle linee coinvolte, con presenza di segni di displasia. Sono condizioni abbastanza rare, riportate sia nel cane che nel gatto, e possono essere sia primarie (pre - neoplastiche) che secondarie a qualsiasi patologia che danneggi il midollo impedendo una corretta maturazione delle linee cellulari.

Gli Outliers e gli intervalli di riferimento di razza

Quando riscontriamo una neutropenia di lieve - moderata entità, in assenza di sintomatologia clinica e altre alterazioni clinico-patologiche dobbiamo considerare la possibilità che il paziente sia un outlier, vale a dire un individuo sano che ha un numero di neutrofili inferiore alla popolazione di riferimento (il 5% dei soggetti ha valori che cadono sopra o sotto i valori di popolazione di qualsiasi test, per come vengono costruiti gli intervalli di riferimento). Come possiamo individuare questi outliers? Se l’alterazione persiste nel tempo (se disponibili possiamo cercare esami precedenti), il paziente resta clinicamente sano e con altri esami normali e possiamo escludere patologie subcliniche (esempio FIV e FeLV, alcune malattie da vettore nel cane) è ragionevole pensare che possa essere un outlier. Inoltre, vi sono alcune razze come i Grayhound che presentano fisiologicamente la conta dei neutrofili inferiore rispetto alle altre (Campora et al, 2011).

 

In sintesi, quale approccio diagnostico possiamo utilizzare in caso di neutropenia?

  • Ripetiamo il campionamento sia per escludere un possibile errore pre - analitico sia per verificare se la neutropenia è persistente, ingravescente, se compaiono altre citopenie, o se i leucociti rientrano nell’intervallo di normalità;
  • Se la neutropenia è lieve - moderata e si conferma nel tempo in soggetti clinicamente sani e in assenza di qualsiasi altra alterazione clinico-patologica, consideriamo la possibilità che il nostro paziente sia un outlier (sano ma con 1 parametro al di fuori degli intervalli di normalità di popolazione);
  • Indaghiamo in anamnesi se vaccinazioni e profilassi sono state eseguite correttamente e se il paziente può aver assunto farmaci;
  • Attraverso visita clinica, diagnostica per immagini e altri esami clinico-patologici ricerchiamo la eventuale presenza di focolai settici o flogosi sistemica (o qualsiasi altro sintomo che possa orientarci tra le diagnosi differenziali sopra elencate);
  • Valutiamo lo striscio ematico: la presenza di left shift (soprattutto degenerativo) associata a grave tossicità citoplasmatica (basofilia, vacuolizzazioni, corpi di Dohle) orienta più verso un aumentato consumo tissutale (sepsi); non dimentichiamo che tali aspetti potrebbero essere presenti anche nelle forme da aumentata distruzione periferica o ridotta produzione nel caso in cui a seguito della neutropenia si sia instaurato un processo settico. Diciamo quindi che NON osservare left shift e tossicità citoplasmatiche può essere utile per escludere con buona probabilità una neutropenia infiammatoria o da endotossemia. Valutiamo sempre anche le proteine di fase acuta (ad esempio la proteina C reattiva  nel cane e l'amiloide sierica nel gatto) e il tracciato elettroforetico alla ricerca di segni di flogosi (aumento della frazione alfa2 per flogosi acuta, delle globuline per flogosi cronica);
  • Se in anamnesi è riportata una mancata profilassi per ectoparassiti e se il soggetto vive o è stato in aree endemiche, è necessario escludere le malattie infettive mediante esami sierologici (nel cane Ehrlichia o Leishmania spp. se la clinica suggerisce una sintomatologia cronica, nel gatto FIV e FeLV) oppure mediante biologia molecolare (ed esempio Anaplasma phagocytophilum o Babesia spp. se invece la sintomatologia clinica appare acuta);
  • L’esame citopatologico del midollo osseo è consigliato in caso di neutropenia persistente e-o ingravescente (soprattutto se associata a altre citopenie) in assenza di evidenti focolai settici.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM Dipl. ECVCP - Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

Bibliografia:

  • Schultze. Chapter 48: Interpretation of Canine Leukocyte Responses. In: Schalm’s Veterinary Hematology. Sixth edition. 2010
  • Valenciano et al. Chapter 49: Interpretation of Feline Leukocyte Responses. In: Schalm’s Veterinary Hematology. Sixth edition. 2010
  • Harvey. Chapter 5: Evaluation of leukocytic disorders. In: Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition. 2012
  • Stockham, Scott. Chapter 2: Leukocytes. In: Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. Ames. 2008
  • Schnelle et al. Neutropenia in dogs and cats: causes and consequences. Vet Clin Small Anim 42. 111–122. 2012
  • Zandecki et al. Spurious counts and spurious results on haematology analysers: a review. Part II: white blood cells, red blood cells, haemoglobin, red cell indices and reticulocytes. International Journal of Laboratory Hematology. 2007
  • Waugh et al. Primary immune-mediated neutropenia in a cat. Can Vet J;55:1074–1078. 2014
  • Devine et al. Presumed primary immune-mediated neutropenia in 35 dogs: a retrospective study. Journal of Small Animal Practice. 58, 307–313. 2017
  • Weiss et al. Hemophagocytic syndrome in dogs: 24 cases (1996–2005), JAVMA, Vol 230. 2007
  • Wilkinson et al. Hemophagocytic syndrome in a cat. Journal of Feline Medicine and Surgery Open Reports. 1–5. 2018
  • Pierro et al. Febrile neutropenia in cats treated with chemotherapy. Veterinary and Comparative Oncology. 2016
  • Wang et al. Chemotherapy-induced neutropenia is associated with prolonged remission duration and survival time in canine lymphoma. The Veterinary Journal 205. 69–73. 2015
  • Sorenmo et al. Case-control study to evaluate risk factors for the development of sepsis (neutropenia and fever) in dogs receiving chemotherapy. JAVMA, Vol 236, No. 6. 2010
  • Museux et al. Chronic lymphopenia and neutropenia in a dog with large granular lymphocytic leukemia. Vet Clin Pathol. 48:721–724. 2019
  • Stavroulaki et al. Steroid-responsive neutropenia in a cat with progressive feline leukemia virus infection. Vet Clin Pathol. 49:389–393. 2020
  • Swenson et al. Cyclic hematopoiesis associated with feline leukemia virus infection in two cats. J Am Vet Med Assoc. 191(1):93-6. 1987
  • Campora et al. Determination of haematological reference intervals in healthy adult greyhounds. Journal of Small Animal Practice. 52, 301–309. 2011

 

 


La misurazione degli acidi biliari

Gli acidi biliari sono steroidi sintetizzati dagli epatociti a partire dal colesterolo ed escreti nella bile; nell’intestino emulsionano i grassi e facilitano l’assorbimento dei nutritivi.

Circolo enteroepatico

Per poter comprendere il significato di questo test è indispensabile conoscere questo “virtuoso” ricircolo.

A livello epatico il colesterolo viene degradato a acidi biliari primari (++ colico e chenodesossicolico); questi vengono quindi coniugati a glicina, taurina, acido glicuronico e solfati e escreti nella bile come acidi biliari coniugati, secondo gradiente osmotico. A livello intestinale questi vengono riassorbiti mediante trasporto attivo per il 90% circa (soprattutto nell’ileo ma anche in ceco e colon). Il rimanente 10% può venire o deconiugato dai batteri e passivamente riassorbito a livello del colon oppure deidrossilato sempre dai batteri a acidi biliari secondari (che possono essere riassorbiti oppure persi con le feci). Una volta assorbiti a livello intestinale gli acidi biliari attraverso il circolo portale arrivano al fegato che li riassorbe per il 95%; il rimanente 5% è ciò che misuriamo in un animale sano. Quando la cistifellea si contrae (in risposta all’arrivo del chimo nel tratto digestivo, ma anche spontaneamente) aumenta la quantità di acidi biliari escretati nell’intestino e di conseguenza aumenta la quantità di acidi biliari che entrano nel sistema portale, diretti al fegato; anche in condizioni fisiologiche è così possibile osservare dopo questo evento un loro transitorio aumento sierico (in condizioni fisiologiche può arrivare fino a 3 volte il valore dei basali a digiuno)  prima che gli epatociti ricaptino questa ondata.

Quando e perché misurare gli acidi biliari sierici?

 La misurazione degli acidi biliari ci consente di verificare se i vari passaggi del loro metabolismo sono intatti. Nel dettaglio possiamo capire se sono presenti:

  1. RIDUZIONE DELLA MASSA E/O DELLA FUNZIONALITA’ EPATOCELLULARE: gli epatociti non funzionanti non possono metabolizzare o riassorbire gli acidi biliari dal circolo entero-epatico che quindi restano alti nel siero
  2. ALTERAZIONE DEL CIRCOLO ENTEROEPATICO: gli acidi biliari sierici si accumulano nel siero:
    • per diminuito flusso portale al fegato (ad es. in corso di shunt portosistemico (PSS), il flusso ematico bypassa il fegato e riversa gli acidi nel circolo sistemico)
    • Per ostruzione delle vie biliari o per colestasi (gli acidi biliari non vengono escretati nell’intestino con la bile e ritornano indietro, fino ad essere rilasciati nel circolo sistemico)

Quindi il test va richiesto in caso di:

  • sospetta insufficienza epatica (non epatopatia! come spiegato nella pillola precedente);
  • sospetto PPS (anche per monitoraggio chiusura PSS).

In tutti i casi, in assenza di ittero - colestasi (vedi poi).

Tipi di test e modalità di esecuzione

  1. Random test: gli acidi biliari possono essere misurati in qualunque momento della giornata. Test meno utile tra i vari, esiste ben poca letteratura a riguardo;
  2. Acidi biliari pre-prandiali. Il prelievo viene effettuato dopo 12 ore di digiuno;
  3. Challenge test o test da carico (pre e post-prandiali): dopo aver effettuato il prelievo a T0 (pre-prandiale dopo digiuno di 12 ore) si somministra un piccolo pasto grasso o ricco di proteine (non c’è un singolo protocollo condiviso in letteratura ma noi consigliamo 2 cucchiaini per cani piccola taglia, 2 cucchiai per cani grossa taglia) e si ripete un prelievo dopo circa 2 ore da questo. Questo è il test più informativo tra i tre, con la migliore accuratezza diagnostica. L’assunzione di cibo provoca la contrazione della colecisti e il rilascio degli acidi biliari nell’intestino; un eccessivo aumento del valore degli acidi post-prandiali significa che c’è una ostruzione biliare (o colestasi) e dalla colecisti questi non potendo arrivare all’intestino tornano indietro fino a essere “rigurgitati” nel circolo ematico sistemico, oppure che dal circolo portale non vengono riassorbiti dal fegato (presenza di PSS oppure ipofunzionalità epatocitaria).

Interferenze analitiche e stabilità del campione

LIPEMIA ED EMOLISI interferiscono con la lettura ottica dello strumento determinando rispettivamente falsi aumenti e false diminuzioni.

L’ITTERO invece non rappresenta un interferente sensu stricto ma in sua presenza diventa quasi del tutto inutile misurare gli acidi biliari. Se un paziente presenta ittero soprattutto epatico o post epatico, è certo che gli acidi biliari (random, pre e post) saranno elevati; questo perché l’iperbilirubinemia ci sta già dicendo che o il fegato non funziona (ittero epatico) o che è presente colestasi (ittero post-epatico) e in entrambe queste situazioni gli acidi biliari aumentano: se aumenta la bilirubina nel sangue, parallelamente aumentano gli acidi biliari che seguono le stesse vie metaboliche.

Il siero (non emolitico, non lipemico) deve essere conservato refrigerato o congelato se non può essere processato in giornata.

Cause di aumento (di uno qualsiasi dei test utilizzati, sebbene con accuratezze variabili)

  1. Ipofunzionalità epatocitaria – insufficienza epatica: gli epatociti non sono in grado di metabolizzare o estrarre dal circolo portale gli acidi biliari.
  2. Anomalie del circolo portale: in presenza di PSS o displasia microvascolare, il sangue del sistema portale bypassa il fegato così che gli epatociti anche se funzionanti, non posso ricaptare gli acidi biliari in arrivo dall’intestino; queste anomalie vascolari con il passare del tempo esitano in insufficienza epatica.
  3. Colestasi: qualsiasi condizione che causi un rallentamento o un ostacolo al flusso della bile provoca un aumento degli acidi biliari, sia in caso di colestasi strutturale che funzionale. Nel caso in cui sia già nota la presenza di colestasi (aumento bilirubina, marcato aumento ALP e GGT, aumento colesterolo, immagini ecografiche di ostruzione delle vie biliari etc) non è utile misurare gli acidi biliari perché già sappiamo che saranno elevati.
  4. Altre cause: sfortunatamente aumenti (soprattutto lievi) dei livelli sierici degli acidi biliari non solo non sono specifici per una singola patologia epatica (insufficienza, anomalie vascolari, colestasi) ma possono verificarsi in pazienti in assenza di patologia epatica (ad esempio in corso di patologia dentale) o in pazienti con patologie primarie di altro tipo che solo secondariamente e lievemente coinvolgono il fegato (es iperadrenocorticismo); un aumento fisiologico lieve può essere osservato anche in animali sani successivamente alla contrazione spontanea della cistifellea.

Problemi interpretativi

Purtroppo esistono numerose variabili che possono contribuire a ottenere risultati poco chiari e definitivi. Ecco alcuni esempi:

  • Gli acidi biliari sierici (in particolare random e pre-prandiali) possono risultare normali in casi di insufficienze epatiche lievi (falsi negativi, bassa sensibilità).
  • Una contrazione spontanea della colecisti che può avvenire in qualsiasi momento può interferire nei seguenti modi:
    • Fa aumentare gli acidi biliari sierici anche in assenza di patologia epatica (se avviene 1-2 ore prima del nostro prelievo);
    • Se avviene prima della somministrazione del pasto, la colecisti sarà vuota quando effettuiamo il test da carico e possiamo ritrovarci un valore pre-prandiale superiore ad un post-prandiale. In questi casi piuttosto comuni molti autori suggeriscono di considerare comunque patologico il valore pre-prandiale (nel caso sia marcatamente aumentato, non solo lievemente).
  • Un rallentato o aumentato transito gastrointestinale possono modificare i tempi di contrazione della cistifellea per cui, quando noi effettuiamo il prelievo post-prandiale, questa potrebbe o non esserci ancora contratta o essersi già contratta da tempo.
  • La colecisti può contrarsi in risposta al pasto in modo incompleto e non riversare il suo contenuto nel duodeno.
  • Gravi patologie intestinali associate a malassorbimento possono diminuire l’assorbimento degli acidi biliari e quindi alterarne il circolo entero-epatico (Giaretta et al 2018).
  • I cani di razza Maltese hanno un livello di acidi biliari sierici più elevato rispetto a cani di altre razze, sebbene non sia del tutto chiaro se questo si associa a patologie epatiche sottostanti di razza o sia presente sempre e comunque anche in pazienti sani. (O’Leary et al., 2014; Tisdall et al, 1994).

Acidi biliari urinari normalizzati creatinina

Fisiologicamente solo piccole quantità di acidi biliari in forma sulfatata (USBA), non sulfatata (UNSBA) e mista (USBA e UNSBA) vengono escrete con le urine (quelli che “sfuggono” alla circolazione enteroepatica).

Nel caso aumentino nel siero, ne aumenta la quota eliminata con le urine: la normalizzazione con la creatinina serve ad aggiustare la loro concentrazione rispetto al peso specifico urinario, come avviene per esempio per la protenuria. Questo test, poiché misura la concentrazione sierica media delle ore precedenti, non risente di eventuali contrazioni spontanee della colecisti. Purtroppo, gli studi riportati in letteratura sono datati e scarsi (Balkman  et al., 2003 e Trainor  et al., 2003) e dopo la loro pubblicazione non ne sono seguiti altri. Oltre a mancare dati scientifici (anzi forse proprio per questo) raramente questo test viene consigliato dalle review di epatologia né viene nominato da autorevoli relatori che presentano sull’argomento. Da un punto di vista tecnico inoltre utilizzare un reagente che funziona su siero su un altro tipo di matrice (le urine) crea sempre notevoli problemi analitici, rendendo talvolta inaccurate le determinazioni. Per tutte queste ragioni il nostro laboratorio sconsiglia l’utilizzo di questo test.

 

In considerazione del fatto che interpretare i risultati di questo test può essere talvolta complesso vogliamo dare alcuni suggerimenti finali e generali:

  • Selezionare sempre il meglio possibile i pazienti da sottoporre al test: sospetta insufficienza epatica, sospette anomalie del circolo portale (PSS, anomalie del microcircolo).
  • Utilizzare il test da carico poiché è il test con la maggiore sensibilità: se utilizziamo test random o solo pre-prandiale è più probabile ottenere un falso negativo (soprattutto in corso di patologia lieve).
  • Per poter interpretare correttamente i risultati di questo test in considerazione del fatto che aumentano in corso di diverse condizioni è indispensabile utilizzare tutti i dati clinico patologici, i reperti di diagnostica per immagini, unitamente ad anamnesi e clinica; si ricorda infine che non è raro dover arrivare all’esame istopatologico del fegato per poter formulare una diagnosi definitiva.
  • Gli intervalli di riferimento di questo test devono essere considerati indicativi: a causa della grande variabilità individuale e dei vari problemi interpretativi sono più informativi marcati aumenti o valori decisamente “normali” mentre tutti i risultati intorno ai valori superiori degli intervalli di riferimento devono essere considerati dubbi.
  • Nel caso in cui il risultato pre-prandiale sia marcatamente aumentato e maggiore del post-prandiale (possibile nel caso di contrazione spontanea della colecisti precedente al prelievo pre-prandiale, oppure per rallentato svuotamento gastrico), molti Autori consigliano di considerare comunque patologico il risultato.
  • In caso di sospetto PSS, gli acidi biliari pre-prandiali hanno una sensibilità molto elevata ma una bassa specificità: un risultato negativo esclude con elevata probabilità il sospetto, mentre un risultato positivo deve essere approfondito con altri test (possibile falso positivo)

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP

 

Bibliografia:

  • Balkman CE et al. Evaluation of urine sulfated and nonsulfated bile acids as a diagnostic test for liver disease in dogs. J Am Vet Med Assoc 222(10) :1368-1375, 2003
  • Eclinpath.com. https://eclinpath.com/chemistry/liver/liver-function-tests/bile-acids/ Ultimo accesso 25 ottobre 2020.
  • Giaretta PL et al. Comparison of intestinal expression of the apical sodium-dependent bile acid transporter between dogs with and without chronic inflammatory enteropathy. J Vet Intern Med 32(6): 1918-1926, 2018
  • Lawrence YA and Steiner JM. Laboratory evaluation of the liver. Vet Clin North Am Small Anim Pract 47(3): 539-553, 2017
  • Ruland K et al. Sensitivity and specificity of fasting ammonia and serum bile acids in the diagnosis of portosystemic shunts in dogs and cats. Vet Clin Pathol 39(1):57-64, 2010
  • Stockham L, Scott MA. Liver Function. In: Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. Ames. 675-706, 2008.
  • Trainor T et al. Urine sulfated and nonsulfated bile acids as a diagnostic test for liver disease in cats. J Vet Intern Med17(2): 145-153, 2003
  • Van Straten G et al. Diagnostic value of the rectal ammonia tolerance test, fasting plasma ammonia and fasting plasma bile acids for canine portosystemic shunting. Vet J 204(3): 282-286, 2015
  • O'Leary CA et al. The inheritance of extra-hepatic portosystemic shunts and elevated bile acid concentrations in Maltese dogs. J Small Anim Pract. 2014 Jan;55(1):14-21.
  • Tisdall PL, et al Post-prandial serum bile acid concentrations and ammonia tolerance in Maltese dogs with and without hepatic vascular anomalies. Aust Vet J. 1995 Apr;72(4):121-6.

Leucocitosi Neutrofila Estrema e Reazione Leucemoide

Nella nostra routine di laboratorio accade con discreta frequenza che i Colleghi referenti sospettino una forma leucemica di fronte a emogrammi con leucocitosi neutrofile importanti.

Poiché le leucemie mieloidi (granulocitiche) croniche sono estremamente rare, abbiamo pensato che potesse essere utile ripassare insieme le principali e più probabili diagnosi differenziali in corso di questa condizione. 

DEFINIZIONI

Leucocitosi Neutrofila Estrema

Con il termine leucocitosi neutrofila estrema si indica, secondo alcuni testi, una leucocitosi superiore a 50.000 – 100.000 cellule/microlitro delle quali i granulociti neutrofili rappresentino almeno un numero superiore a 25.000/uL (Harvey JV, 2012); secondo altri testi i granulociti neutrofili devono essere superiori a 50.000/uL. (Weiss, 2010).

Reazione leucemoide

Si tratta di una leucocitosi neutrofila estrema (superiore a 50-100.000 cellule/uL) con prevalenza di neutrofili maturi ma contemporanea presenza per lo più ordinata di forme immature: ordinata nel senso che sono presenti molti bandati, occasionali metamielociti, rari mielociti. La presenza delle forme immature pone come diagnosi differenziale morfologica quella di leucemia ma la causa di questa leucocitosi è sempre infiammatoria o paraneoplastica e NON imputabile ad una forma leucemica mieloide.

Le diverse diagnosi differenziali di una leucocitosi neutrofila estrema (con o senza left shift) includono:

  • Lesioni suppurative batteriche localizzate: piometra, pioaddome, piotorace, pielonefrite, ascessi, empiemi etc;
  • Disordini immunomediati: anemia emolitica immunomediata (IMHA), vasculite, glomerulonefrite, poliartite, etc;
  • Necrosi: lesioni necrotiche localizzate conseguenti a fenomeni trombotici o alterazioni di circolo, neoplasie con centro necrotico, traumi, pancreatiti, peritonite biliare;
  • Malattie da vettore: segnalato un cane con polimiosite granulomatosa da infezione da Hepatozoon americanum (Gaunt et al., 1983) e due cani con infezione da Babesia canis (Lobbetti et al., 1995).
  • Deficit di adesione leucocitaria (leukocyte adhesion deficiency): riportata nel setter irlandese rosso - bianco e in un case report di un gatto comune europeo (Bauer et al., 2017). È una rara malattia congenita autosomica recessiva caratterizzata dalla mutazione di un gene che codifica l’integrina CD18, molecola di adesione presente sulla membrana leucocitaria. La mutazione impedisce quindi il complesso CD11/CD18, causando difetti nell’adesione e migrazione nei tessuti dei leucociti; i soggetti affetti presentano leucocitosi persistenti e maggiore suscettibilità alle infezioni.
  • Dermatosi sterile neutrofilica canina (Sweet’s syndrome like) (Hammes et al., 2019): rara sindrome (segnalata solo in 8 cani) caratterizzata da leucocitosi neutrofilica estrema associata a ipertermia, lesioni cutanee con infiltrazione neutrofilica del derma (papule eritematose, placche e noduli) con coinvolgimento sistemico e risentimento epatico e renale. La rapida risposta alla terapia corticosteroidea supporta un’eziologia multifattoriale da deposito di immunocomplessi, anticorpi circolanti e citochine pro – infiammatorie.

In corso di queste condizioni patologiche, alla valutazione dello striscio ematico la neutrofilia appare per lo più matura, associata a left shift ordinato caratterizzato dalla prevalenza di granulociti neutrofili a banda, occasionali – rare forme più immature come metamielociti, promielociti e mielociti; la tossicità citoplasmatica può essere assente ed è più probabile sia presente in corso di infezioni batteriche.

  • Sindrome paraneoplastica: segnalata sia nel cane che nel gatto in corso di differenti neoplasie come carcinoma (Sharkey et al., 1996), di origine mammaria (Jark et al., 2015), adenocarcinoma polmonare (Dole et al., 2004), polipo adenomatoso rettale (Thompson et al., 1992), linfoma e mastocitoma. La leucocitosi è secondaria a focolai necrotici presenti all’interno delle neoplasie e-o alla produzione da parte delle cellule tumorali di granulochine (G-CSF e GM-CSF) o sostanze simili stimolanti la crescita granulocitaria. Solitamente sono leucocitosi ingravescenti e persistenti, più spesso mature in assenza di left shift.

Leucemia granulocitica cronica (CML)

È una patologia estremamente rara, riportata nel cane e ancor più raramente nel gatto. Oltre al numero dei granulociti neutrofili possono essere aumentati anche i granulociti eosinofili, basofili e-o i monociti. Il numero totale dei granulociti neutrofili è marcatamente aumentato e alla valutazione dello striscio ematico è più probabile osservare un left shift disordinato (non piramidale come in corso di reazione leucemoide infiammatoria) insieme ad anomalie morfologiche dei neutrofili (displasia, nuclei ad anello, asincronia maturativa). Tali leucemie croniche possono evolvere in crisi blastica (fase di acutizzazione di una leucemia cronica) ove aumentano in numero o predominano blasti mieloidi sia a livello periferico che a livello midollare.

Per destreggiarsi tra queste diagnosi differenziali, l’iter deve essere sistematico e metodico, associando al dato clinico- patologico, anche i dati clinici, anamnestici e di diagnostica per immagini.

  • Anamnesi e segnalamento: valutare se in anamnesi sono riportate suscettibilità alle infezioni sin da cuccioli e se il paziente rientra tra le razze in cui è stato riportato un deficit di adesione leucocitaria. Le forme leucemiche croniche sono nella loro rarità più probabili in pazienti anziani ed estremamente improbabili nei giovani;
  • Visita clinica e diagnostica per immagini: è indispensabile riscontro di segni di flogosi/sepsi (ipertermia, inappetenza, abbattimento…), fenomeni tromboembolici, focolai settici, necrotici, presenza di neoformazioni, alterazioni d’organo etc;
  • Dati clinico – patologici: la valutazione dello striscio ematico può aiutare a orientarsi: nelle forme infiammatorie – infettive è più probabile osservare segni di tossicità moderata – grave e left shift ordinato. Sempre attraverso la valutazione dello striscio è possibile identificare alterazioni compatibili con IMHA (es. agglutinazione, sferocitosi) o la presenza di agenti infettivi (es. Hepatozoon spp. e Babesia spp.) a giustificare la leucocitosi marcata. Infine, iperprotidemia, ipoalbuminemia, aumento della frazione alfa2 del tracciato elettroforetico e aumento delle proteine di fase acuta come proteina C reattiva (cane) e amiloide sierica (gatto) sono più probabili in corso di flogosi – sepsi, sebbene raramente possano aumentare in corso di CML o in presenza di comorbidità.
  • Emocoltura: questo esame deve essere eseguito per escludere una setticemia, in caso in cui non si evidenzino dei focali batterici ma persista il sospetto di sepsi (es: endocardite). Si rimanda al seguente link per ulteriori informazioni sulla metodica di prelievo e tempi di sospensioni degli antibiotici. https://www.biessea.com/essential_grid/batteriologia/
  • Esame citologico del midollo osseo: questo esame ha un valore diagnostico limitato nella diagnosi differenziale della leucocitosi neutrofilica estrema: da un punto di vista citologico, il midollo presenta in entrambe le condizioni un’iperplasia della linea mieloide. Nel caso di CML si possono osservare segni di displasia a carico sia dei granulociti neutrofili sia delle forme più immature e, in caso di crisi blastica, la predominanza di blasti mieloidi.
  • La diagnosi di CML è una diagnosi di esclusione: se è possibile escludere che siano presenti una patologia infiammatoria-infettiva o una neoplasia non ematologica e se la leucocitosi neutrofila estrema è persistente e ingravescente, è possibile emettere tale diagnosi con ragionevole confidenza.

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM Dipl ECVCP – Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

Bibliografia:

  • Weiss DJ, Wardrop KJ. Schalm’s Veterinary Hematology. Sixth edition. 2010
  • Harvey JV Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition, 2012
  • Lucroy et al. Clinical outcome and diseases associated with extreme neutrophilic leukocytosis in cats: 104 cases (1991–1999). JAVMA, Vol 218, 2001
  • Bauer et al. Feline leukocyte adhesion (CD18) deficiency caused by a deletion in the integrin beta-2 (ITGB2) gene: Feline leukocyte adhesion deficiency. Vet Clin Pathol. 2017
  • Gaunt et al. Extreme neutrophilic leukocytosis in a dog with hepatozoonosis. J Am Vet Med Assoc. 1983 Feb 15;182(4):409-10.
  • Lobbetti et al. Leukaemoid response in two dogs with Babesia canis infection. J S Afr Vet Assoc.1995 Sep;66(3):182-4.
  • Sharkey et al. Production of granulocyte colony-stimulating factor and granulocyte-macrophage colony-stimulating factor by carcinomas in a dog and a cat with paraneoplastic leukocytosis. J Vet Intern Med. 1996;10:405-408.
  • Hammes et al. Canine sterile neutrophilic dermatosis (resembling Sweet’s syndrome) with severe extracutaneous manifestations. Band 161, Heft 4, April 2019, 231–238,
  • Thompson et al. Paraneoplastic leukocytosis associated with a rectal adenomatous polyp in a dog. J Am Vet Med Assoc. 1992;201:737-738.
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  • Jark et al. Paraneoplastic neutrophilic leukocytosis syndrome in a cat with recurrent mammary carcinoma. Journal of Feline Medicine and Surgery Open Reports. 2015

Danno Epatocellulare, Colestasi ed Insufficienza epatica: facciamo un po’ di chiarezza

Molto spesso la diagnosi di una patologia epatobiliare è complessa e non priva di sfide, sia perché i segni clinici sono spesso aspecifici ed in molti pazienti la malattia può essere subclinica almeno in fase iniziale (ad esempio prima che si manifestino sintomi di insufficienza epatica ci deve essere una marcata riduzione di tessuto epatico funzionale) sia perché raramente è possibile una diagnosi specifica senza l'ausilio di una biopsia istologica. Talvolta nemmeno quest’ultima riesce ad individuare l’eziopatogenesi della condizione in atto. Esami emato-biochimici, esame delle urine, esami citologico ed istologico svolgono comunque un ruolo importante nella diagnosi: in questa pillola cercheremo di definire i principali processi che possono coinvolgere il parenchima epatico e di descrivere le principali alterazioni clinico-patologiche che si possono riscontrare.

DANNO EPATOCELLULARE

Le potenziali cause di danno epatocellulare sono davvero numerose e per un elenco dettagliato rimandiamo a testi di medicina interna.

Più in generale, indipendentemente dalla causa che li danneggia, gli epatociti possono andare incontro a necrosi (danno irreversibile) oppure subire un danno alla membrana cellulare (reversibile o irreversibile) e in entrambi i casi possono rilasciare i loro enzimi citoplasmatici nel torrente circolatorio. Per determinare la presenza e l’eventuale entità di un danno epatico vengono quindi misurate le attività di questi enzimi che sono presenti in alte concentrazioni negli epatociti: un aumento della loro attività sierica NON è dovuta ad un aumento della loro sintesi ma alla loro perdita attraverso le membrane cellulari danneggiate. In generale si considera lieve un aumento di 2-3 volte al di sopra dell’intervallo di riferimento, moderato di 4-5 volte e marcato di 10 volte. I livelli sierici degli enzimi dipendono sia dal numero di cellule coinvolte sia dalla gravità del danno, ma NON sono correlati né con la reversibilità o irreversibilità del danno né con la funzionalità epatica. Infatti, un danno epatocellulare acuto può determinare un aumento marcato degli enzimi sierici ma può essere reversibile, senza evidenti segni clinici e può non compromettere la funzionalità epatica; al contrario, in uno stadio terminale di insufficienza epatica si possono osservare solo lievi aumenti a causa di una marcata riduzione degli epatociti vitali.

 

ALT e AST

I principali enzimi conosciuti e studiati come marker di danno epatocellulare sono: alanina aminotransferasi (ALT o GPT) e aspartato aminotransferasi (AST o GOT).  Segnaliamo anche altri enzimi misurati più raramente quali sorbitolo deidrogenasi (SDH), glutammato deidrogenasi (GLDH), lattato deidrogenasi (LDH). Ad eccezione di SDH e GLDH (utilizzati per di più nei grossi animali), questi enzimi si trovano anche in altri tipi di cellule quindi il loro aumento non è sempre specifico di danno epatico.

L’ALT si trova in alte concentrazioni nel citoplasma (+++) e nei mitocondri degli epatociti ed in misura minore in altri organi tra i quali muscolo scheletrico e cardiaco, rene ed eritrociti (gatto). Viene utilizzata come marker più specifico di danno epatocellulare rispetto alla AST.

L’AST infatti è presente in quantità molto più significative nel muscolo scheletrico, poi in fegato (citoplasma e soprattutto nei mitocondri e quindi indica un danno epatocellulare potenzialmente più grave rispetto alla ALT), cervello, rene, eritrociti e muscolo liscio cardiaco. Un aumento di AST deve sempre essere interpretato insieme al valore di CK (creatinchinasi): un marcato aumento di entrambe a fronte di un aumento non solidale della ALT deve far pensare alla presenza di danno muscolare piuttosto che di danno epatocellulare.

COLESTASI

Per definizione, con colestasi si intende un’interruzione o riduzione del flusso biliare nei canalicoli e/o cistifellea. Si distinguono due tipi di colestasi:

STRUTTURALE (impedimento fisico al flusso biliare)

  • Intraepatica (con coinvolgimento dei canalicoli biliari e dell’area portale): aumento del volume degli epatociti (lipidosi epatica, grave epatopatia da corticosteroidi nel cane, diabete), gravi infiltrati cellulari di natura infiammatoria e neoplasie primarie o metastatiche, fibrosi, presenza di calcoli/fango biliare;
  • Extraepatica (che coinvolge il sistema biliare extraepatico): flogosi (colangiti, pancreatite), neoplasie (pancreas, duodeno, vie biliari), presenza di calcoli/mucocele della cistifellea.

FUNZIONALE (infrequente nel cane, più frequente nel gatto)

In questo caso vi è una ridotta escrezione di bilirubina coniugata per un difetto nei trasportatori necessari per il trasporto attivo degli acidi biliari nei canalicoli; recenti studi indicano che anche nei problemi strutturali la colestasi possa essere dovuta ad un’insufficiente regolazione dei trasportatori. Endotossine batteriche (+++ Escherichia coli e Staphylococcus intermedius), farmaci, ormoni, citochine (TNFα, IL-6), accumulo di acidi grassi liberi possono causare una colestasi funzionale.

È importante sottolineare che in caso di colestasi funzionale potrebbero non riscontrarsi aumenti marcati degli enzimi inducibili ALP e GGT (vedi dopo).

 

ALP e GGT

I principali marker di laboratorio che possiamo misurare per diagnosticare una colestasi sono la fosfatasi alcalina (ALP) e la γ-glutamil transferasi (GGT). ALP e GGT sono enzimi presenti sulla membrana cellulare degli epatociti ma soprattutto delle vie biliari e sono enzimi “inducibili” (a differenza di ALT e AST), ovvero la maggiore attività sierica di questi enzimi è dovuta ad un aumento della loro sintesi. L’ALP è presente in diverse isoforme e si trova associata anche alle membrane cellulari in osso, rene, intestino, placenta ed in misura minima nei leucociti (monoblasti e granulociti eosinofili). SOLO NEL CANE inoltre esiste un’isoforma (C-ALP) indotta dai corticosteroidi (endogeni o esogeni). La GGT invece è presente anche in rene, pancreas, intestino, ghiandola mammaria ed epididimo; anch’essa può essere indotta dai corticosteroidi o da altri farmaci come gli anticonvulsivanti ma in misura nettamente inferiore rispetto a ALP. Sia ALP che GGT aumentano in corso di colestasi poiché l’aumentata pressione che si crea all’interno del sistema biliare induce iperplasia dell’epitelio biliare e di conseguenza un aumento della loro sintesi.

Per quanto riguarda il loro ruolo come marker di colestasi bisogna fare una distinzione tra cane e gatto:

  • Cane: ALP ha una buona sensibilità (circa 85%) ma è meno specifico della GGT in quanto la sua attività può aumentare in corso di diverse altre condizioni, come ad esempio l’induzione da corticosteroidi. La GGT è molto più specifica e più sensibile per colestasi.
  • Gatto: ALP ha una scarsa sensibilità poiché, avendo un’emivita molto breve in questa specie (poche ore) non si riscontrano aumenti marcati in corso di colestasi (fa eccezione la lipidosi, condizione in corso della quale ALP aumenta mentre GGT può essere normale), mente la GGT risulta più sensibile e specifica.

 

BILIRUBINA SIERICA E BILIRUBINURIA

La bilirubina (+++ coniugata) che non riesce ad essere escreta con la bile in corso di colestasi si accumula nel sangue e si riversa nelle urine. ALP e GGT hanno una maggiore sensibilità rispetto alla sola valutazione dei livelli di bilirubina sierica o bilirubinuria in corso di colestasi. L’aumento di bilirubina sierica come marker di colestasi oltre ad essere poco sensibile è inoltre poco specifica, poiché può aumentare sia in corso di ittero pre- epatico, vale a dire in seguito a emolisi gravi e acute, sia in corso di insufficienza epatica (ittero epatico, per incapacità del fegato di coniugare o “processare” la bilirubina).

 

Altre alterazioni clinico-patologiche (poco specifiche) che si possono riscontrare in corso di colestasi sono:

Ipercolesterolemia (per diminuita escrezione del colesterolo nella bile), assorbimento anormale della vitamina K con conseguente carenza dei fattori della coagulazione vitamina k-dipendenti (con allungamento dei tempi coagulativi), aumento della concentrazione degli acidi biliari.

INSUFFICIENZA EPATICA

L'insufficienza epatica rappresenta una grave compromissione della funzionalità epatica dovuta a una perdita superiore al 70-75% del tessuto funzionale epatico. Essa implica una sindrome clinica, cioè segni clinici correlati alla disfunzione epatica (es. encefalopatia epatica, diatesi emorragica, fotosensibilizzazione) e alterazioni degli esami di laboratorio conseguenti all’incapacità del fegato di produrre proteine, eliminare antigeni o altre sostanze tossiche dal sangue (es. ammoniaca, acidi biliari). In base al tempo che impiega il danno funzionale a verificarsi si parla di:

  • INSUFFICIENZA EPATICA ACUTA: insorgenza acuta/improvvisa (da poche ore a pochi giorni) in assenza di patologie epatiche preesistenti. Tra le cause più comuni troviamo farmaci (es. paracetamolo, carprofen, fenobarbital nel cane e diazepam nel gatto, etc), tossine ambientali (es. amanita falloide e aflatossine nel cane, cycas, xylitolo), virus (Herpesvirus, CAV-1), agenti infettivi/endotossine (Leptospira, clostridi, Salmonella), neoplasie, ischemia, lipidosi. In generale la perdita di tessuto epatico funzionale è dovuta alla necrosi e alla risposta infiammatoria del sistema immunitario per il grave danno ossidativo e la produzione di metaboliti attivi.
  • INSUFFICIENZA EPATICA CRONICA: insorgenza lenta (anche di mesi) secondaria ad una patologia epatica preesistente (es epatite cronica attiva, epatite cronica idiopatica o da accumulo di rame).

Quando sono presenti difetti di sintesi o comunque alterazioni di laboratorio che indicano una ipofunzionalità epatica ma non è ancora presente una insufficienza epatica con relativi segni e sintomi clinici è possibile parlare di disfunzione epatica. Un paziente può infatti presentare alterazioni clinico-patologiche suggestive di diminuita funzionalità senza avere una perdita del tessuto funzionale epatico maggiore del 70%; un classico esempio è lo shunt portosistemico in corso del quale possono essere presenti diminuzione dell’urea o aumento degli acidi biliari in assenza di insufficienza epatica.

I difetti di funzionalità epatica (in corso sia di disfunzione che di insufficienza epatica) possono essere sospettati in caso siano presenti le seguenti alterazioni clinico-patologiche (in particolar modo se sono presenti contemporaneamente alcune di esse):

  • ↓ UREA: in seguito a diminuita sintesi a partire da ammonio e cataboliti azotati. Poiché l’urea contribuisce in larga misura a determinare la tonicità della midollare renale, una sua diminuzione comporta una ridotta capacità di concentrare le urine e di conseguenza la comparsa di PU/PD con diminuzione del peso specifico urinario.
  • ↓ COLESTEROLO: per alterazione del metabolismo dei lipidi.
  • ↓ ALBUMINA: in seguito a diminuita sintesi. Può anche diminuire in quanto proteina di fase acuta negativa se presente concomitante flogosi.
  • ↓ GLUCOSIO per diminuzione della gluconeogenesi, delle riserve di glicogeno, per ritardo della clearance dell’insulina.
  • ↑ BILIRUBINA TOTALE (ittero epatico): per diminuzione dell'uptake della bilirubina non coniugata, incapacità di coniugarla ed escretarla con la bile.
  • ALTERAZIONI DEL PROFILO COAGULATIVO CON ↑ PT, ↑ aPTT, ↓FIB, ↓ATIII, ↑ DDIMERI, ↑ FdP: per minor sintesi epatica dei fattori (sia coagulativi che anticoagulanti), difetto di assorbimento della vitamina K (e conseguente mancata funzionalità dei fattori vitamina K dipendenti); una complicanza frequente in corso di insufficienza epatica è la DIC (coagulazione intravasale disseminata) come risultato finale delle alterazioni emostatiche presenti.
  • ↑ ALT, ↑ AST, ↑ALP e ↑ GGT: SOLO ed ESCLUSIVAMENTE nel caso in cui siano presenti oltre alla disfunzione epatica, anche il danno epatocellulare (ad esempio nei casi di insufficienza epatica acuta) e/o la colestasi. È importante sottolineare che se in corso di insufficienza/disfunzione epatiche (soprattutto nel caso di condizioni ad insorgenza cronica) non è presente un danno epatocellulare contemporaneo e “attivo”, enzimi quali ALT, AST, ALP, LDH etc sono negli intervalli di riferimento. Viceversa, come già affermato in precedenza, è possibile che sia presente un severo danno epatocitario, magari localizzato, con marcato aumento di questi enzimi senza che sia presente un danno superiore al 70% della massa funzionale epatica (insufficienza epatica).
  • ESAME DELLE URINE: ↓ peso specifico (per ridotta sintesi di urea), BILIRUBINURIA e presenza di CRISTALLI DI URATO D’AMMONIO, URATI AMORFI E ACIDO URICO (per le elevate concentrazioni di ammoniaca).

Bisogna sempre ricordare che queste alterazioni sono però poco sensibili e specifiche, vale a dire possono rispettivamente non essere presenti nelle forme iperacute o lievi e iniziali che ancora non hanno compromesso la maggior parte della massa funzionale epatica (bassa sensibilità) e possono essere riscontrate anche in corso di altre patologie (bassa specificità), soprattutto nel caso in cui si presentino isolatamente e non tutte insieme.

Altri test di funzionalità epatica che ci possono aiutare nella diagnosi di insufficienza epatica e dei quali parleremo nella prossima pillola di Patologia Clinica, sono:

  • AMMONIEMIA: sensibilità molto alta per insufficienza epatica e shunt porto-sistemico ma campione instabile;
  • ACIDI BILIARI: sensibilità alta per insufficienza epatica e shunt porto-sistemico.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM ECVCP dip. – Dr.ssa Marta Attini, DVM

 

BILIOGRAFIA

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  • DuHadway MR et al. Retrospective evaluation of xylitol ingestion in dogs: 192 cases (2007-2012). J Vet Emerg Crit Care (San Antonio) 25(5): 646-654, 2015
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  • Lawrence YA and Steiner JM. Laboratory evaluation of the liver. Vet Clin North Am Small Anim Pract 47(3): 539-553, 2017
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  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • Tamborini A et al. Bacterial Cholangitis, Cholecystitis, or both in Dogs. J Vet Intern Med 30(4): 1046-1055, 2016
  • Thawley V. Acute Liver Injury and Failure Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2017 May;47(3):617-630.

Esame citofluorimetrico delle masse mediastiniche nel gatto: studio retrospettivo

Le masse mediastiniche in cani e gatti vengono spesso esaminate tramite citologia ma la discriminazione tra due lesioni più comuni quali linfoma e timoma può essere complessa se non impossibile, soprattutto quando i piccoli e medi linfociti rappresentano la popolazione prevalente, caratteristica questa condivisa da entrambe le patologie (Pintore et al, 2014). Diagnosticare con accuratezza una massa mediastinica è importante poiché diverse patologie prevedono approcci terapeutici completamente differenti (asportazione chirurgica o radioterapia in caso di timoma, chemioterapia in caso di linfoma, ad esempio). Nella specie canina la citometria a flusso si è dimostrata in grado di identificare un timoma con elevata specificità (100%) quando è presente in misura maggiore del 10% una popolazione linfocitaria con doppia positività CD4+ e CD8+ (Lana et al 2006). Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare l’utilizzo della citometria a flusso (FC) nella diagnosi di masse mediastiniche nel gatto, descriverne gli aspetti citometrici e la capacità di questa tecnica di differenziare linfomi da lesioni non linfomatose (timomi e non timomi).

I casi inclusi nello studio sono stati raggruppati in due gruppi “linfoma” e “non-linfoma” basandosi sui risultati di istologia, citologia, PARR (PCR for antigen receptor rearrangement), presentazione clinica e follow-up. I parametri di “scatter”, le positività a CD5, CD4, CD8, CD21, CD18 e le loro co-espressioni sono state analizzate utilizzando un approccio multicolore. Sono stati selezionati 20 gatti, 12 con linfoma e 8 casi non linfomatosi.

È stato riscontrato un forward scatter (FSC) più alto nel gruppo “linfoma”; le cellule T con doppia positività CD4 e CD8 si sono rivelate la popolazione dominante in 8 linfomi su 12, mentre le lesioni non linfomatose non hanno mostrato una popolazione dominante in 5 casi su 8. A differenza dei cani, l’elevata prevalenza di linfomi con doppia positività CD4+ e CD8+ nei gatti rende difficile differenziare il linfoma dalle lesioni non linfomatose utilizzando la sola citometria a flusso (FC). I risultati del presente lavoro mostrano quindi che la citometria a flusso (FC) può aggiungere informazioni utili per affinare la diagnosi in alcuni casi.  Depongono a favore della diagnosi di linfoma i seguenti reperti di citometria:

1. Dimensioni elevate dei linfociti (determinabili più accuratamente in citometria che in citologia)

2. Presenza di una popolazione linfocitaria dominante oltre a una popolazione CD4+/ CD8+, presenza di fenotipi aberranti.

Supporta invece la diagnosi di una lesione non linfomatosa la presenza di una popolazione mista di linfociti T composta di CD4+, CD8+, CD4+/CD8+, CD4-/CD8- .

PARR e istopatologia rimangono tecniche necessarie per risolvere la diagnosi differenziale in caso di espansione di cellule linfoidi di piccole/medie dimensioni con doppia positività CD4 e CD8.

 

Dr. Stefano Perfetto, Responsabile laboratorio di Biologia molecolare e Microbiologia clinica

 

Bibliografia:

  • Bernardi et al. Flow Cytometric Analysis of Mediastinal Masses in Cats: A Retrospective Study. Frontiers in Veterinary Science. 2020, 444
  • Pintore L et al. Cytological and histological correlation in diagnosing feline and canine mediastinal masses. J Small Anim Pract. (2014) 55:28–32.
  • Lana S et al.  Plaza S, Hampe K, Burnett R, Avery AC. Diagnosis of mediastinal masses in dogs by flow cytometry. J Vet Intern Med. (2006) 20:1161–5.


Esame citologico liquido sinoviale

Esame del liquido sinoviale nel cane e nel gatto

Il liquido sinoviale è un liquido ad azione protettiva, lubrificante e nutritiva contenuto all’interno delle cavità articolari e prodotto dai sinoviociti, particolari cellule connettivali della membrana sinoviale. E’ composto principalmente da una parte liquida che deriva dall’ultrafiltrazione del plasma sanguigno in cui sono presenti diverse sostanze quali acido ialuronico, glicosaminoglicani, proteine, glucosio e ioni. Il liquido sinoviale in condizioni fisiologiche si presenta come un liquido incolore, sublimpido e viscoso (caratteristica dovuta proprio alla presenza dell’acido ialuronico) ed è generalmente presente in piccole quantità all’interno delle articolazioni (possono essere aspirati in un’articolazione in un cane sano fino ad un massimo di 1 ml e 0,25 ml in un cane di piccola taglia o in un gatto). Variazioni di quantità, viscosità ed aspetto macroscopico del liquido articolare possono indicare una patologia primaria limitata ad una o più articolazioni o una manifestazione di malattia sistemica. Pertanto la raccolta e l’analisi del liquido articolare forniscono informazioni preziose per la diagnosi, la prognosi ed il trattamento di patologie primarie o secondarie a carico dell’articolazione coinvolta.

RACCOLTA DEL CAMPIONE

Una volta effettuato un ago aspirato del liquido articolare (riguardo alle vie d’accesso e tecniche di prelievo delle articolazioni più comunemente campionate si rimanda alla letteratura), il campione va strisciato tal quale direttamente sul vetrino (stessa tecnica di allestimento degli strisci ematici) avendo cura di asciugare molto rapidamente i vetrini, possibilmente utilizzando un phon: la rapida asciugatura è fondamentale per ottenere un buon allestimento del campione. A causa infatti dell’elevata viscosità, il liquido articolare si asciuga lentamente, provocando la coartazione delle cellule presenti rendendole scarsamente valutabili. Nel caso si raccolga una quantità sufficiente di liquido sinoviale, questo deve essere posto in una provetta contenente anticoagulante K3EDTA. Su questo campione sarà possibile effettuare la conta delle cellule nucleate totali e, se refrigerato, in provetta con K3EDTA la morfologia cellulare si conserva per circa 24 ore. Se si sospetta una possibile patogenesi settica, parte del campione deve essere lasciato in siringa o in caso di trasporto prolungato posto in idoneo terreno di trasporto. E’ molto importante che sul modulo di accompagnamento venga segnalato da chi ha effettuato il prelievo l’eventuale rischio (o certezza) di contaminazione ematica iatrogena: in questo caso il campione presenta striature di sangue oppure appare limpido all’inizio dell’aspirazione e diventa rossastro solo successivamente.

ANALISI DEL LIQUIDO SINOVIALE

Gli esami di laboratorio eseguibili sul campione dipendono principalmente dal volume di liquido raccolto e possono essere così schematicamente suddivisi:

  • Aspetto macroscopico del liquido sinoviale: volume, colore e torbidità, viscosità. Viene inoltre valutato il tixotropismo, ovvero la capacità di un fluido colloidale di variare la propria viscosità se sottoposto a sollecitazioni (basta agitare la provetta con K3EDTA);
  • Conta totale delle cellule nucleate: può essere manuale (con emocitometro) o automatizzata. Nel nostro laboratorio la conta cellulare viene effettuata con il citometro a flusso Sysmex dopo trattamento con Ialuronidasi per diminuirne la viscosità;
  • Esame citologico;
  • Eventuali esami aggiuntivi (es. esame colturale, PCR…) per l’identificazione di agenti patogeni.

LIQUIDO SINOVIALE NORMALE

Il liquido sinoviale normale è incolore/giallo chiaro, viscoso e di bassa cellularità. In caso di contaminazione ematica durante il prelievo può assumere colorazione rosata (un liquido sinoviale normalmente contiene pochissimi eritrociti, circa 1000/µL). La conta delle cellule nucleate varia da specie a specie ed a seconda dell’articolazione coinvolta, ma generalmente è inferiore a 1000/µL (nel cane viene considerato patologico un liquido sinoviale con cellule nucleate >3000/µL). Le cellule sono costituite per circa il 50-90% da cellule mononucleate (monociti, macrofagi e cellule di rivestimento sinoviale ma citologicamente non è possibile distinguerne l’origine), <20% di piccoli linfociti e <10% di granulociti neutrofili non degenerati. A causa dell’elevata viscosità, le cellule si dispongono allineate “in fila indiana” (nel caso di campioni di scarso volume ciò può però non verificarsi anche se la viscosità è normale). Sul fondo si osserva moderato/abbondante materiale proteinaceo granulare rosato. La concentrazione proteica solitamente è <2,5 g/dl, ma non vi sono molti studi in letteratura riguardo i valori di riferimento in articolazioni normali (Figura 1).

LIQUIDO SINOVIALE PATOLOGICO

In condizioni patologiche, si osservano generalmente un’alterazione del colore, un aumento di volume e di torbidità ed una minore viscosità del liquido sinoviale. La conta cellulare è spesso aumentata così come la concentrazione proteica ma talvolta possono non esserci alterazioni rilevanti di questi parametri. Il quadro citologico del liquido sinoviale è in genere aspecifico, fatta eccezione nei casi in cui si osservano agenti eziologici (amastigoti di Leishmania o morule di Anaplasma ad esempio) o quando è possibile osservare le LE cells, la cui identificazione in un contesto clinico e clinico patologico compatibili e unitamente ad altri criteri diagnostici supporta la diagnosi di Lupus Eritematoso Sistemico (Melendez Lazo et al 2013).

Pertanto, un liquido sinoviale patologico viene solitamente classificato in 3 principali categorie poco specifiche:

  • EMARTRO ACUTO
  • ARTROPATIA DEGENERATIVA (NON INFIAMMATORIA)
  • ARTROPATIA INFIAMMATORIA infettiva e non infettiva

Non tutti i liquidi rientrano perfettamente in questa classificazione e spesso (soprattutto nel caso di patologie croniche) i pattern possono essere misti e poco chiari. Per esempio, l’emartro stimola già in poche ore una risposta infiammatoria importante e può evolvere in un’artropatia degenerativa cronica se non adeguatamente trattato.

1) EMARTRO ACUTO

Le principali cause di emartro acuto sono le coagulopatie (specialmente da carenza di fattori della coagulazione come nell’emofilia A) e i gravi traumi acuti. Il liquido raccolto è di colore rossastro e la torbidità è aumentata in maniera direttamente proporzionale all’entità dell’emorragia presente, mentre la viscosità è inversamente proporzionale. La concentrazione proteica sarà invece maggiore così come la conta cellulare: le cellule nucleate presenti saranno leucociti di derivazione ematica. In presenza di un liquido di colore rossastro, la prima cosa da fare è quella di escludere una possibile contaminazione ematica durante il prelievo. Macroscopicamente il clinico può notare se il liquido raccolto è ematico già all’inizio dell’artrocentesi o se lo diventa in un secondo momento (segno di emorragia iatrogena). Citologicamente in un emartro non si osservano piastrine e sono ben evidenti reperti di eritrofagocitosi recente e non recente con macrofagi attivati contenenti eritrociti, emosiderina e più raramente ematoidina; in caso di emorragia iperacuta questi reperti possono non essere ancora presenti. Nel caso in cui la contaminazione ematica sia iatrogena (Figura 2) non si osserva eritrofagocitosi ed è possibile, anche se non sempre, osservare piastrine. Poiché anche in caso di contaminazione ematica iatrogena è possibile che l’eritrofagocitosi avvenga in vitro nelle ore successive al prelievo, si raccomanda di allestire subito gli strisci.

2) ARTROPATIA DEGENERATIVA (NON INFIAMMATORIA)

Un’artropatia degenerativa può essere dovuta a traumi (per lo più cronici) o a malattie degenerative acquisite o congenite delle articolazioni. Il liquido articolare spesso è di colore e torbidità normali e viscosità leggermente diminuita ma si osserva un aumento di volume (idroartrosi) ed un aumento della concentrazione proteica (generalmente <4 g/dl). Per quanto riguarda la conta cellulare, essa può essere normale o lievemente aumentata (solitamente comunque <5000 cellule/µL) con una marcata predominanza di voluminose cellule mononucleate attivate (macrofagi e sinoviociti) vacuolizzate, eventualmente in fagocitosi di detriti cellulari, talora bi/trinucleate, talvolta tendenti a una lassa coesività (Figura 3). I granulociti neutrofili solo raramente possono essere in percentuale lievemente maggiore rispetto alla normalità. In caso di danni gravi alla cartilagine articolare si possono osservare assai raramente osteoclasti e condrociti suggestivi di danno o erosione della cartilagine con esposizione dell’osso subcondrale.

Le neoplasie articolari primarie o metastatiche sono rare e assai raramente esfoliano cellule all’interno del liquido sinoviale (si tratta soprattutto di sarcomi), pertanto la presenza di cellule neoplastiche nel versamento articolare è un’evenienza piuttosto infrequente.

3) ARTROPATIA INFIAMMATORIA

Le cause di artropatia infiammatoria sono numerose e possono essere schematicamente suddivise in due gruppi: infettive e non infettive. In entrambi i casi si osserva un aumento di volume del liquido sinoviale e una diminuzione della viscosità direttamente proporzionale all’entità della flogosi. Il liquido articolare appare torbido, eventualmente rosato o brunastro (in presenza di emorragia). La conta cellulare e la concentrazione proteica sono solitamente aumentate in modo marcato (>5000 cellule/µL e >3 g/dL) con una marcata predominanza di granulociti neutrofili (>10%) ed un modico aumento di cellule mononucleate.

a) Artrite Infettiva

Le artriti infettive sono piuttosto comuni in cavalli, camelidi e bovini e più rare nel cane e nel gatto; in queste ultime due specie quando si sviluppano sono più frequentemente di origine batterica. Assai più rare sono le artriti protozoarie, virali o fungine.

In corso di flogosi batterica è più comune osservare granulociti neutrofili ben conservati e non degenerati, così come osservare fagocitosi batterica è un evento infrequente (circa 50% dei casi di artrite batterica) (Figura 4); la mancanza di questi aspetti diagnostici rende complessa la possibilità di differenziare flogosi neutrofiliche settiche da artriti immunomediate, anch’esse caratterizzate dalla presenza di una popolazione prevalente – unica di granulociti neutrofili ben conservati.

Batteri: i batteri solitamente causano una monoartrite come complicanza di ferite penetranti o interventi chirurgici, anche se il coinvolgimento di più articolazioni può verificarsi nel caso di diffusione ematogena, in corso di patologie ombelicali o endocarditi batteriche ad esempio. I microrganismi più comunemente coinvolti sono: Pasteurella, Salmonella, Corynebacterium, E. Coli, Stafilococchi, Streptococchi e Mycoplasma. In caso di sospetta artrite batterica deve essere richiesto un esame colturale, in genere soltanto per batteri aerobi. Il liquido sinoviale dell’articolazione coinvolta può essere conservato nella siringa se il campione può arrivare al laboratorio entro poche ore, oppure deve essere raccolto in idoneo terreno di trasporto. Sfortunatamente la sensibilità dell’esame colturale per questo tipo di campione è piuttosto bassa e frequentemente si ottengono falsi negativi (in alcuni lavori nel cane nel 20-50% dei casi). Alcuni Autori hanno suggerito di utilizzare tecniche di arricchimento per aumentare la possibilità di isolare i batteri nel liquido sinoviale, ma mentre in alcuni articoli è stata dimostrata una sensibilità superiore di questa tecnica, in altri questa non si è rivelata migliore delle classiche tecniche di semina. Le ipotesi suggerite per spiegare la scarsa sensibilità nell’isolare batteri in corso di artrite settica sono: terapie antibiotiche in atto, basso numero di batteri, elevata presenza di neutrofili nel campione (Scharf et al 2015; Montgomery et al 1989).

Malattie da vettore: molto raramente è stata riportata la presenza di morule di Anaplasma phagocytophilum nei granulociti neutrofili (carica molto bassa, di solito <5% delle cellule). Anche Borrelia Burgdorferi (Malattia di Lyme) può causare mono – poliartriti di natura migrante (per infezione articolare diretta o deposizione di immuno – complessi). Nel cane sono state anche associate poliartriti a infezioni da Ehrlichia, sebbene in un recente studio in soggetti infettati sperimentalmente con Ehrlichia canis non sono state rilevate alterazioni citologiche del liquido sinoviale riferibili ad artrite. Pertanto, un’infezione da Ehrlichia canis dovrebbe essere considerata una causa piuttosto rara di artrite nei cani (Theodoru K et al., 2015). In cani affetti da Leishmaniosi  possono infine essere riscontrati amastigoti di Leishmania all’interno dei macrofagi nel liquido articolare.

Tutti i cani con poliartrite che soggiornano o hanno soggiornato in aree endemiche andrebbero testati per Anaplasma p., Ehrlichia c. (sebbene non sia certo il suo ruolo causale in corso di poliartrite), Borrelia b. e Leishmania. Poiché è possibile che i cani con poliartrite da Leishmania abbiano solo la forma localizzata e non quella sistemica, ricordiamo che è evento abbastanza frequente (57% dei casi) che tali pazienti abbiano titoli anticorpali negativi; l’unico modo per attribuire a Leishmania la poliartrite è quindi osservare gli amastigoti nell’esame citologico oppure effettuarne ricerca in PCR sul liquido sinoviale (possibili falsi negativi) (Sbrana S et al., 2014).

Virus: il Calicivirus nei gattini di età compresa tra 6 e 12 settimane può produrre un’artrite costituita da liquido limpido con un moderato aumento del numero di macrofagi. Il virus della leucemia felina (FeLV) può indurre una poliartrite erosiva.

Funghi: le artriti micotiche sono estremamente rare sia nel cane che nel gatto e possono svilupparti sia per estensione di una osteomielite sia per via ematogena.

b) Artrite non infettiva

La causa più comune di artrite infiammatoria non infettiva nel cane è quella immunomediata, mentre nella specie felina sono assai più comuni le forme infettive e molto rare quelle immunomediate. Dal punto di vista clinico e clinico – patologico si tratta di un gruppo eterogeneo di patologie che generalmente coinvolgono più articolazioni e determinano zoppie migranti.

Cane: In uno studio su 39 cani con poliartrite immunomediata (Clements DN et al., 2004), la conta delle cellule nucleate variava da 3700 a 170000/µl, con il 20-98% di granulociti neutrofili. Le cause includono Lupus Eritematoso Sistemico (LES), artrite reumatoide, poliartrite erosiva, vasculite (es. Febbre dello Sharpei), poliartrite giovanile degli Akita Inu. Alcune di queste poliartropatie sono associate a neoplasie sottostanti o patologie gastrointestinali, reazioni da farmaci (es. i farmaci a base di zolfo possono provocare una poliartrite da ipersensibilità di tipo ritardato in alcune razze predisposte come i Dobermann). Il test degli anticorpi antinucleari ed il test del fattore reumatoide possono essere utili per diagnosticare una forma immunomediata.

Gatto: Si distinguono principalmente due forme di poliartrite di origine immunomediata: erosiva e non erosiva. La forma erosiva si verifica esclusivamente nei gatti maschi interi o castrati e sono state descritte due forme cliniche dell’affezione: il tipo proliferativo periostale, che presenta esordio e decorso acuto e il tipo deformante con esordio insidioso e decorso progressivo. La poliartrite cronica progressiva può essere associata al Virus della Leucemia Felina (FeLV) o all’infezione sostenuta dal virus sinciziale felino. Le cause della poliartrite non erosiva (che generalmente colpisce le articolazioni distali) possono essere idiopatiche o secondarie a LES, farmaci (trimetoprim – sulfonamidici), malattie infiammatorie (ad es. patologie gastrointestinali) e neoplasie.

Le alterazioni del liquido sinoviale in tutte queste patologie sono abbastanza sovrapponibili ed indistinguibili tra loro; citologicamente si osserva sempre un aumento dei granulociti neutrofili non degenerati che prevalgono nettamente (Figura 5) e talvolta un aumento del numero di cellule mononucleari. L’unica artropatia infiammatoria non infettiva che può essere distinta citologicamente è quella da Lupus Eritematoso Sistemico (LES): raramente in alcuni cani affetti da questa patologia possono essere presenti nel liquido sinoviale le cellule LE (granulociti neutrofili che contengono un residuo di acido nucleico di grosse dimensioni e di colore viola omogeneo che sposta il nucleo dei neutrofili a lato delle cellule) (Melendez Lazo et al 2013). Sfortunatamente mentre la presenza di queste cellule consente di diagnosticare il LES, non trovarle non consente di escluderlo (bassa sensibilità). I ragociti sono granulociti neutrofili che contengono numerosi granuli violacei la cui composizione è di origine dubbia (si ipotizza che le inclusioni possano derivare da detriti nucleari o deposizione di immuno-complessi e istoni o particelle di DNA); tali cellule possono essere osservate in corso sia di LES che di altre patologie immunomediate (Figura 6 e Figura 7).

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM Dip. ECVCP – Dr.ssa Marta Attini, DVM

 

BIBLIOGRAFIA

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  • https://www.vetjournal.it/images/archive/pdf_riviste/1440.pdf
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  • V F Scharf et al. Retrospective evaluation of the efficacy of isolating bacteria from synovial fluid in dogs with suspected septic arthritis Aust Vet J. 2015 Jun;93(6):200-3.
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  • Raskin RE, Meyer DJ. Canine and feline cytology – A Color Atlas and Interpretation Guide. 2°edizione Elsevier Saunders, St.Louis, Missouri, 2010
  • Sbrana S et al. Retrospective study of 14 cases of canine arthritis secondary to Leishmania infection. J Small Anim Pract 55(6): 309-313, 2014
  • Theodoru K et al. Synovial fluid cytology in experimental acute canine monocytic ehrlichiosis (Ehrlichia canis). Veterinary Microbiology 177: 224-227, 2015


Trombocitosi nel cane e nel gatto

Con trombocitosi si intende un numero di piastrine per microlitro superiore all’intervallo di riferimento. Questo dato deve essere confermato dalla valutazione microscopica dello striscio ematico: ad un aumento del numero di piastrine contato dallo strumento corrisponde in genere una stima piastrinica aumentata con un numero di piastrine per campo ad immersione 100x superiore a circa 30 (nel cane) e circa 48 (nel gatto) (Intervalli di riferimento secondo Stockham S, 2002). Nel caso in cui l’aumento del numero di piastrine sia lieve – moderato, la stima piastrinica potrebbe anche risultare normale. La conferma microscopica del dato strumentale è necessaria poiché le contaglobuli soprattutto a impedenza (più raramente laser) possono contare erroneamente come piastrine frammenti di eritrociti o di citoplasma di cellule nucleate circolanti, portando a una falsa sovrastima.  La trombocitosi può essere primaria o secondaria:

Trombocitosi primaria

Si tratta della trombocitemia essenziale (leucemia cronica delle piastrine), rara malattia mieloproliferativa che può essere diagnosticata soltanto escludendo tutte le cause secondarie di trombocitosi; l’esame citologico del midollo osseo non è risolutivo poiché rivela un’iperplasia megacariocitica, riscontrabile anche in altre condizioni neoplastiche oppure infiammatorie.

Trombocitosi secondaria

Le trombocitosi reattive sono le più comuni e possono essere secondarie a un ampio ventaglio di condizioni patologiche: neoplasie, infiammazioni, anemie immunomediate, traumi e anemia da carenza di ferro. Questi stati patologici causano il rilascio di citochine infiammatorie, come ad esempio di interleukina- 6, che aumentano la sintesi a livello epatico di una glicoproteina, la trombopoietina, che ha il compito di stimolare la proliferazione dei megacariociti e la successiva produzione di piastrine.  Anche l’eritropoietina sembrerebbe avere un parziale effetto di megacariopoiesi per cui nei casi di anemia con aumentata produzione di eritropoietina è possibile che anche la linea megacariocitica risponda diventando iperplastica. Il lavoro retrospettivo di Woolcock et al. (2017) su 715 cani con trombocitosi ha dimostrato che le cause più frequenti in questa specie sono neoplasie (soprattutto carcinomi e linfomi), stati infiammatori (patologie immunomediate, gastrointestinali ed epatobiliari) ed endocrinopatie (iperadrenocorticismo, diabete mellito e ipotiroidismo). Un lavoro meno recente su 165 cani di Neel et al. (2012) conferma le neoplasie come causa più frequente di trombocitosi (linfoma e mastocitoma sono le neoplasie più rappresentate), seguite da flogosi (soprattutto pancreatite, epatite cronica e IBD) e malattie endocrine (diabete mellito, iperadrenocorticismo e ipotiroidismo). Nel gatto le cause reattive più comuni sono le malattie infiammatorie ed infettive, soprattutto a carico dell’apparato gastroenterico.

Altre cause di trombocitosi secondaria meno frequenti possono essere:

  • T. indotta da farmaco: alcuni farmaci chemioterapici come la doxorubricina possono dare effetto “rebound” del midollo osseo in seguito a una mielosoppressione, mentre la vincristina (utilizzata anche per il trattamento della trombocitopenia immunomediata) stimola direttamente la produzione e il rilascio di piastrine. Non è invece noto il meccanismo fisiopatologico secondario alla somministrazione di glucocorticoidi.
  • T. post splenectomia: la milza contiene circa 1/3 della massa piastrinica e ha inoltre il compito di distruggere le piastrine “invecchiate” o danneggiate. In seguito a splenectomia è frequente riscontrare trombocitosi transitoria o persistente (anche della durata di diversi mesi) perché le piastrine perdono il loro sito di stoccaggio naturale e perché hanno una emivita maggiore per la mancata emocateresi.
  • T. post trombocitopenia: dopo episodi di trombocitopenia è possibile osservare trombocitosi da “rebound” secondaria all’iperplasia megacariocitica che avviene in risposta all’aumento di tromboietina.

Trombocitosi e ipercoagulabilità

In letteratura veterinaria non è stata dimostrata un’associazione tra trombocitosi e fenomeni tromboembolici, sebbene sia stata sospettata. Un lavoro recente di Phipps et al. (2020) ha evidenziato che in cani splenectomizzati si può sviluppare uno stato di ipercoagulabilità (alterazioni del tromboelastogramma associate a marcata trombocitosi) nelle due settimane post-operatorie, ipotizzando un maggior rischio in questi soggetti di trombosi portali o polmonari, sebbene nessuno dei cani inclusi nello studio abbia sviluppato trombi. Perciò, non è chiaro se questa associazione (ipercoagulabilità – trombocitosi) esiti realmente in fenomeni tromboembolici.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM Dipl. ECVCP - Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

Bibliografia:

  • Woolcock AD et al. Thrombocytosis in 715 Dogs (2011–2015). J Vet Intern Med 2017
  • Neel A et al. Thrombocytosis: a retrospective study of 165 dogs Vet Clin Pathol. 2012 Jun;41(2):216-22.
  • Rizzo F et al. Thrombocytosis in cats: a retrospective study of 51 cases (2000-2005). Journal of Feline Medicine and Surgery (2007) 9, 319-325
  • Phipps E et al. Postoperative thrombocytosis and thromboelastographic evidence of hypercoagulability in dogs undergoing splenectomy for splenic masses J Am Vet Med Assoc 2020 Jan 1;256(1):85-92.
  • Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition Elsevier, 2012
  • Stockham SL. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology, I ed., 2002
  • https://eclinpath.com/hemostasis/disorders/platelet-numbers/

 


L'amiloidosi nel cane e nel gatto

Con il termine AMILOIDOSI si intende un gruppo eterogeneo di patologie caratterizzate dalla deposizione extracellulare di fibrille di circa 10 nm di diametro in vari tessuti; esse sono formate dalla polimerizzazione di subunità proteiche con una specifica conformazione a β foglietti. Questa particolare struttura conferisce caratteristiche peculiari ottiche e tintoriali ai suoi depositi (vedi oltre) e ne determina l’insolubilità e la resistenza alla proteolisi in vivo.

Dal punto di vista ultrastrutturale, queste fibrille hanno composizione chimica variabile in quanto il peptide amiloidogenico (costituente della parte più esterna, pari al 95%) deriva dalla deposizione di una proteina differente a seconda della patologia in atto. La deposizione può avvenire per due meccanismi: per una mutazione genetica della proteina o per l'azione di una proteasi che ne deforma la struttura. Internamente, l'amiloide è invece composta da un nucleo di componente AP (amyloid P component), glicoproteina globulare ed aggregati di condroitinsolfato ed eparansolfato.

Le amiloidosi sono classificate secondo due principi: distribuzione dei depositi e proteina d’origine coinvolta.

1) DISTRIBUZIONE DEI DEPOSITI

Si tratta di una classificazione   di tipo clinico che distingue due forme: localizzata e sistemica. La forma localizzata colpisce un solo organo ed è piuttosto rara negli animali domestici. Ne sono un esempio l’amiloidosi delle isole pancreatiche del gatto (le cellule β del pancreas producono in quantità eccessiva amilina che si deposita tra di esse danneggiandole fino a causare un diabete principalmente di tipo II) e il plasmocitoma extramidollare cutaneo o gastroenterico (producono sostanza amiloide associata alle globuline).

La forma sistemica è invece la più frequente e coinvolge più organi; comprende la forma reattiva, la forma di carattere ereditario-familiare e quella associata a discrasia delle immunoglobuline. Nel cane e nel gatto la deposizione di sostanza amiloide avviene principalmente nel rene e nel fegato, ma possono anche essere coinvolti altri tessuti (cuore, milza, surreni, linfonodi, pancreas e tratto gastroenterico, sistema nervoso, vasi sanguigni). La deposizione può essere talmente grave da determinare la rottura dell’organo coinvolto.

2) BIOCHIMICA DELLA PROTEINA COINVOLTA

Esistono diversi tipi di proteine (circa 20-25) che possono determinare l’amiloidosi, ma le principali sono essenzialmente due: AA (la più comune) e AL.

La forma AA (AA amiloide) è un frammento derivante dalla degradazione della proteina di fase acuta positiva SAA (siero amiloide A) prodotta principalmente dal fegato. In caso di infezione/infiammazione cronica (+++), neoplasie e traumi, questa proteina è prodotta in quantità eccessive (può aumentare di centinaia di volte la sua concentrazione normale sierica) e viene attaccata dai macrofagi tramite gli enzimi lisosomiali nel tentativo di degradarla.  In alcuni casi quello che però si ottiene è un’alterazione parziale della proteina SAA che diventa fibrillare, non più idrosolubile e che quindi si deposita nei tessuti in forma AA; questo è ciò che avviene nelle forme reattive e di carattere ereditario – familiare.

La forma AL (AL amiloide) invece è meno comune e deriva dalle catene leggere delle Immunoglobuline prodotte da plasmacellule neoplastiche in corso di mieloma multiplo o di linfoma B secernente immunoglobuline (più raro).

Le principali forme cliniche riportate in letteratura veterinaria sono:

  • amiloidosi di carattere ereditario – familiare reattiva, segnalata nei cani di razza Shar-Pei, Beagle e Fox Hound e nei gatti di razza Abissino, Siamese ed Orientale a pelo corto (forma sistemica e deposizione di AA)
  • amiloidosi reattiva secondaria (forma sistemica e deposizione di AA)
  • amiloidosi da discrasia delle plasmacellule (forma sistemica e deposizione di AL).

In letteratura non sono segnalate particolari predisposizioni di sesso ed età dei pazienti che possono sviluppare l’amiloidosi (nella forma di carattere ereditario-familiare può presentarsi più frequentemente in giovane età). I depositi di amiloide si riscontrano meno frequentemente nel fegato e più frequentemente nel rene, con una differenza sostanziale tra cane e gatto, ovvero nel cane è più spesso coinvolta la porzione glomerulare, mentre nel gatto quella tubulo-interstiziale. Vi sono però alcune eccezioni: nei cani di razza Shar-Pei la deposizione di sostanza amiloide è tubulo-interstiziale, mentre nei gatti di razza Abissino può essere anche glomerulare. Inoltre, nei gatti di razza Siamese ed Orientale a pelo corto la deposizione di sostanza amiloide è primariamente epatica.

La sintomatologia clinica dell’amiloidosi non è specifica ma variabile per il suo carattere prevalentemente sistemico e dipende dall'estensione del danno funzionale degli organi e dei tessuti colpiti. È bene ricordare che molto spesso il riscontro di deposizioni amiloidi locali o sistemiche (soprattutto di modica entità) è un reperto “accidentale” clinicamente non significativo riscontrato durante altre indagini diagnostiche.

Anche dal punto di vista clinico – patologico le alterazioni di laboratorio possono non essere rilevanti e/o specifiche a seconda dell’entità della deposizione, del tipo di proteina amiloide e dell’organo coinvolto.

In sintesi, i quadri clinico patologici più comuni sono:

  • deposizione renale: aumento dei valori sierici di azotemia e creatinina in genere tardivi, proteinuria anche molto marcata ma solo in caso di deposizione glomerulare, possibile ipercolesterolemia (sindrome nefrosica);
  • deposizione epatica: alterazioni riconducibili ad insufficienza epatica (ipoprotidemia con ipoalbuminemia, diminuzione della concentrazione sierica dell’urea, allungamento di PT, APTT, diminuzione del fibrinogeno). Generalmente non c’è aumento delle transaminasi;
  • nel caso di amiloidosi di tipo AL: possibile picco monoclonale in β – γ nell’elettroforesi sieroproteica e/o proteinuria di Bence Jones nell’elettroforesi delle proteine urinarie SDS-AGE.

La misurazione della SAA sfortunatamente non offre indicazioni utili poiché non è necessariamente elevata in corso di amiloidosi ed essendo semplicemente una proteina di fase acuta positiva aumenta in modo aspecifico in corso di qualsiasi flogosi.  

DIAGNOSI

La diagnosi di amiloidosi è citologica e soprattutto istologica (gold standard). La sostanza amiloide si colora di rosa intenso (talvolta arancione) con colorazioni citologiche di tipo Romanowsky e con ematossilina – eosina nei preparati istologici ed appare come un denso materiale amorfo extracellulare, talvolta chiaramente fibrillare che si dispone tra le cellule del parenchima coinvolto. La colorazione Rosso Congo è la colorazione più comunemente usata per l'identificazione dell'amiloide in citologia ed istologia. Con questa metodica, l'amiloide si colora di arancione – rosso sotto microscopia ottica e appare come un materiale birifrangente verde mela sotto luce polarizzata. Per tipizzare le principali due forme di proteina amiloide (AA e AL) può essere utilizzato il permanganato di potassio con soluzione al 5%: l’AA amiloide si decolora e perde l’affinità con il Rosso Congo e la proprietà di birifrangenza, mentre AL amiloide mantiene le sue caratteristiche tintoriali.

Infine, l'immunoistochimica può essere utilizzata non solo per identificare i depositi di amiloide ma anche per tipizzare i componenti specifici dei depositi: solitamente si utilizzano anticorpi per le catene leggere dell’AL o per dimostrare la deposizione AA nelle forme familiari.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM Dipl. ECVCP – Dr.ssa Marta Attini, DVM

 

Bibliografia:

  • Asproni P et al. Amyloidosis in association with spontaneous feline immunodeficiency virus infection. Journal of Feline Medicine and Surgery 15(4): 300–306, 2012
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