Il fenobarbitale è uno dei farmaci più utilizzati per la terapia di pazienti epilettici. Per il 50% è legato a proteine di trasporto, viene metabolizzato a livello epatico e circa un terzo viene escreto dalle urine. È generalmente ben tollerato, ma come ogni farmaco ha degli effetti collaterali; quelli prevedibili e dose dipendenti sono legati a cambio del comportamento, sedazione, atassia, ipereccitabilità ed irrequietezza. Gli effetti collaterali legati alla terapia sul lungo periodo comprendono poliuria e polidipsia, polifagia e aumento di peso. Da un punto di vista emato-biochimico, nei pazienti trattati con fenobarbitale è frequente osservare:

  • Ipertrigliceridemia (e conseguente lipemia macroscopicamente evidente) poiché il farmaco aumenta la produzione di lipoproteine VLDL a livello epatico;
  • Aumento della fosfatasi alcalina che può verificarsi già a partire da due settimane dall’inizio della terapia e che può persistere per due- quattro settimane anche dal termine della stessa: il fenobarbitale induce una aumentata sintesi da parte degli epatociti di ALP (isoenzima L-ALP). Anche la produzione di ALT e GGT (transitoria) può essere indotta dal farmaco, e pertanto il loro ruolo diagnostico per epatopatia è limitato;
  • Diminuzione di tiroxina totale (TT4) e libera (fT4) con il rischio di misclassificare i pazienti come ipotiroidei;
  • Epatotossicità, che solitamente è dose- dipendente e in base alla durata del trattamento (almeno dopo un anno). L’aumento di AST, acidi biliari basali, bilirubina e diminuzione di albumina non sono da considerarsi come indotti dal farmaco (come per ALP, GGT e AST) e quindi dovrebbero essere indagati.

Gli effetti potenzialmente più rischiosi per al vita del paziente sono però gli effetti collaterali idiosincrasici, ovvero quelli non prevedibili e indipendenti dai meccanismi d’azione del farmaco. Questi sono circoscritti a un numero limitato di soggetti e non sono dose dipendenti, ma legati a una predisposizione individuale a produrre dei metaboliti reattivi che causano stress ossidativo e/o stimolano una reazione immunitaria umorale o cellulo- mediata. I bersagli più colpiti sono il fegato (epatotossicità acuta), la cute (dermatite necrolitica superficiale), il midollo osseo e le cellule circolanti.

La discrasia da fenobarbitale è la conseguenza più grave anche se di bassa prevalenza (dallo studio di Bersan et al. interessa il 4.2% dei soggetti in terapia con fenobarbitale). Da un punto di vista ematologico i soggetti presentano gravi bi- tricitopenie periferiche (combinazione di neutropenia, trombocitopenia e anemia) e clinicamente manifestano letargia, abbattimento, mucose pallide e molto frequentemente ipertermia; il quadro clinico generalmente è secondario alle infezioni che i pazienti contraggono in quanto immunodepressi per la grave neutropenia. La sintomatologia e le alterazioni ematologiche compaiono in media dopo sei mesi dall’inizio della terapia a dosaggio standard. Non vi sono riportate predisposizioni di razza ed età, solo una maggiore prevalenza nei maschi; la completa remissione si ha in media dopo 17 giorni dall’interruzione del farmaco.

Non è ancora del tutto chiaro il meccanismo che vi è alla base della discrasia; si ipotizza che possa essere conseguente a una distruzione immunomediata delle cellule nel sangue periferico o dei precursori a livello midollare prima che vengano rilasciate in circolo le cellule mature. Lo studio di Bersan et al. riporta in cinque cani con pancitopenia un quadro midollare di ipercellularità delle tre linee con aumento del comparto proliferativo e quello maturativo meno rappresentato. Altre ipotesi sono la necrosi midollare oppure una dismielopoiesi secondaria, ipotizzata nel case report di Mathis et al., dove è riportato un quadro midollare di ipoplasia della linea eritroide e megacariocitica con iperplasia della linea mieloide con prevalenza di mieloblasti; la neutropenia periferica può essere interpretata come combinazione del quadro midollare (ridotta produzione) e la concomitante presenza di un focolaio settico (aumentato consumo).

Tra le reazioni idiosincrasiche da fenobarbitale è riportato inoltre, sia nel cane che nel gatto, lo pseudolinfoma, una forma di ipersensibilità nota anche in medicina umana come reazione avversa da farmaci antiepilettici; essa è caratterizzata da ipertermia, linfoadenomegalia generalizzata e epatosplenomegalia. Infine, in un solo gatto, è stata segnalata ipertermia di origine sconosciuta dopo una settimana dall’inizio della terapia con fenobarbitale. Entrambe queste condizioni patologiche si sono risolte rapidamente in seguito all’interruzione del farmaco.

Secondo le linee guida proposte dall’International Veterinary Epilepsy Task Force (2015), prima di iniziare una terapia con fenobarbitale, è necessario avere un quadro emato-biochimico completo del paziente (esame emocromocitometrico, profilo biochimico comprensivo di trigliceridi, colesterolo, acidi biliari basali e post prandiali); al fine di diagnosticare precocemente qualsiasi effetto collaterale, questi esami devono essere ripetuti dopo tre mesi dall’inizio della terapia e successivamente a cadenza semestrale per tutta la durata del trattamento.

In considerazione della presentazione clinica (bi-tricitopenia associata frequentemente a ipertermia), tra le principali diagnosi differenziali ricordiamo alcune malattie da vettore come Ehrlichia o Leishmania, sepsi gravi con complicanze come SIRS e DIC, leucemie acute (anche aleucemiche!). La raccolta dettagliata dell’anamnesi è di fondamentale importanza per scegliere il percorso diagnostico: la possibile assunzione di farmaci (non solo di fenobarbitale) deve sempre essere indagata, così come il rischio di esposizione a malattie da vettori.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM ECVCP dipl. – Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

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