Relazioni cell – into – cell

In citologia sono descritte differenti condizioni in cui cellule vengano fagocitate da altre, sia in condizioni neoplastiche che non. Il termine “fagocitosi” deve essere riservato alle cellule che hanno una competenza fagocitica (macrofagi, istiociti) perché il meccanismo che vi è alla base prevede la presenza di pseudopodi e lisosomi con azione digestiva; per le altre cellule che manifestano un comportamento di “internalizzazione” sono riservate altre terminologie.

Con cannibalismo si intende la capacità di alcune cellule neoplastiche ad attività non fagocitica di internalizzare attivamente e in maniera irreversibile cellule del sistema immunitario o della loro stessa origine. Vi possono essere differenti forme di cannibalismo in base alle cellule che vengono coinvolte in questo processo: auto- cannibalismo (autofagia) è una condizione fisiologica di riciclo energetico da parte della stessa cellula che auto- fagocita i propri organelli dopo un periodo di carenza energetica; cannibalismo omotipico è quando una cellula tumorale inghiotte altre dello stesso tipo; xenocannibalismo avviene quando cellule neoplastiche inghiottono altre di diversa origine, solitamente leucociti. Le cellule internalizzate vengono digerite da specifici enzimi contenuti nei vacuoli delle cellule cannibali, fornendo loro in questo modo sostentamento e rendendole più resistenti ad eventuali condizioni sfavorevoli causate da una riduzione dell’apporto nutritivo nei tumori solidi a rapida crescita. Il cannibalismo cellulare deve essere differenziato dalla sovrapposizione visiva di altre cellule che può capitare in casi di concomitante flogosi; per confermare la presenza di cellule all’interno di vacuoli citoplasmatici è necessario servirsi della microscopia elettronica. In veterinaria, sono state riportate differenti neoplasie in grado di avere questo comportamento come tumori epiteliali (carcinoma squamo- cellulare, neoplasie mammarie e polmonari) e mastocitomi. In disordini linfoproliferativi (linfoma e leucemia linfocitica cronica) è riportato xenocannibalismo nei confronti degli eritrociti.

Con emperipolesi si intende una condizione sia patologica che fisiologica, in cui alcune cellule (prevalentemente leucociti, come linfociti e neutrofili) attraversano il citoplasma di altre cellule senza subire alcuna alterazione da parte delle cellule che hanno invaso; la differenza con il cannibalismo sta nel fatto che le cellule contenute non appaiono degenerate.

Con entosi si intende un fenomeno innescato dalla perdita di attaccamento alla matrice extracellulare che porta alcune cellule (ad esempio quelle di origine epiteliale), spinte dalla forza di compattazione, ad invadere quelle vicine uguali a loro. Le cellule vive interiorizzate possono essere degradate dagli enzimi lisosomiali, andando incontro a morte cellulare programmata non- apoptotica, o essere successivamente rilasciate.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM ECVCP dipl – Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

Bibliografia:

  • Erythrophagocytic low-grade extranodal T-cell lymphoma in a cat. Carter et a. Vet Clin Pathol. (2008);37:416–421.
  • Four cases of cell cannibalism in highly malignant feline and canine tumors. Costa Ferreira et al. Diagnostic Pathology (2015) 10:199
  • Cell cannibalism by malignant neoplastic cells: three cases in dogs and a literature review. Melendez-Lazo et al. Vet Clin Pathol 44/2 (2015) 287–294
  • What is your diagnosis? Liver aspirate from a cat. Heinrich et al. Vet Clin Pathol 45/3 (2016) 513–514
  • What is your diagnosis? Thoracic mass in a dog. Yang et al. Vet Clin Pathol (2019);48:774- 776.
  • What is your diagnosis? Lymphocytes engulfing erythrocytes in a cat. Mochizuki et al. Vet Clin Pathol. (2019);48:768–770.
  • https://hms.harvard.edu/news-events/multimedia/entosis
  • https://www.youtube.com/watch?v=RMraoAh72kI


Caso citologico 1: Neoformazione sottocutanea in un boxer

Cane, boxer, maschio, 4 anni

FNA neoformazione sottocutanea regione della spalla.

MGG, 40x e 100x.

Qual è la vostra diagnosi?

 

Potrete trovare la soluzione del caso e approfondimenti sull’argomento al seguente LINK!


Esame citologico del fegato: come e quando?

L’esame citologico del materiale ottenuto dal sistema epato- biliare è sempre più spesso utilizzato come complemento ad altre procedure diagnostiche (esame clinico, esami ematobiochimici, ecografia addominale, tomografia computerizzata) ed in alcuni casi può fornirci la diagnosi definitiva. Le tecniche più utilizzate per il prelievo citologico di parenchima o di neoformazioni epatiche sono l’ago infissione e l’agoaspirazione percutanee. Si tratta di un esame poco invasivo, economico e se il paziente è collaborativo non necessita di alcuna anestesia; le indicazioni per effettuarlo sono:

  • epatomegalia
  • alterazioni di ecogenicità
  • presenza di neoformazioni
  • stadiazioni di neoplasie
  • alterazioni cliniche o clinico patologiche che indicano una patologia epatica anche in assenza di alterazioni ecografiche

La principale controindicazione invece per l’esecuzione di un FNA del fegato è un’alterata emostasi, con conseguente possibile emorragia; in caso di piastrinopenia molto grave è sconsigliabile effettuarlo e nel caso si sospetti uno stato di ipocoagulabilità (evento non raro in corso di epatopatia) è consigliabile effettuare un profilo coagulativo prima di procedere. Vi sono comunque delle limitazioni, ben note in letteratura: in primo luogo la citologia non permette di valutare l’architettura del tessuto coinvolto da patologia (per questo l’esame istologico rimane il gold standard) ed in secondo luogo è stato dimostrato che la citologia come ausilio diagnostico per lesioni epatiche ha una accuratezza diagnostica inferiore rispetto all’esame citologico di altri organi coinvolti da processi infiammatori/neoplastici. La citologia ha dimostrato di essere più efficace nella diagnosi di degenerazione vacuolare/glicogenosi epatica diffusa o di patologia neoplastica rispetto a patologie infiammatorie (sensibilità variabile). Nello studio di Fleming KL et al. (2019) sono state confrontate le due diverse metodiche di prelievo citologico ago infissione (FN-NA) ed ago aspirazione (FNA) del parenchima epatico di cani di sesso, razza ed età diversi che necessitavano un esame ecografico e una citologia eco-guidata come completamento del loro iter diagnostico (sono stati esclusi dallo studio cani con marcata trombocitopenia o coagulopatie di varia natura). I patologi clinici hanno valutato cellularità, conservazione delle cellule ed emodiluizione dei diversi campioni nell’ottica di stabilire se e quale possa essere la tecnica più indicata per ottenere un buon preparato citologico. Circa il 90% dei campioni citologici ottenuti è risultato adeguato per una corretta diagnosi, con una maggior prevalenza di campioni diagnostici mediante la tecnica di ago infissione (FN-NA) (94%) rispetto a quella per ago aspirazione (FNA) (81,5%). Questa seppur lieve differenza è dovuta al fatto che l’FNA può determinare la rottura delle cellule e una maggior emodiluizione, compromettendo conseguentemente la qualità diagnostica del preparato citologico (soprattutto in tessuti molto vascolarizzati come il fegato). L’aspirazione esercitata infatti può traumatizzare le cellule causandone la rottura (soprattutto nelle neoplasie dove le cellule sono più fragili e più soggette a degenerazione). E’ interessante citare inoltre un altro articolo di LeBlanc et al. (2009) dove hanno comparato le due metodiche di prelievo di campioni citologici di parenchima splenico di cani e gatti e dove, anche in questo caso, l’FN-NA è risultato più idoneo per ottenere preparati di ottima qualità.

Bibliografia:

  • Fleming KL, Howells EJ, Villiers EJ, Maddox TW. A randomized controlled comparison of aspiration and non-aspiration fine-needle techniques for obtaining ultrasound-guided cytological samples from canine livers. The Veterinary Journal 252: DOI : 1016/j.tvjl.2019.105372, 2019.
  • Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH, DeNicola DB. Diagnostic cytology and hematology of the dog and cat. 3°edizione Mosby Elsevier, St.Louis, Missouri. Pp. 312-330, 2008
  • Raskin RE, Meyer DJ. Canine and feline cytology – A Color Atlas and Interpretation Guide. 2°edizione Elsevier Saunders, St.Louis, Missouri. Pp. 226-248, 2010
  • LeBlanc CJ, Head LL, Fry MM. Comparison of aspiration and nonaspiration techniques for obtaining cytologic samples from the canine and feline spleen. Veterinary Clinical Pathology 38: 242-246, 2009.


Calcio Totale versus Calcio Ionico

Identificare correttamente una forma di ipocalcemia o ipercalcemia è estremamente importante poiché le diagnosi differenziali di entrambe queste alterazioni sono piuttosto poche, consentendoci così di restringere molto il campo di indagine.

Quando misuriamo il calcio sierico totale, misuriamo tre differenti frazioni di tale elemento:

  • Calcio libero presente in forma ionica: circa il 50%
  • Calcio legato alle proteine (soprattutto alle albumine): circa il 40- 45%
  • Calcio legato ad anioni non proteici (fosfati, lattati, citrati): circa il 10-15%

Il calcio ionico rappresenta la frazione biologicamente più attiva ed è la forma che deve essere valutata per diagnosticare uno stato di ipo o ipercalcemia patologici; viene misurato in genere mediante emogasanalizzatori, poiché il campione deve essere analizzato immediatamente (contatto con l’aria e ritardata processazione alterano il pH e quindi il valore del calcio ionico). Poiché a causa dell’instabilità del campione, la spedizione ad un laboratorio esterno è poco praticabile e poiché molte strutture non sono dotate di emogasanalizzatori, sarebbe auspicabile poter avere informazioni utili sulla calcemia dalla misurazione del calcio totale.

Purtroppo, la calcemia totale (ottenuta con strumenti di biochimica liquida o secca) non sempre correla con la calcemia ionica. Numerose pubblicazioni hanno dimostrato che il calcio corretto (ottenuto tramite una formula di “correzione” che utilizza i valori di calcio totale, albumina e proteine totali) è scarsamente correlato al calcio ionico, poiché entrambi non sono influenzati soltanto da albumine e proteine totali, ma anche ad esempio dal legame con anioni non proteici (fosfati, lattati, citrati) e da condizioni di acidosi o alcalosi; molti autori sconsigliano l’uso di tale calcolo. Ad esempio, in base allo studio di Schenck et al. utilizzare questa formula nel cane porterebbe a una sovrastima dei normocalcemici e degli ipercalcemici (soprattutto in corso di insufficienza renale) ed una sottostima degli ipocalcemici.

Quindi, cosa dobbiamo tenere presente quando interpretiamo una calcemia totale? Che tipo di informazioni ci fornisce rispetto alla calcemia ionica? Quando è necessario rivalutare una calcemia totale misurando la calcemia ionica? Ecco di seguito alcuni punti chiave interpretativi:

  • In linea generale, una diagnosi di ipo o ipercalcemia può essere fatta esclusivamente misurando la calcemia ionica.
  • È possibile sospettare con elevata probabilità la presenza di ipercalcemia o ipocalcemia ioniche a fronte di valori di calcio totale rispettivamente molto superiori o molto inferiori agli intervalli di riferimento e soprattutto se è presente una sintomatologia clinica compatibile (es. tremori muscolari, PU/PD etc).
  • Una calcemia totale bassa o normale ma vicina al limite inferiore di normalità consente di escludere con elevata probabilità una ipercalcemia ionica (e viceversa).
  • Alcuni lavori hanno dimostrato che in presenza di iperfosfatemia (ad esempio in corso di insufficienza renale) la calcemia totale può risultare falsamente sovrastimata indipendentemente dalla calcemia ionica.
  • Una calcemia totale normale non consente di escludere iper o ipocalcemia ioniche.
  • Un’ipocalcemia totale in presenza di iperkalemia e in assenza di segni clinici è quasi certamente dovuta a una contaminazione del siero con K-EDTA!
  • In presenza di ipoalbuminemia/ ipoprotidemia deve essere sempre misurata la calcemia ionica poiché anche le formule di correzione (calcio corretto) non sono considerate attendibili.

Bibliografia:

  • Schenck et al. Prediction of serum ionized calcium concentration by use of serum total calcium concentration in dogs. AJVR, Vol 66, No. 8; 2005
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • Messinger et al. Ionized Hypercalcemia in dogs: a retrospective study of 109 cases (1998 –2003). J Vet Intern Med 2009;23:514–519
  • Groth et al. Determination of a serum total calcium concentration threshold for accurate prediction of ionized hypercalcemia in dogs with and without hyperphosphatemia. J Vet Intern Med. 2019;1–9.
  • Galvao et al. Update on feline ionized hypercalcemia. Vet Clin Small Anim 47 (2017) 273–292

Il Mielolipoma

Il mielolipoma è un tumore benigno segnalato in differenti specie di uccelli, primati, furetti, ratti, felini selvatici e più raramente anche nel cane e nel gatto. Può avere diverse localizzazioni: caratteristica negli uccelli sulle ali, mentre nel cane e nel gatto è riportato maggiormente su milza e fegato ed occasionalmente su surreni, omento, canale spinale ed occhio; possono essere singoli o multipli e variare da pochi mm fino a raggiungere grandi dimensioni (fino a 10 cm di diametro).

L’eziopatogenesi rimane sconosciuta, ma vi sono differenti ipotesi per quanto riguarda la proliferazione anomala di tessuto ematopoietico:

  • Durante la vita embrionale, l’ematopoiesi avviene in maniera diffusa nel tessuto connettivo della cavità peritoneale a partire da cellule staminali ematopoietiche e scompare nel momento in cui si formano gli organi deputati all’ematopoiesi. Queste cellule accidentalmente vengono intrappolate nel tessuto adiposo e iniziano a proliferare portando alla formazione di focolai di ematopoiesi anomali.
  • Citochine o altri fattori di crescita ematopoietici stimolati da una neoplasia, un danneggiamento e/o una rigenerazione tissutale promuovono le cellule staminali totipotenti a differenziarsi in cellule ematopoietiche.
  • Patologie a carico del midollo osseo stimolano la formazione di focolai di ematopoiesi extra-midollare (da valutare contestuale quadro ematologico periferico).

Pochi casi sono riportati in letteratura sia nel cane che nel gatto, per cui è difficile stabilire una predisposizione di razza o sesso, però solitamente interessa soggetti anziani (tra gli 11 e i 16 anni). Spesso sono reperti occasionali in sede ecografica poiché nella maggior parte queste neoplasie non danno sintomatologia clinica, a meno che non vadano a comprimere o lesionare gli organi vicini o che li contengono (ad esempio se si localizzano nel canale spinale o a livello oculare oppure se causano emoaddome per rottura d’organo).

Il quadro citologico è caratterizzato da sfondo ematico con vacuoli otticamente vuoti e da una popolazione mista di precursori della linea eritroide, mieloide e megacariocitica, spesso associata ad adipociti maturi. La principale diagnosi differenziale è l’ematopoiesi extramidollare se si tratta di masse di pertinenza epatica o splenica, valutando anche la possibilità che sia presente una  milza accessoria; l’unico modo per orientare la diagnosi verso il mielolipoma è il riscontro di  adipociti maturi e vacuoli otticamente vuoti sullo sfondo, che nel caso della sola ematopoiesi extramidollare sono in genere assenti.

La diagnosi definitiva è istologica e l’escissione chirurgica è curativa.

Bibliografia:

  • Meuten DJ. Tumor in domestic animals. 5th 2017
  • Raskin R. Meyer DJ. Canine and feline cytology. 3ed edition. 2016
  • Wouda RM et al. Hepatic myelolipoma incarcerated in a peritoneopericardial diaphragmatic hernia in a cat. Australian Veterinary Journal. Vol 88, No 6, June 2010
  • Kamiee J et al. Multicentric myelolipoma in a dog. J. Vet. Med. Sci. 71(3): 371–373, 2009


Perche’ sono importanti i parametri biochimici di un versamento?

Nell’esame di un versamento endocavitario (pleurico, peritoneale ed in minor misura pericardico) il solo esame citologico non sempre può dare risposte sull’esatta patogenesi della sua formazione; per migliorare le nostre possibilità diagnostiche diventa di fondamentale importanza integrarlo con altri test quali ad esempio la conta cellulare, la misurazione delle proteine totali o di altri parametri biochimici, l’esame colturale, il test di Rivalta, eventuali PCR per la ricerca di agenti infettivi, la citometria a flusso etc.  Utilizzando più test diventa più spesso possibile classificarlo non solo secondo la classificazione “tradizionale” (essudati, trasudati) ma anche secondo quella patogenetica, più recente e secondo il nostro parere assai più valida (per una trattazione approfondita di questa classificazione rimandiamo alla letteratura. Stockham L., Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Capitolo 19, seconda edizione, 2008).

Per quanto riguarda i parametri biochimici, quelli che riteniamo più utili e che routinariamente misuriamo su versamento presso il nostro laboratorio sono i seguenti:

  • Proteine totali
  • Bilirubina
  • Colesterolo e Trigliceridi
  • Creatinina
  • Lipasi totale

Tutti questi parametri possono essere determinati sul surnatante ottenuto dopo centrifugazione del campione raccolto in EDTA. Va premesso che sebbene siano ormai state fatte diverse pubblicazioni circa l’analisi biochimica dei versamenti cavitari, mancano dati circa l’accuratezza diagnostica di tali tests, per cui senza dati sufficienti che abbiano stabilito sensibilità, specificità e cut-offs di ciascuno, non è possibile determinare la loro reale affidabilità e pertanto devono essere tutti considerati come suggestivi per la tal condizione.

BILIRUBINA PER LA DIAGNOSI DI COLEPERITONEO

Devono essere misurate contestualmente bilirubina nel versamento e bilirubina sierica; nel caso in cui il rapporto bilirubina del versamento : bilirubina sierica risulti > 1 (vale a dire che il valore nell’effusione è più alto di quello sierico) si può ipotizzare con elevata probabilità una rottura delle vie biliari (COLEPERITONEO). Da un punto di vista citologico questo tipo di versamento è caratterizzato da elevata cellularità, con una popolazione mista di granulociti neutrofili non degenerati prevalenti, macrofagi e cellule mesoteliali reattive. La bile può essere visibile sullo sfondo come ammassi di materiale amorfo bluastro o come granuli verdastri-giallo oro all’interno del citoplasma delle cellule infiammatorie. Anche l’aspetto macroscopico è utile per formulare il sospetto diagnostico (aspetto verdastro-giallastro, spesso filante), sebbene sia possibile anche il caso di coleperitoneo secondario alla presenza della così detta bile bianca che non colora tipicamente di giallo-verde il versamento (ma in genere persiste l’aspetto mucoso).

COLESTEROLO E TRIGLICERIDI PER LA DIAGNOSI DI VERSAMENTO CHILOSO  

Trigliceridi superiori a 100 mg/dL o un rapporto colesterolo : trigliceridi del versamento < 1 (vale a dire un valore di trigliceridi nell’effusione più alto di quello del colesterolo) indicano nella maggior dei casi una natura chilosa e si può parlare di CHILOTORACE/CHILOADDOME. Solo in rari casi è possibile che un versamento non-chiloso abbia il rapporto < 1. Da un punto di vista citologico ricordiamo che tali versamenti sono caratterizzati dalla presenza di un elevato numero di piccoli e medi linfociti (> 50%); possono essere inoltre presenti macrofagi schiumosi e più rari granulociti neutrofili non degenerati e cellule mesoteliali reattive. La diagnosi di chilo può essere confermata esclusivamente misurando il rapporto colesterolo : trigliceridi, poiché è possibile avere versamenti in cui la popolazione prevalente è rappresentata da linfociti ma che hanno questo rapporto > 1, che vengono definiti appunto non chilosi.

CREATININA PER LA DIAGNOSI DI UROPERITONEO

Quando il rapporto tra creatinina del versamento e creatinina sierica contestuali è > 2 (vale a dire un valore nell’effusione almeno doppio rispetto a quello sierico) si può diagnosticare un uroperitoneo. Bisogna ricordare però che con il passare del tempo (2-3 giorni) a causa della diffusione della creatinina per gradiente di concentrazione, i valori di creatinina sierica e del versamento tenderanno ad essere simili. È importante perciò che le due misurazioni vengano effettuate nel più breve tempo possibile a partire dalla presunta rottura delle vie urinarie. Citologicamente, l’uroperitoneo può essere acellulare o più frequentemente può essere caratterizzato da una popolazione mista con prevalenza di granulociti neutrofili, occasionali macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

LIPASI PER LA DIAGNOSI DI PANCREATITE

Sebbene la letteratura sull’argomento sia piuttosto scarsa, è stato evidenziato in diverse pubblicazioni che se in corso di pancreatite acuta si sviluppa un versamento peritoneale il confronto tra lipasi sierica e lipasi nel versamento rappresenta un utile test diagnostico. Premesso che devono essere utilizzati o il metodo DGGR per la lipasi totale (in uso nel nostro laboratorio) oppure la lipasi pancreatica specifica, quando la lipasi nel versamento è molto elevata o molto superiore a quella sierica è probabile che le cellule pancreatiche stiano “versando” l’enzima nel versamento per rottura degli acini.  Citologicamente, questa effusione è caratterizzata da cellularità elevata e da una popolazione prevalente di granulociti neutrofili, da macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

Bibliografia:

  • De Arespacochaga G et al. Comparison of lipase activity in peritoneal fluid of dogs with different pathologies – A complementary diagnostic tool in acute pancreatitis? Journal of Veterinary Medicine. A, Physiology, Pathology, Clinical Medicine. 2006; 53: 119-122.
  • Zimmermann E, et al. Serum feline-specific pancreatic lipase immunoreactivity concentrations and abdominal ultrasonographic findings in cats with trauma resulting from high-rise syndrome. J Am Vet Med Assoc. 2013; 1;242(9):1238-43.
  • Liehmann LM et al. Pancreatic rupture in four cats with high-rise syndrome. J Feline Med Surg. 2012; 14(2):131-7.
  • Paltrinieri S, Bertazzolo W, Giordano A. Patologia clinica del cane e del gatto approccio pratico alla diagnostica di laboratorio. Prima edizione, 2010.
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • http://eclinpath.com/cytology/effusions-2/


Le Cellule di Foa- Kurloff

Osservando lo striscio ematico delle cavie (porcellini d’India) o dei capibara, oltre agli eterofili (che rappresentano la popolazione leucocitaria prevalente nei roditori e nei lagomorfi), i linfociti, gli eosinofili, e i monociti, si possono osservare le cellule di Foa – Kurloff. Sono cellule mononucleari contenenti nel citoplasma una singola inclusione citoplasmatica, di circa 1-8 um di diametro, eosinofilica, finemente granulare- fibrillare, che sposta il nucleo in posizione eccentrica; questa inclusione consiste in una struttura lisosomiale per lo stoccaggio di mucopolisaccaridi. Tali cellule rappresentano fisiologicamente il 3-4% delle cellule linfoidi e il 1-2 % di tutti i leucociti circolanti.

La loro funzione risulta essere ancora sconosciuta anche se si ipotizza che agiscano come linfociti natural killer o come difensori fetali che operano a livello placentare.

È riportato che fino ai 2-3 mesi di vita non vi è distinzione nella quantità tra maschi e femmine, ma successivamente vi è un aumento del numero circolante in seguito all’innalzamento del livello di estrogeni, e scompaiono in seguito a sterilizzazione.

Si possono trovare anche nel timo, nei polmoni, nella polpa rossa della milza di femmine gravide o sotto stimolazione degli estrogeni.

Bibliografia:

  • Hematological assessment in pet Guinea pigs (Cavia porcellus). Zimmerman K. et al. Vet Clin Exot Anim 18; 33–40. 2015
  • Schalm’s Veterinary Hematology. Weiss DJ, Wardrop KJ. Sixth edition. 2010
  • The Kurloff cells. Revell PA. International Review of Cytology. 51; 975-314. 1977


La Stima Piastrinica

Con stima piastrinica si intende il numero medio di piastrine osservate in almeno 10 campi ad immersione (1000x). Diversamente da come molti intendono, non si tratta di un “giudizio” personale espresso dal patologo clinico che mette insieme tutte le informazioni relative alle piastrine (conta strumentale, presenza/assenza e entità degli aggregati piastrinici, morfologia piastrinica), bensì di una vera e propria misurazione. Un recente studio di Paltrinieri et al. ha rilevato un’elevata variabilità del numero di piastrine per campo 1000x sia in base alla porzione di striscio ematico che si valuta microscopicamente, sia in base all’osservatore. Il monostrato centrale è la regione dello striscio dove vi è maggiore concordanza tra gli osservatori, mentre le altre regioni (coda e regioni laterali dello striscio) hanno maggior concordanza con la conta strumentale ma una concordanza inferiore tra gli osservatori. Tale elevata variabilità rende questa misurazione inaccurata, al punto che diverse misurazioni fatte da diversi operatori o in diverse aree dello striscio misclassificano il paziente che ad esempio può risultare trombocitopenico in una lettura ma in un’altra avere piastrine normali. Anche la conta strumentale può risultare inaccurata, soprattutto nel gatto e quando misurata con strumenti ad impedenza e non laser. Per queste ragioni è di fondamentale importanza che il numero di piastrine sia valutato sommando tutti i dati a disposizione (lettura strumentale, valutazione morfologica delle piastrine, presenza di aggregati e stima piastrinica). Per quanto riguarda il numero di piastrine per campo a 1000x, è possibile trovare in letteratura (sia su libri che su articoli) diverse tabelle che riportano intervalli di riferimento di specie piuttosto variabili, a conferma che, proprio a causa della moderata accuratezza della conta, diversi lavori hanno prodotto intervalli diversi, che per questa ragione devono essere considerati soltanto indicativi. Nel caso in cui il numero medio di piastrine contato sia superiore o inferiore all’intervallo adottato, la stima piastrinica viene definita inadeguata – aumentata, mentre se al di sotto inadeguata – diminuita.

Intervalli di riferimento secondo Stockham SL (Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology, I ed., 2002):

SPECIE

NON ADEGUATA

DIMINUITA

ADEGUATA

NON ADEGUATA

AUMENTATA

Cane≤910-25>30
Gatto≤1415-40>48
Cavallo≤45-17>21
Bovino≤45-40>48
Ovino≤1213-37>45
Caprino≤1415-30>36

La stima piastrinica può inoltre essere espressa come numero totale delle piastrine per microlitro moltiplicando il numero medio di piastrine ottenuto su 10 campi ad immersione 1000x per 15-20.000 (nel cane) o 20.000 (nel gatto). Ad esempio, un cane con una media di 12 piastrine per campo 1000x, presumibilmente avrà un numero di piastrine pari a 180.000-240.000/uL. Il numero di piastrine per microlitro corrisponderà al numero di piastrine contato dallo strumento nel caso in cui la lettura strumentale risulti accurata (ad esempio le piastrine non sono state erroneamente contate come eritrociti perché troppo grandi, o gli eritrociti come piastrine perché molto piccoli, oppure non sono presenti aggregati o coaguli in provetta).

Bibliografia:

  • Analytical variability of estimated platelet counts on canine blood smears. Paltrinieri et al. Vet Clin Pathol. 2018;47:197–204.
  • Estimation of platelet count of feline blood smear. Tasker et al. Vet Clin Path. 1999; 28; 2.
  • Estimating platelets and leukocytes on canine blood smears. Tvedten et al. Vet Clin Path. 1988; 17;1
  • Harvey JV. Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition Elsevier, 2012
  • Stockham SL and Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. First edition Blackwell, 2002
  • http://eclinpath.com/hematology/tests/platelet-count/


Biessea iperkaliemico ed ipocalcemico

Il mio paziente è davvero iperkaliemico ed ipocalcemico? Attenzione agli errori preanalitici!

 

Il kEDTA (acido etilendiamminotetracetico) è l’anticoagulante raccomandato ed utilizzato più comunemente nell’esame emocromocitometrico per la valutazione delle componenti cellulari e della loro morfologia sia in Medicina Veterinaria (come k3EDTA) che in Medicina Umana.

Spesso, nell’effettuare un prelievo di sangue venoso in un paziente, viene riempita prima la provetta per l’esame emocromocitometrico (per evitare che il sangue coaguli velocemente) e poi la provetta vuota/contenente gel per il siero. In questo modo però, può avvenire una contaminazione del siero con il kEDTA che determina contestualmente un aumento della concentrazione di Potassio K (iperkaliemia) ed una diminuzione della concentrazione di Calcio Ca (ipocalcemia). Tali alterazioni pre-analitiche, talvolta anche gravi e chiaramente incompatibili con la vita, sono artefattuali, non sono correlate ad altre alterazioni clinico-patologiche che potrebbero spiegarne la causa e rendono del tutto inaccurate le misurazioni del Potassio e del Calcio.

Il kEDTA contenuto nelle provette per l’esame emocromocitometrico contiene Potassio ed impedisce la formazione del coagulo chelando il Calcio. Inoltre produce legami covalenti anche con altri ioni (Magnesio, Zinco, Rame) e può inficiare la misurazione di altri parametri biochimici quali ALP (determinando valori più bassi), Ferro, UIBC, bicarbonato, ammonio, AST, ALT, LDH, CK ed amilasi.

Vi ricordiamo che anche un semplice contatto del cono della siringa con l’anticoagulante kEDTA (presente non solo sul fondo ma anche su tappo e pareti) può esitare in una contaminazione.

In Medicina Umana diversi articoli riportano questo errore pre- analitico con discreta frequenza, vale a dire nel 20% circa di tutti i campioni con iperkalemia, e consigliano sempre la misurazione del kEDTA nei sieri iperkaliemici (≥ 6 mmol/L). Tale errore può essere dovuto principalmente a 3 meccanismi:

  • Diretto trasferimento di sangue venoso dalla provetta con kEDTA in altre provette;
  • Contaminazione della siringa per contatto con l’anticoagulante kEDTA;
  • Rigurgito di sangue dalle provette sterili sottovuoto (sistema Vacutainer) nell’ago o addirittura in vena

Anche se non vi sono molti studi a riguardo, tale errore viene riscontrato anche in Medicina Veterinaria. Nel lavoro di Nielsen et al., in 74 campioni su 238 che avevano un rapporto sodio:potassio basso (circa il 31%) è stata sospettata una contaminazione con kEDTA (campioni con iperkalemia e ipocalcemia) e questi pazienti sono perciò stati esclusi dallo studio sul rapporto sodio:potassio.

Quando possiamo quindi sospettare che sia avvenuta questa contaminazione?

  • Quando ipocalcemia e iperkalemia sono talmente marcate da essere incompatibili con la vita o comunque talmente severe che dovrebbero dare una sintomatologia clinica grave e conclamata (ad esempio tremori, convulsioni, aritmie cardiache);
  • Quando non ci sono altre alterazioni biochimiche correlate a queste due alterazioni (ad esempio insufficienza renale acuta);
  • Quando anche se lievi, queste due alterazioni non trovano spiegazioni nel quadro clinico e clinico-patologico.

In questi casi l’unica soluzione per confermare la contaminazione resta ripetere il prelievo utilizzando esclusivamente la provetta da siero.

Il nostro Laboratorio consiglia nel caso in cui debbano essere inviati sia siero che sangue in k3EDTA, di riempire per prima la provetta per il siero.

Bibliografia:

  • Asif U et al. Preanalytical potassium EDTA sample contamination: oper versus closed phlebotomy system. Ann Clin Biochem 56(6): 711- 714, 2019
  • Chadwick K et al. kEDTA sample contamination: a reappraisal. J App Lab Med 3(6): 925- 935, 2019
  • Cornes MP et al. Spurious hyperkalaemia due to EDTA contamination: common and not always easy to identify. Ann Clin Biochem 45(6): 601- 603, 2008
  • Ijaz A et al. EDTA contamination in laboratory specimens- effect of an awareness campaign. J Coll Physicians Surg Pak 20 (6): 405- 407, 2010
  • Nielsen L et al. Low ratio of sodium to potassium in the serum of 238 dogs. Vet Rec 162 (14): 413- 435, 2008

Biessea L’insufficienza pancreatica esocrina (EPI)

Vitamina B12 e Folati: valore prognostico in corso di insufficienza pancreatica esocrina nel cane

insufficienza pancreatica esocrina (EPI)

L’insufficienza pancreatica esocrina (EPI) consiste in una inadeguata secrezione da parte del pancreas esocrino di enzimi pancreatici (tra cui lipasi, amilasi, tripsinogeno, chimotripsinogeno, carbossipeptidasi) e che portano a un’incompleta digestione dell’alimento e di conseguenza a un’inadeguata assunzione di nutrienti da parte del tratto digerente. Clinicamente, i cani affetti da questa patologia presentano perdita di peso con appetito conservato e feci poco formate.

Le cause dell’EPI possono essere:

  • l’atrofia degli acini del pancreas esocrino (ereditario, segnalato nei pastori tedeschi) causata da una distruzione linfocitica
  • una pancreatite cronica, idiopatica, che porta a una progressiva distruzione degli acini
  • un’ostruzione del dotto pancreatico che impedisce il rilascio degli enzimi pancreatici a livello intestinale

La diagnosi di EPI si effettua misurando il TLI (Trypsin Like Immunoreactivity): valori inferiori a 2.5 ug/L sono considerati diagnostici. I soggetti affetti da EPI sviluppano secondariamente alterazioni dell’apparato gastroenterico; la mancanza di enzimi pancreatici causa una riduzione della produzione di fattore intrinseco causando a sua volta un deficit nell’assorbimento di vitamina B12 a livello di ileo. Inoltre, la disbiosi intestinale è un reperto frequente.

Lo scopo di questo studio è di valutare i tempi di sopravvivenza dal momento della diagnosi utilizzando la vitamina B12 e i folati come fattori prognostici; nel primo caso è già noto in letteratura che valori di vitamina B12 < 350 ng/L al momento della diagnosi corrispondano a un fattore prognostico negativo (Batchelor et al. 2007).

Sono stati inseriti nello studio 229 cani con diagnosi di EPI e follow up noto (tempi di sopravvivenza tra 0.5 e 7.3 anni (media 4.4 anni)) e al momento della diagnosi nessuno prendeva integrazione enterale o parenterale di vitamina B12. Le razze maggiormente rappresentate sono pastori tedeschi, CKCS e rough coated collie.

Al momento della diagnosi:

  • La vitamina B12 era < 350 ng/L nel 55% dei soggetti (soprattutto soggetti anziani)
  • La vitamina B12 era > 850 ng/L nel 5% dei soggetti
  • I folati erano > 12 ug/L nel 67% dei soggetti
  • La vitamina B12 era < 350 ng/L e contemporaneamente i folati erano > 12 ug/L nel 34% dei soggetti

Dallo studio statistico si è evinto che:

  • Avere una concentrazione di vitamina B12 < 350 ng/L al momento della diagnosi rappresenta un fattore prognostico negativo.
  • Avere una concentrazione di folati > 12 ug/L è  un fattore prognostico positivo, probabilmente poiché oltre a identificare la presenza di disbiosi, testimonia che la capacità di assorbimento intestinale è ancora integra
  • Pazienti con ipocobalaminemia (B12 < 350 ng/L) e iperfolatemia (folati > 12 ug/L) associate hanno una prognosi migliore dei pazienti che presentano soltanto ipocobalaminemia.

Inoltre, altri fattori che possono ridurre i tempi di sopravvivenza sono il mancato supplemento di enzimi pancreatici e l’inappetenza al momento della diagnosi.

Bibliografia:

  • Soetart N. et al. Serum cobalamin and folate as prognostic factors in canine exocrine pancreatic insufficiency: An observational cohort study of 299 dogs. Vet Journal. Jan; 243:15-20. 2019
  • Batchelor et al. Prognostic factors in canine exocrine pancreatic insufficiency: prolonged survival is likely if clinical remission is achieved. J. Vet. Intern. Med. 21, 54–60. 2007.
  • Stockham S. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. 2008