Grading dei sarcomi dei tessuti molli nel gatto

I sistemi di grading istologico delle neoplasie, soprattutto nel campo della patologia veterinaria si evolvono e cambiano nel tempo grazie ad importanti studi scientifici che consentono di identificare, non solo per ogni entità patologica, ma per ogni specie animale coinvolta, i parametri, valutabili sulla base dell’esame istologico, che abbiano correlazione significativa con la prognosi.

In passato ed ancora oggi non sono stati identificati, per alcune neoplasie e per alcune specie animali, sistemi di grading con validità universalmente riconosciuta ed in alcuni casi il relativo sistema di grading è stato estrapolato da quello utilizzato in medicina umana o da quello utilizzato per altre specie animali.

Sarebbe tuttavia auspicabile riuscire ad ottenere, nel tempo, una validazione o un valido adattamento o ancora una nuova formulazione degli schemi di grading differenti, relativamente ad ogni tipologia neoplastica, per le varie specie animali.

Ad esempio, per i sarcomi dei tessuti molli del gatto, alcuni studi condotti in passato hanno utilizzato il sistema di grading validato in precedenza per la specie canina dagli studi di Mc Sporran del 2009, Dennis et. al del 2011 (sistema basato sulla valutazione della conta mitotica, della presenza ed eventuale estensione di fenomeni di necrosi e del grado di differenziazione neoplastica).

Tuttavia, un recentissimo lavoro di Dobromylskyj et al. del 2021 propone uno schema di grading specifico per i sarcomi dei tessuti molli della specie felina che si basa sulla valutazione della conta mitotica, dell’assenza o presenza e della relativa estensione di fenomeni di necrosi e dell’eventuale presenza ed entità della flogosi associata alla neoplasia stessa.

Sebbene anche la valutazione dell’entità della flogosi sia in parte soggettiva (così come nel sistema di grading utilizzato per il cane lo è sicuramente la valutazione del grado di differenziazione neoplastica), potrebbe essere reso, in futuro, un parametro maggiormente oggettivabile, mediante l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale applicati alla cosiddetta ‘patologia digitale’.

Ad ogni modo tale sistema di grading ha mostrato, secondo gli autori, una correlazione significativa tra il grado istologico ed il tempo di sopravvivenza medio (median survival time MST), rispettivamente con MST di 900.5 giorni per i soggetti con neoplasia di basso grado, MST di 514 giorni per quelli con neoplasia di grado intermedio e MST di 283 giorni per i soggetti con neoplasia di alto grado.

Figura 1. Sarcoma dei tessuti molli felino: in questo campo si apprezza la presenza di varie mitosi multipolari-atipiche. Per la conta mitotica si valuta il numero di mitosi su 10 HPF (campi a forte ingrandimento: 400x). Ematossilina-Eosina 400x

Figura 2. Sarcoma dei tessuti molli felino: in questo campo si apprezza la presenza di fenomeni di necrosi. Per attribuire un punteggio alla necrosi si valuta la sua estensione espressa come % di area occupata nel contesto del tessuto neoplastico. Ematossilina-Eosina 100x

Figura 3. Sarcoma dei tessuti molli felino: in questo campo si apprezza la presenza di flogosi associata alla neoplasia, nello specifico in questo campo si osserva un focale ampio infiltrato di linfociti. Ematossilina-Eosina 100x

 

Questo nuovo sistema di grading ad ogni modo necessita ancora di una validazione con studi prospettici e su larga scala, anche con eventuale valutazione di ulteriori markers prognostici (come lo stato dei margini di escissione) e potrebbe in futuro anche essere implementato con ulteriori dati con un maggiore focus su specifiche entità neoplastiche come il cosiddetto ‘sarcoma da inoculo’ o feline injection-site sarcoma (FISS).

Ad esempio, relativamente al feline injection-site sarcoma (FISS) è riportato, in un altro recente lavoro di Porcellato et al. del 2017, un valore prognostico sfavorevole per le dimensioni della neoplasia valutate in seguito a fissazione in formalina (con valore cut-off di 3,75 cm) e per la conta mitotica (con valore cut-off di 20 mitosi su 10 HPF).

In quest’ultimo studio, inoltre, relativamente al FISS, non è stata rilevata una correlazione tra la presenza/assenza di neoplasia ai margini di escissione ed il rischio di recidiva, associato invece ai due parametri appena citati (dimensioni della neoplasia e conta mitotica).

 

Dr.ssa Gaia Vichi – DVM DIpl.ECVP

 

Bibliografia:

  • Prognostic factors and proposed grading system for cutaneous and subcutaneous soft tissue sarcomas in cats, based on a retrospective study. Dobromylskyj M. et al. J Feline Med Surg. 2021; 23(2):168-174.
  • Feline injection-site sarcoma. Porcellato I. et al. Vet Pathol. 2017; 54(2):204-211.


IL REFERTO CITOLOGICO - Parte II: Schema descrittivo del referto citologico

Nella seconda pillola del nostro percorso a puntate sul referto citologico ci limitiamo a fornirvi lo scheletro della descrizione da seguire quando si compila un referto board-oriented.  Sebbene non sia obbligatorio seguire esattamente l’ordine delle voci (ad esempio lo sfondo può essere descritto per ultimo, o è possibile descrivere prima il nucleo e poi il citoplasma etc), è invece fondamentale che il patologo clinico non tralasci nessuno dei punti riportati. Imparare a descrivere è uno dei principali strumenti per riconoscere gli aspetti citologici utili al fine di esprimere una diagnosi.  Nelle prossime puntate andremo ad affrontare in dettaglio ogni singola voce che compone lo schema.

Ecco il LINK da cui potrete scaricare lo schema!

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP - Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 


Lesioni solar-induced

È fatto ormai noto che l’esposizione alle radiazioni ultraviolette della luce solare UVA (lunghezza d’onda 315-400 nm) ed UVB (lunghezza d’onda 280-315 nm), sia in grado di causare gravi alterazioni cellulari nei tessuti irradiati, in particolare a carico dell’epidermide dei distretti cutanei, soprattutto glabri o con scarsa presenza di pelo di rivestimento e non pigmentati. L’assorbimento delle radiazioni UV da parte del DNA determina la formazione di dimeri pirimidinici potenzialmente mutageni. Le radiazioni UV, inoltre, sono anche in grado di generare specie reattive dell’ossigeno (cosiddetti radicali liberi). Queste molecole altamente reattive causano molti tipi di danni al DNA, comprese alterazioni delle basi azotate, rotture dei filamenti dell’elica del DNA e cross-link DNA-Proteine. Tali alterazioni possono portare a mutazioni, attivazione di vari oncogeni ed inattivazione di geni cosiddetti tumor suppressor con conseguente variazione della sopravvivenza e della proliferazione dei cheratinociti. Inoltre, l’iniziazione e la progressione della carcinogenesi da parte dei raggi UV, coinvolge meccanismi complessi come quelli di apoptosi, proliferazione cellulare, autofagia, riparazione del DNA, segnali checkpoint, metabolismo e infiammazione. Tutto ciò si traduce, nei nostri pazienti animali, soprattutto nell’insorgenza di fenomeni di cheratosi attinica, carcinomi squamocellulari ed anche neoplasie vascolari. Alle nostre latitudini si può notare un aumento di incidenza di tali patologie durante la stagione calda, in conseguenza di un maggior tempo di esposizione degli animali alle radiazioni solari.

Figura1: schema riassuntivo degli effetti delle varie tipologie di raggi UV sulla cute.

 

La cheratosi attinica è classificata come lesione preneoplastica (denominata anche carcinoma ‘in situ’ in quanto i cheratinociti che proliferano nel suo contesto non oltrepassano la membrana basale dell’epidermide e non infiltrano ancora il derma sottostante). Tale lesione si caratterizza per un marcato ed irregolare ispessimento dell’epidermide per la proliferazione di cheratinociti che, oltre a poter manifestare gradi variabili di atipia cellulare, mostrano un caratteristico ‘affollamento dei nuclei’ a livello dello strato basale, un’intensa attività mitotica a carico dello strato basale e talvolta degli strati soprabasali, alterazione della normale polarità cellulare e disorganizzazione degli strati dell’epidermide stessa, in alcuni casi anche con aspetti di cheratinizzazione intraepidermica. Tutte queste alterazioni di natura preneoplastica possono evolvere, nel tempo, ad una forma neoplastica maligna ed infiltrante, per cui i cheratinociti proliferanti oltrepassano la membrana basale ed invadono il derma ed i tessuti limitrofi, con evoluzione a carcinoma squamocellulare (o carcinoma squamoso).

Alla cheratosi attinica si possono accompagnare anche altre alterazioni cutanee quali aspetti di fibrosi e/o elastosi del derma sottostante, formazione di cosiddetti comedoni attinici (dovuti alla fibrosi che tende a strozzare gli ostii infundibolari dei follicoli piliferi determinando l’ectasia degli infundiboli stessi con accumulo di materiale cheratinico al loro interno).

Ovviamente quando un referto istologico riporta queste alterazioni a livello cutaneo il clinico deve fornire al proprietario dell’animale chiare indicazioni su come proteggere il soggetto dall’ulteriore esposizione alla luce solare che potrebbe determinare l’evoluzione del quadro clinico in senso neoplastico e deve pianificare visite di controllo per monitorare il caso nel suo follow-up.

E’ stata inoltre dimostrata una correlazione, nell’uomo e negli animali, tra la sovraespressione (valutata mediante indagini di immunoistochimica) della ciclo-ossigenasi 2 (COX2) e le lesioni della cheratosi attinica (e la loro evoluzione clinica), nonché un miglioramento delle lesioni stesse in seguito al trattamento con inibitori delle COX2, per cui è anche possibile per il clinico ottenere, dal referto di cheratosi attinica, (eventualmente, dietro richiesta del dermatologo, anche corredato dalla valutazione con indagine di immunoistochimica dell’espressione della COX2), questa ulteriore indicazione per la gestione terapeutica del caso stesso.

Come sopra accennato il carcinoma squamocellulare (o carcinoma squamoso) costituisce lo step successivo nell’evoluzione delle alterazioni epidermiche indotte dalla luce solare (anche se come tipologia neoplastica può anche insorgere in varie sedi senza legame con la stimolazione solare, ma con insorgenza spontanea o a partire da lesioni indotte da infezione da Papillomavirus).

Il carcinoma squamocellulare può avere diverse varianti (convenzionale, acantolitico, a cellule fusate o ‘spindle cell’, verrucoso, papillare), ad ogni modo tutte con comportamento maligno, infiltrante e con potenziale metastatico.

Oltre a quanto dimostrato per le neoplasie dell’epidermide è presente anche una correlazione tra la stimolazione da parte delle radiazioni solari e l’insorgenza di neoplasie vascolari: in alcuni soggetti, in conseguenza dell’azione fisica dei raggi UV possono insorgere tumori vascolari anche multipli, sia benigni (emangiomi) che maligni (emangiosarcomi), sia simultaneamente che in sequenza.

Il patologo quindi, in caso vengano riscontrate neoplasie vascolari cutanee, così come in caso venga diagnosticato un carcinoma squamocellulare, valuterà sempre lo stato dell’epidermide e del derma della cute di rivestimento e limitrofa alla lesione (se presente nel campione) ed inserirà nel referto l’eventuale riscontro di lesioni riconducibili a cheratosi attinica, fibrosi/elastosi del derma, presenza di comedoni attinici, tali da far sospettare un’eziologia/patogenesi legate a stimolazione solare, non per semplice ‘complemento’ al referto, ma sempre per suggerire al clinico e di conseguenza ai proprietari dell’animale la necessità, oltre all’approccio oncologico in sé, di un’attenta protezione del soggetto da ulteriore esposizione alla luce solare.

Il clinico troverà quindi indicazioni utili alla gestione del caso, come sempre, non solo nel campo ‘diagnosi’ del referto istologico, ma anche nella descrizione accurata e completa delle lesioni ed eventualmente nel campo ‘commento’.

 

Dr.ssa Gaia Vichi – DVM, dipl. ECVP

 

Bibliografia:

  • James F. Zachary, Pathologic basis of veterinary disease, Sixth edition, Elsevier
  • Donald J. Meuten, Tumors in Domestic Animals, Fifth Edition, Wiley Blackwell
  • Albanese F, Abramo F, Caporali C, Vichi G, Millanta F. Clinical outcome and cyclo-oxygenase-2 expression in five dogs with solar dermatitis/actinic keratosis treated with firocoxib. Vet Dermatol. 2013 Dec;24(6):606-12


scil/Heska acquisisce BiEsseA

scil /Heska acquisisce BiEsseA

Heska Corporation  (NASDAQ: HSKA; "Heska"),  società  quotata  e  fornitore di soluzioni di diagnostica veterinaria avanzata e di prodotti  specializzati, acquisisce BiEsseA - Laboratorio di Analisi Veterinarie S.r.l. (“BiEsseA”) tramite la controllata scil animal care company S.r.l. (“scil Italia”).

scil Italia è un primario operatore nel mercato italiano della diagnostica di laboratorio, della diagnostica per immagini e della formazione dei medici veterinari,  appartenente al Gruppo tedesco scil, leader  mondiale  nel settore della diagnostica veterinaria,  a propria volta acquisito da Heska nel 2020.

BiEsseA, con sede a Milano, rivolge da più di quarant’anni la sua attività ai medici veterinari e ad altri  laboratori di analisi  veterinarie con il ruolo di service e l’obiettivo di offrire un servizio di qualità, che trova le sue fondamenta nella ricerca e nella  letteratura scientifica internazionale.

L’operazione si inquadra nel progetto di espansione geografica di Heska su scala globale tramite l’acquisizione di eccellenze nel mondo veterinario al fine di poter offrire sempre migliori e più completi servizi avanzati a favore dei medici veterinari presenti nei mercati serviti.

Dott. Giorgio D’Urso, già Amministratore Delegato di scil Italia, è stato nominato Amministratore Delegato  di  BiEsseA e  lavorerà  a  stretto  contatto  con  il Dott. Emanuele Minetti  che continuerà a prestare la sua competenza e professionalità pluriennale in qualità di Direttore Sanitario. Tutta la squadra di professionisti di BiEsseA, che si è sempre contraddistinta per la sua eccellenza, è stata in toto confermata dalla nuova proprietà.


IL REFERTO CITOLOGICO - Parte I: La struttura del referto citologico

Il referto citologico è un documento ufficiale che deve fornire informazioni al veterinario referente sulla natura di una lesione o un organo campionati. È un atto di responsabilità che certifica anche, attraverso la descrizione che viene compilata, la competenza e la formazione di un patologo clinico. Il referto DEVE sempre essere emesso! È un grave errore guardare un preparato citologico e comunicare a voce la diagnosi, o scriverla sulla scheda del paziente; questo perché il referto (come qualsiasi altro esame diagnostico) deve accompagnare il paziente qualora cambiasse medico curante o venisse riferito a uno specialista, e non ultimo perché deve essere adeguatamente pagato ed è quindi doveroso poter consegnare il documento nelle mani del proprietario.

In base alle linee guida per la compilazione di un referto citologico fornite dall’European College of Veterinary Clinical Pathology, il referto è suddiviso in diverse sezioni, sia interpretative che non interpretative.

Le informazioni che compongono le sezioni non interpretative vengono fornite dal veterinario referente mediante una precisa e dettagliata compilazione del modulo di richiesta dell’esame citologico, che deve riportare:

  1. Data di campionamento: può non corrispondere alla data di refertazione, che pure deve essere annotata; è un’informazione da considerare prevalentemente quando si esaminano preparati di liquidi biologici (versamento cavitario, liquido sinoviale, lavaggio broncoalveolare, liquido cefalorachidiano). A differenza dei preparati asciugati all’aria provenienti da lesioni solide, questa tipologia di campioni tende ad avere una scarsa conservazione in vitro e deve essere processata nel più breve tempo possibile, pena l’impossibilità di giungere a una diagnosi.
  2. Informazioni anagrafiche del veterinario referente e del proprietario.
  3. Informazioni paziente (segnalamento): nome, specie, razza, età (giovane o anziano), sesso (maschio o femmina, castrato o intero). Queste informazioni possono essere utili e talvolta fondamentali nell’interpretazione dei preparati citologici. Ad esempio, sappiamo che è infrequente (non impossibile) riscontrare neoplasie maligne in soggetti giovani, o che alcune razze sono predisposte a sviluppare determinate patologie (ad esempio neoplasie istiocitarie nel Bovaro del Bernese), oppure ancora che ci può essere una predisposizione legata al sesso per determinate neoplasie, come nel caso dell’adenocarcinoma delle ghiandole apocrine dei sacchi anali che colpisce maggiormente le femmine.
  4. Numero di vetrini inviati: segnalare questa informazione è molto utile soprattutto in caso di campioni non diagnostici, scarsamente cellulari o di bassa qualità: se sono stati inviati pochi preparati (1-2) è più probabile che il campione sia non adeguato e può avere senso consigliare il ricampionamento citologico. Se invece sono stati inviati numerosi vetrini e sono tutti ematici – acellulari, ha più senso suggerire un approccio diagnostico differente come l’esame istologico.
  5. Descrizione macroscopica della lesione campionata: deve comprendere sede anatomica della lesione (regione, localizzazione cutanea o sottocutanea, adesa ai piani sottostanti o mobile), dimensioni, forma, aspetto e consistenza. Nel caso di campionamento ecoguidato di un organo interno, ne vanno segnalati gli aspetti ecografici. Nel caso di liquidi biologici, ne vengono annotati l’aspetto macroscopico e il colore.
  6. Breve storia clinica – note anamnestiche: se rilevanti, vengono riportati breve storia clinica e patologie concomitanti, tempi di insorgenza della lesione, trattamenti farmacologici eseguiti in precedenza o in corso. È ad esempio utile sapere in caso di flogosi neutrofiliche se il paziente sta già assumendo l’antibiotico, poiché questo potrebbe spiegare la mancata visualizzazione di batteri; oppure è possibile spiegarsi un prelievo da organo linfoide costituito prevalentemente da cellule lisate in caso sia somministrata una terapia cortisonica. È sempre utile aggiungere il sospetto diagnostico che il veterinario referente avanza da un punto di vista clinico; il patologo clinico ne terrà conto benché debba stare attento a non farsi influenzare troppo!
  7. Metodo di prelievo – allestimento del campione: essenziale al fine dell’interpretazione dei preparati citologici, o in caso di campione non diagnostico, al fine di suggerire al veterinario referente un metodo di campionamento differente, ove possibile. Nel caso di liquidi biologici, annotare se sono stati analizzati campioni ottenuti per strisciamento del tal quale o del sedimento oppure per citocentrifugazione.

Alcuni patologi clinici e laboratori di analisi riassumono i punti 5-6-7 in un’unica voce come “Materiale” oppure “Lesione e modalità di prelievo”. Benché talvolta non si ritrovino tutte le informazioni riportate nel modulo di richiesta nel referto citologico, questo non toglie il fatto che sono di enorme importanza per il patologo clinico nell’interpretazione dei preparati.

Le sezioni interpretative sono costituite da:

  1. Descrizione citologica: deve essere chiara e consentire al veterinario referente che legge di “immaginarsi” come un fotogramma quello che ha visto sul vetrino il patologo clinico e di giungere lui stesso alla diagnosi. Il linguaggio utilizzato nella stesura del referto deve essere comprensibile, non eccessivamente forbito, composto da frasi chiare e concise. Prossimamente, nel corso della nostra raccolta di “pillole di citologia” andremo ad approfondire nel dettaglio ogni aspetto della descrizione dell’esame citologico, dalla valutazione della qualità del preparato, alla struttura “piramidale” ovvero l’ordine descrittivo delle varie popolazioni cellulari.
  2. Interpretazione: deve essere anch’essa composta da frasi chiare e concise. In ordine, vanno riportati per primi i reperti più significativi (se la lesione è composta da una neoplasia a cui è associata una flogosi, porre l’accento sulla diagnosi di tumore) e gli aspetti di cui siamo certi e successivamente quelli di cui abbiamo solo un sospetto. È possibile esprimere diversi gradi di confidenza diagnostica (compatibile, sospetto, suggestivo…) e aggiungere eventuali diagnosi differenziali.
  3. Commento: è la sezione in cui il patologo clinico suggerisce eventuali approfondimenti al fine di confermare una diagnosi o un sospetto diagnostico, quali l’esame istologico, la diagnosi di clonalità linfoide (PARR), l’immunofenotipizzazione etc;  in caso di lesioni di dubbia interpretazione o di campioni non diagnostici è possibile consigliare la ripetizione dell’esame citologico e  spiegare la ragione per la quale il campione non è diagnostico (cellule rotte, degenerate o coartate, non valutabili,  campione acellulare o scarsamente cellulare…). Ancora è possibile consigliare la ripetizione del campionamento dopo trattamento medico (processi flogistici settici che possono nascondere una neoplasia sottostante) o con un metodo di prelievo differente (ad esempio ago infissione invece che apposizione per lesioni cutanee ulcerate). Resta assai controverso se dare in questa sezione informazioni riguardo alla prognosi, o suggerire approfondimenti che non siano di pertinenza clinico – patologica o patologica, come ad esempio indagini di diagnostica per immagini. Si tratta a nostro parere di scelte che devono essere concordate tra il medico referente e il patologo clinico; noi personalmente preferiamo non riportare questo genere di indicazioni sul referto ma invitiamo i nostri clienti a contattarci per richiederle e per discutere ogni singolo caso.

A chiusura del referto, si trova la firma del patologo clinico, responsabile della stesura; la firma comprende nome e cognome, titolo di laurea (DVM - dottore in Medicina Veterinaria) ed eventuali altri titoli riconosciuti, come un diploma europeo o un dottorato di ricerca (PhD).

 

Dr.ssa Giulia Mangiagalli DVM – Dr.ssa Silvia Rossi DVM, dipl. ECVCP

 

Bibliografia:

https://www.esvcp.org/index.php/docman/exam/27-guidelines-for-cytology-reporting/file.html - (6 aprile 2009)


Come indicare correttamente i margini chirurgici al laboratorio

Un punto chiave nella diagnostica oncologica è la valutazione dei margini di escissione delle lesioni sottoposte ad indagine istologica in seguito alla loro escissione. L’oncologo clinico ha infatti la necessità di sapere se la neoplasia è ancora presente in maniera residuale ai margini di escissione, al fine di valutare i successivi step nella gestione clinica del caso.

In medicina veterinaria non esistono protocolli universalmente riconosciuti per l’invio al laboratorio, il trimming (sezionamento del campione sotto cappa con selezione di sue porzioni per il successivo esame istologico) e per la valutazione dei margini.

Sono ad ogni modo state proposte, già da anni, delle linee guida, ad esempio come quelle pubblicate nel 2010 dal “comitato per l’oncologia” dell’American College of Veterinary Pathologists.

In questo interessante lavoro vengono proposti dei passaggi da seguire ai fini di un’esaustiva e corretta valutazione dei margini dei campioni derivanti dalla chirurgia oncologica.

I primi step fondamentali sono affidati all’equipe clinica che segue il caso ed invia il campione al laboratorio per l’esame istologico: solo con un corretto flusso di informazioni, che parte da una descrizione accurata del campione (eventualmente anche corredata da schemi o fotografie macroscopiche) e dall’orientamento spaziale dei suoi margini, indicati con mezzi opportuni, si può arrivare ad un trimming ottimale che determina poi quali aree del campione saranno sottoposte alla valutazione da parte del patologo.

Biopsia incisionale vs Biopsia escissionale:

Una biopsia incisionale, per definizione, è l’escissione di una parte della lesione e non della lesione in toto, in tal caso si può anche specificare, ovviamente, che non è richiesta una valutazione dei margini di escissione. Al contrario una biopsia escissionale consiste nella lesione escissa in toto, ed in tal caso va indicato in maniera esplicita se è richiesta una valutazione dei margini.

 Numero dei campioni e loro identificazione:

Talvolta i campioni escissi da un singolo animale sono multipli, in questo caso è opportuno inviarli in contenitori separati e con esatta identificazione sul contenitore stesso della sede di origine, oppure, nel caso siano inviati in un unico contenitore, è utile identificarli, ad esempio, con fili da sutura di colore o lunghezza diversi (es. campione con un nodo a fili lunghi blu proveniente da coscia sx, campione con due nodi a fili corti verdi proveniente dal dorso etc…)

Indicazione dei margini e del loro orientamento:

Per la valutazione dei margini di escissione di un campione un metodo ideale è quello di utilizzare uno o più inchiostri (pigmenti specifici per la colorazione dei margini istologici o colori acrilici resistenti all’acqua e ai solventi usati durante a processazione del campione). Gli inchiostri, infatti, non solo consentono di orientare correttamente il campione durante il trimming, ma consentono poi al patologo stesso di vedere l’esatto margine esterno di ciascuna sezione sul vetrino. Nel caso si disponga di un solo colore si possono colorare tutti i margini con lo stesso per poi indicare i punti relativi all’orientamento, ad esempio con un numero diverso di fili da sutura.

Esempio con colori diversi: margine profondo giallo, margine craniale verde, margine caudale blu, margine arancione destro, margine rosso sinistro

Esempio con unico colore: margini segnati in blu, un filo da sutura su margine craniale, due fili da sutura su margine destro…va da sé che quelli a loro opposti saranno il caudale ed il sinistro

E’ comunque indispensabile indicare sempre a quali versanti del campione si riferiscono i colori o il diverso numero di fili da sutura, se possibile anche facendo un disegno del campione oppure scattando una foto del campione una volta applicati colori e fili ed indicandone l’orientamento con scritte su cartoncini circostanti o scrivendolo sulla foto stessa (con i programmi di fotoritocco disponibili su pc e cellulari).

Figura 1: esempio di schema per orientamento del campione

 

Come applicare i colori al campione:

I colori vanno applicati con pennelli o tamponi di cotone sul campione precedentemente lievemente tamponato con una garza o un panno asciutto per ripulirlo dal sangue o da eventuali essudati, si lasciano quindi asciugare giusto per 5-10 minuti (ovviamente evitando un’essiccazione eccessiva che potrebbe causare degli artefatti), durante i quali si possono fare disegni o foto utili per far capire l’orientamento del campione stesso al personale del laboratorio, dopodiché si può mettere il campione nel contenitore con un’opportuna quantità di fissativo.

Figura 2: applicazione dell’inchiostro con tampone di cotone

 

Le indicazioni di orientamento del campione fornite dai clinici sono indispensabili:

In laboratorio queste informazioni saranno cruciali per eseguire il trimming con le tecniche più opportune: ad esempio il taglio a croce o ‘cross-sectioning’ per le lesioni nodulari di dimensioni piccole o medie, il taglio a sezioni seriali o fette di pane o ‘bread loafing’ per campioni più lunghi, tecnica modificata con sezioni parallele e radiali, tecnica a sezioni tangenziali rispetto al margine stesso ad esempio per i margini di amputazione prossimale di un dito  o di una coda o per il margine distale di un condotto uditivo etc…

L’orientamento dei margini così come prelevati durante il trimming (con le indicazioni fornite dal clinico di cui abbiamo parlato nel dettaglio) sarà quindi riportato sulle biocassette e a seguire sui blocchetti e sui vetrini, così che il patologo possa indicare se i margini di escissione sono puliti, oppure se sono raggiunti da elementi neoplastici (e se sì su quale versante del campione) o a quale esatta distanza (e rispetto a quale dei versanti del campione) si sospingano le cellule neoplastiche.

Figura 3: trimming secondo la tecnica del cross-sectioning guidato dallo schema di orientamento della Figura 1.

Figura 4: trimming di una linea mammaria secondo la tecnica del ‘bread loafing’

Figura 5: trimming di una lesione su un dito con sezioni longitudinali e sezioni tangenziali in corrispondenza del margine di amputazione (tessuti molli e tessuto osseo)

 

Dr.ssa Gaia Vichi – DVM Dipl. ECVP

 

Bibliografia:

Kamstock DA, Ehrhart EJ, Getzy DM, et al. Recommended Guidelines for Submission, Trimming, Margin Evaluation, and Reporting of Tumor Biopsy Specimens in Veterinary Surgical Pathology. Veterinary Pathology. 2011;48(1):19-31. doi:10.1177/0300985810389316


Valutazione diagnostica del rapporto urea/creatinina in cani con sanguinamento gastrointestinale

Il rapporto urea/creatinina (UCR) non sembra essere utile per la diagnosi di sanguinamento gastrointestinale occulto, né per distinguere sanguinamenti del primo tratto gastroenterico da sanguinamenti del grosso intestino.

Il sanguinamento gastrointestinale del cane è frequentemente causa di ospedalizzazione. Clinicamente si può presentare come malattia subclinica senza sanguinamento evidente (forma occulta) oppure con ematemesi, melena o ematochezia (forma conclamata). Si distingue inoltre, a seconda della localizzazione del sanguinamento, in emorragia superiore o inferiore alla giunzione duodenodigiunale.

In letteratura è riportato che cani con sanguinamento evidente del tratto gastrointestinale hanno un UCR più alto rispetto a cani sani. Si ritiene che tale incremento sia causato principalmente da un aumento dell’urea sierica, e ciò avverrebbe a causa dell’aumento dell’ureagenesi epatica in seguito alla digestione delle proteine plasmatiche nel tratto gastrointestinale. Questa ipotesi è supportata da studi sperimentali in cui si osserva un incremento dell’urea sierica in seguito a somministrazione orale di sangue. Una seconda ipotesi patogenetica propone come causa di aumento dell’urea sierica nei cani con sanguinamento gastrointestinale l’ipovolemia conseguente all’emorragia, che determinerebbe azotemia pre-renale precoce (cioè senza concomitante incremento della creatinina sierica).

Lo scopo di questo studio è quello di valutare l’utilità della UCR nel diagnosticare sanguinamento gastrointestinale occulto e nel distinguere sanguinamenti del primo tratto gastroenterico da sanguinamenti del grosso intestino.

Nello studio sono stati inclusi in modo retrospettivo e prospettico cani che presentavano sintomi gastroenterici o anemia da causa non nota, e cani sani.

Sono stati esclusi i pazienti che presentavano rialzo dell’urea e concomitante shock, disidratazione ed emoconcetrazione, azotemia renale o post-renale, disfunzione epatica o febbre.

Su tutti i pazienti è stata quindi eseguita endoscopia tramite la quale sono state individuate le lesioni che causavano il sanguinamento; per alcuni pazienti la diagnosi è stata confermata anche tramite Video Capsule Endoscopy (VCE), laparotomia esplorativa o necroscopia.

La maggior parte (76,9%) dei cani con lesioni nel grosso intestino presentava sanguinamento clinicamente evidente, mentre circa la metà (54,9%) dei cani con lesioni nel primo tratto aveva la forma occulta.

I risultati dello studio indicano che la UCR dei cani con sanguinamento gastrointestinale occulto non è statisticamente differente da quella dei cani sani. Una possibile spiegazione è che il sanguinamento occulto è caratterizzato da perdita microscopica di sangue, per cui la quantità di proteine plasmatiche che viene assorbita può essere insufficiente a determinare un aumento dell’ureagenesi epatica. In alternativa, la perdita microscopica di sangue potrebbe non determinare un’ipovolemia tale da causare azotemia pre-renale.

L’urea è risultata essere significativamente più bassa nei cani con sanguinamento occulto rispetto ai cani con la forma conclamata e ai cani sani. Gli autori hanno postulato che cani con urea <12 mg/dL e segni clinici compatibili hanno più probabilità di avere una forma occulta di sanguinamento gastroenterico rispetto a cani con urea compresa fra 12 e 21,5 mg/dL. Gli autori ipotizzano che l’iporessia/anoressia conseguenti alla malattia possano determinare una diminuzione delle proteine normalmente introdotte con la dieta, e portare quindi a una diminuzione dell’urea che maschererebbe un possibile aumento della stessa causato dal sanguinamento.

La creatinina è significativamente più bassa nei pazienti con sanguinamento gastrointestinale sia conclamato che occulto rispetto ai cani sani. Gli autori ipotizzano che la causa possa essere il dimagrimento e la perdita di massa muscolare conseguenti alla malattia.

UCR nei cani con malattia conclamata è più alto sia rispetto ai sani che rispetto ai cani con la forma occulta. Non è invece utile nel distinguere la localizzazione del sanguinamento.

Gli autori hanno riscontrato inoltre che valori di Hb e di Hct più bassi del range di normalità sono associati alla possibilità di avere una forma occulta. Analogamente a UCR, non sono invece utili a differenziare la localizzazione del sanguinamento.

CONCLUSIONI

Il rapporto urea/creatinina sierica non è utile per predire il sanguinamento gastrointestinale occulto e non ha la capacità di localizzare l’emorragia nel tratto gastrointestinale. Quindi un aumento di UCR in un cane senza segni evidenti di sanguinamento gastrointestinale, soprattutto se l’Hct è tra i valori medi o al limite superiore dell’intervallo di riferimento, non è associato alla possibile presenza di sanguinamento occulto.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM Dipl.ECVCP – Dr.ssa Manuela Zanetti, DVM

 

Bibliografia:

Stiller et al. Diagnostic evaluation of urea nitrogen/creatinine ratio in dogs with gastrointestinal bleeding. J Vet Intern Med. 2021;35:1427–1438.


Patologia Clinica Veterinaria: lo sapevate? SAPEVATELO!

La patologia clinica è la branca della medicina veterinaria che si occupa dello sviluppo, dell’applicazione e dell’interpretazione dei test di laboratorio con finalità diagnostiche, prognostiche, terapeutiche e di monitoraggio delle patologie animali spontanee o nei modelli animali di malattia negli studi preclinici.

Questa specialità esiste anche in Medicina Umana e viene spesso definita Medicina di Laboratorio.

Esistono 4 macroaree di interesse:

  1. Ematologia
  2. Citopatologia
  3. Biochimica clinica (incluse endocrinologia, immunologia, diagnostica molecolare)
  4. Patologia generale e gestione del laboratorio. Questa ultima area è trasversale alle altre poiché è attraverso la profonda conoscenza dei meccanismi fisiopatologici di malattia che si possono comprenderee interpretare le alterazioni di laboratorio che essi inducono. La parte di management di laboratorio è un altro aspetto di fondamentale importanza:  il patologo clinico ha le competenze per sviluppare  e validare nuovi test diagnostici, per garantire attraverso la gestione dei sistemi di qualità l’accuratezza dei risultati che il laboratorio produce.

Patologi clinici fantastici e dove trovarli

I patologi clinici trovano le loro principali occupazioni nelle Università (insegnamento e ricerca), nelle aziende farmaceutiche (negli studi preclinici funzionali allo sviluppo di farmaci), in altri istituti  ed enti di ricerca pubblici e privati, nei laboratori diagnostici pubblici e privati, commerciali o interni alle grosse strutture veterinarie.

Di cosa si occupa un patologo clinico all’interno di un laboratorio (commerciale o interno ad una struttura veterinaria)?

Il patologo clinico è in primo luogo il responsabile dell’accuratezza dei dati che il suo laboratorio produce, ovvero deve garantire che i numeri prodotti dagli strumenti siano il più possibile “esatti”, e che anche i referti degli altri test non automatizzati (ad esempio lettura strisci ematologici, esami parassitologici, immunofluorescenze, esami citopatologici etc) rispondano a determinati standard di qualità. Per fare questo deve saper scegliere lo strumento migliore (tenendo anche in considerazione i volumi della routine), deve conoscerne il funzionamento, deve saper scegliere i reagenti con le performances migliori, deve impostare i controlli di qualità e fare tutte le verifiche necessarie per evitare che siano generati numeri o referti inaccurati, deve saper risolvere una serie di problemi (anche tecnici) che possono ogni giorno presentarsi. Poiché le pubblicazioni scientifiche in patologia clinica sono numerose e quotidiane, deve studiare molto per tenersi sempre aggiornato. Nel caso in cui rivesta un ruolo “dirigenziale” deve formare il personale medico e tecnico che fa parte del suo team, perché tutti siano sempre preparati e ci sia uniformità nella refertazione degli esami che prevedono una interpretazione soggettiva. Nel caso in cui ritenga utile introdurre un nuovo test deve “validarlo” (verificarne le performances) per garantire ai suoi clienti, prima di venderlo, che quel test  sia utile e accurato. Passa molto del suo tempo a consigliare i suoi referenti  sul tipo di esame da scegliere per arrivare a una diagnosi, emettere una prognosi o per monitorare una patologia in atto e li aiuta a interpretare i risultati dei test. Legge strisci ematologici e preparati citopatologici.

N.B.Il patologo clinico NON è tenuto a sapere nulla di terapia (non vede mai animali vivi!) e NON referta esami istopatologici, perché questa specialità non fa parte della patologia clinica, bensì della anatomia patologica (con tanto di College Europeo distinto, ECVP).

Dove si forma un patologo clinico veterinario

La patologia clinica è una disciplina che prevede competenze teoriche molto ampie e trasversali, poiché non solo comprende tutte le specie di interesse veterinario (grossi e piccoli animali domestici, esotici, animali da laboratorio, fauna selvatica), ma richiede conoscenze in tutte le altre specialità mediche, almeno laddove esista una parte di laboratorio in ciascuna di esse; il patologo clinico deve conoscere ogni patologia che possa essere indagata attraverso i test di laboratorio, sia che riguardi la medicina interna o la dermatologia, l’oncologia, la riproduzione e così via. E poiché per poter scegliere e interpretare qualsiasi esame è indispensabile conoscere gli aspetti clinici di ciascuna malattia, il patologo clinico è tenuto ad avere una formazione quantomeno di base in tutte le altre specialità cliniche. Così come per quasi tutte le altre specialità mediche è inoltre indispensabile la pratica sul campo, per applicare quotidianamente ciò che è possibile studiare in letteratura, al fine di accumulare anche esperienza  e abilità appunto pratiche. Per queste ragioni l’unico modo per diventare un patologo clinico è di fatto fare il patologo clinico. E come è ovvio, dedicarsi full time ad una singola disciplina specialistica garantisce di raggiungere, come professionista, risultati migliori. Studiare la teoria è fondamentale ma non basta, seguire un corso anche se specialistico non basta, così come non basterebbero teoria e corsi per diventare un chirurgo. Esattamente come vale per un chirurgo, è di fondamentale importanza per un aspirante patologo clinico avere la possibilità di affiancare uno specialista qualificato per poter imparare, piuttosto che andare alla deriva “facendosi da sé”, rischiando di raccogliere un'esperienza priva di confronto e guida che rischia di essere più pericolosa che utile.

Il College Europeo di Patologia Clinica Veterinaria  (ECVCP - Welcome to the ESVCP/ECVCP)

Fondato nel 2002, è stato pienamente riconosciuto nel 2007 dall’EBVS (European Board of Veterinary Specializations, vale a dire l’organizzazione che definisce le linee guida per riconoscere e registrare gli specialisti veterinari -Welcome to EBVS - EBVS - European Board of Veterinary Specialists). L’ECVCP ha tra i suoi principali obiettivi: definire gli standard formativi necessari per diventare un patologo clinico diplomato; contribuire alla definizione di standard elevati e condivisi per migliorare e armonizzare le procedure di laboratorio in Europa; promuovere la ricerca e il progresso scientifico in patologia clinica incoraggiando lo scambio di informazioni, la formazione e la pubblicazione di lavori scientifici. Per potersi diplomare in patologia clinica è necessario entrare in un residency programme della durata di 3 o 4 anni (rispettivamente standard o alternative programme) approvato dal college, che deve svolgersi presso un laboratorio a sua volta accreditato dal college come training site. Per poter essere accreditato, il laboratorio deve dimostrare di rispettare determinati standard operativi e di qualità dettati dal college, di possedere un'adeguata strumentazione, che al suo interno venga processato un numero importante di campioni del maggior numero di specie animali, che tutte le macroaree della patologia clinica siano presenti nella routine diagnostica. Il programma di studio deve garantire al candidato la possibilità di prepararsi adeguatamente all’esame finale e prevede sia parti pratiche legate all’esecuzione della routine diagnostica, sia parti teoriche fatte di  studio personale e collettivo, rounds, journal clubs etc, e infine parti dedicate alla produzione scientifica; se esistono carenze nel programma (ad esempio nel training site non si processano campioni di fauna selvatica) devono essere colmate con periodi di externship presso altri laboratori. Ogni candidato ha un supervisor (un diplomato ECVCP) che deve guidare il proprio resident attraverso il percorso formativo approvato e che lui stesso ha ideato, in accordo sempre con le linee guida del college. Alla fine del training il candidato può sostenere l’esame finale, composto da parti teoriche e parti pratiche, diviso in 4 parti (una per ciascuna macroarea della patologia clinica) e che dura 2 intere giornate.

Prospettive occupazionali

Premesso che sono sempre di più le offerte di lavoro per questa figura specialistica, a mio parere esiste un enorme sommerso di posti di lavoro, soprattutto nelle grosse strutture veterinarie dotate di laboratorio interno. Ahimè ancora molti Colleghi non conoscono questa specializzazione e non sanno quali siano le competenze di un patologo clinico (tra le quali credetemi c’è anche quella di far avere margini molto importanti al reparto, attraverso la corretta gestione dello stesso, anche considerando che genera notevoli indotti in altri reparti): accade così che invece di ricercare uno specialista molte strutture scelgono di lasciare in laboratorio personale non qualificato, con le tragiche conseguenze che si possono immaginare, prima tra tutte quella di impedire ai colleghi clinici la possibilità di effettuare diagnosi corrette,  producendo referti inaccurati.

 

Dr.ssa Silvia Rossi – DVM dipl. ECVCP

 


L'importanza della corretta compilazione del modulo di richiesta dell'esame istopatologico

Una corretta compilazione della scheda relativa ai dati di segnalamento ed anamnestici da parte dei clinici risulta di importanza fondamentale per una corretta interpretazione dei dati morfologici osservati dal patologo durante la valutazione degli istologici.

Questo oltre ad essere un dato di fatto abbastanza intuitivo se si pensa all’importanza del dialogo tra clinico e patologo è un fatto dimostrato anche da studi recenti (Ali et al. 2018) che hanno evidenziato come la disponibilità di dati anamnestici precisi e al contempo concisi riduce il cosiddetto turnaround time (TAT), ovvero le tempistiche di refertazione.

Andiamo a vedere nel dettaglio che cosa si intende per dati di segnalamento ed anamnestici precisi e concisi:

  1. Specie animale, sesso, età (ed eventuale stato di sterilizzazione), razza, mantello
  2. Anamnesi recente: sede, distribuzione e tipologia esatta delle lesioni, dimensioni delle stesse, tempo di insorgenza ed evoluzione, eventuali patologie concomitanti
  3. Numero e descrizione esatta dei campioni in relazione alle lesioni stesse e tipologia del campione (es. biopsie escissionali se includono le lesioni in toto, incisionali se sono rappresentative solo di loro porzioni, eseguite con losanga escissa a lama fredda, o con elettrobisturi etc…, eseguite con punch da tot mm, eseguite con ago da biopsia, endoscopiche etc…)
  4. Indicazione esatta dei margini di escissione qualora si sospetti forma neoplastica e si vogliano valutare i margini di escissione chirurgica
  5. Anamnesi farmacologica: terapie eseguite
  6. Anamnesi relativa a esami aggiuntivi: ulteriori indagini già eseguite sul caso
  7. Anamnesi remota: patologie pregresse

Ovviamente va da sé che la massima precisione è richiesta nell’indicare la tipologia di lesioni (facendo riferimento all’opportuna terminologia di descrizione macroscopica: evitando ad esempio di indicare come ‘cisti’ delle lesioni nodulari che all’ago-infissione o alla palpazione non paiono avere contenuto liquido o fluido, nel dubbio indicandole come ‘lesione sferica’ oppure ‘rotondeggiante’ o ‘cupoliforme’ del diametro di tot cm oppure mm).

Altrettanta precisione è richiesta nell’indicare il numero e la provenienza esatta dei campioni inviati, identificandoli con opportune lettere da riportare poi ad esempio nei contenitori in cui vengono inviati assieme al nome di riferimento del proprietario o dell’animale.

Non da ultimo una particolare attenzione va dedicata all’indicazione dei margini e al loro orientamento spaziale: ad esempio usando colori acrilici si può colorare con un primo colore il margine profondo e con colori diversi i vari margini (craniale/ caudale, laterale/mediale, sinistro/destro, dorsale o prossimale/ ventrale o distale). NB: in caso per maggiore ausilio allo staff tecnico e ai patologi nell’orientamento dei preparati e poi nella loro interpretazione si può scattare una foto dei campioni una volta colorati ed orientati prima di immergerli nel fissativo ed inviarla al laboratorio via e-mail o farne un disegno esplicativo ed allegarlo alla richiesta.

Per fare un esempio di tutto ciò alleghiamo due schede adeguatamente compilate (a titolo esemplificativo, per cui con nomi fittizi e senza indicazioni relative al Medico Veterinario richiedente).

Bibliografia:

  • Ali SMH, Kathia UM, Gondal MUM, Zil-E-Ali A, Khan H, Riaz S. Impact of Clinical Information on the Turnaround Time in Surgical Histopathology: A Retrospective Study. Cureus. 2018 May 8;10(5):e2596. doi: 10.7759/cureus.2596.

 

Dr.ssa Gaia Vichi DVM, Dipl. ECVP


Neoplasie melanocitarie del gatto in sede extra-oculare

Parliamo oggi delle neoplasie melanocitarie del gatto in sede extra-oculare.

Le neoplasie melanocitarie del gatto in sede extra-oculare non sono frequenti e presentano un ampio range di comportamento biologico. Ad oggi non esistono criteri prognostici universalmente riconosciuti sulla base dei riscontri istopatologici.

Un recente ed interessante lavoro pubblicato su Veterinary Pathology nel 2019 da Pittaway et al. ha proposto, con uno studio condotto su 324 casi, un nuovo schema di grading per questo tipo di neoplasie (tale sistema di grading ha una sensibilità pari all’ 80% ed una specificità del 92% nel predire la morte dovuta alla patologia neoplastica in questione, con una sopravvivenza media di 90 giorni per gli animali con neoplasia classificata come di alto grado).

Secondo tale studio le variabili prognostiche indipendenti (all’analisi multivariata) sono:

  1. la sede di insorgenza
  2. l’indice mitotico
  3. la presenza di necrosi nel contesto del tessuto neoplastico

Se la localizzazione è a carico di labbra, mucosa orale, mucosa nasale, planum nasale è sufficiente il riscontro di una conta mitotica ≥4 mitosi su 10 HPF (HPF: campi microscopici con ingrandimento 40x) o di fenomeni di necrosi nel tessuto neoplastico per definire la neoplasia di alto grado.

Se la localizzazione extra-oculare interessa sedi differenti da quelle appena elencate occorre il riscontro di entrambi questi indicatori per definire la neoplasia di alto grado (sia un mitotico ≥4 mitosi su 10 HPF, sia la presenza di necrosi intralesionale).

Relativamente ai parametri valutabili con indagine immunoistochimica gli autori segnalano la positività degli elementi neoplastici per PNL-2 e Melan-A, che si confermano come markers validi per il riconoscimento delle neoplasie melanocitarie, soprattutto nel caso si tratti di forme amelanotiche con caratteristiche tali da porre dei dubbi diagnostici con altre entità neoplastiche in diagnosi differenziale (ad ogni modo tali markers non risultano utili ai fini della valutazione prognostica).

Viene riportata inoltre la positività, in molti casi per COX-2. Tale dato risulta interessante suggerendo una possibile utilità terapeutica dei farmaci inibitori delle COX-2.

 

Dr.ssa Gaia Vichi, DVM dipl. ECVP

 

Bibliografia:

Pittaway R, Dobromylskyj MJ, Erles K, Pittaway CE, Suárez-Bonnet A, Chang YM, Priestnall SL. Nonocular Melanocytic Neoplasia in Cats: Characterization and Proposal of a Histologic Classification Scheme to More Accurately Predict Clinical Outcome. Vet Pathol. 2019 Nov;56(6):868-877.