IL REFERTO CITOLOGICO - IX parte: Criteri citologici di malignità
In linea generale, salvo alcune particolari eccezioni, osservando un preparato citologico possiamo sospettare una neoplasia: quando è presente una popolazione cellulare (non infiammatoria) che non ci aspettiamo di trovare in quella particolare sede di prelievo; perché la cellularità (sempre non infiammatoria) di una neoformazione campionata appare con le medesime caratteristiche morfologiche e, particolarmente ed inspiegabilmente, elevata; infine perché le cellule in esame mostrano criteri di malignità citologica (soprattutto se presenti in assenza di flogosi concomitante).
Questi ultimi caratterizzano in particolare le neoplasie maligne, mentre le neoplasie benigne sono costituite da cellule generalmente monomorfe (= dalla stessa morfologia, uguali) e ben differenziate (= mature, uguali alle cellule “sane”).
I criteri di malignità rappresentano la diretta espressione dell’immaturità o dell’atipia della cellula neoplastica e quanti più ne sono presenti in un campione, tanto più si potrà essere confidenti nell’emettere una diagnosi di neoplasia maligna.
Esistono tuttavia delle neoplasie maligne “ben differenziate” caratterizzate da popolazioni cellulari monomorfe o con minimo pleomorfismo, come ad esempio il carcinoma epatocellulare ben differenziato o molte neoplasie endocrine o neuroendocrine. Anche nel caso del linfoma il monomorfismo è uno dei principali criteri di malignità sebbene, quantomeno nelle forme di alto grado, sia associato ad atipie e ad altri aspetti morfologici che indicano immaturità cellulare.
Ricordiamo che alcuni dei criteri di malignità possono essere presenti in lesioni non neoplastiche, come nel caso di fenomeni iperplastici o displastici, rendendo la differenziazione tra proliferazioni benigne e maligne molto complessa se non talvolta impossibile.
I criteri di malignità possono riguardare la cellula o i rapporti tra le cellule, il citoplasma o il nucleo.
CRITERI GENERALI DI MALIGNITA’ CITOLOGICA
- Anisocitosi e macrocitosi: le cellule presentano tra loro variabilità di dimensioni e volume elevato, rispettivamente (almeno due volte la dimensione di una cellula normale della medesima linea cellulare). Entrambe queste caratteristiche devono essere marcate per essere considerate un criterio di malignità.

- Ipercellularità: il ritrovamento di un numero particolarmente elevato di cellule in un tessuto può indicare iperplasia o neoplasia; l’ipercellularità deve essere sempre valutata conoscendo quindi la condizione di “normalità” citologica del tessuto campionato e ovviamente unitamente alla eventuale presenza di atipie cellulari.
- Pleomorfismo (con eccezione per le neoplasie linfoidi, in cui il monomorfismo è considerato un criterio di malignità): cellule della medesima linea cellulare che tra loro presentano elevata variabilità di forma, dimensioni e-o stadio maturativo.
CRITERI CITOPLASMATICI DI MALIGNITA’
- Iperbasofilia: colore intensamente bluastro del citoplasma di una cellula che in condizioni di normalità appare invece di un blu più tenue.
- Vacuolizzazioni: si possono osservare fini vacuoli per lo più perinucleari o un grosso vacuolo che sposta il nucleo in periferia (cellule ad anello con castone), tipicamente in corso di neoplasie epiteliali maligne.

- Produzione di materiale secretorio anomalo: presenza di materiale intensamente rosato contenuto all’interno del citoplasma, talvolta riscontrabile sullo sfondo al di fuori della cellula stessa.

- Asincronia maturativa: aspetto tipico del carcinoma squamocellulare, in cui la stessa cellula mostra aspetti di maturità citoplasmatica (citoplasma ialino, tipico delle cellule mature, cheratinizzate anucleate) e immaturità nucleare.
- Cannibalismo: capacità di alcune cellule neoplastiche ad attività non fagocitica di internalizzare attivamente e in maniera irreversibile cellule del sistema immunitario o della loro stessa origine. Tale criterio è riportato più frequentemente in corso di alcune neoplasie epiteliali (carcinoma squamocellulare, neoplasie mammarie e polmonari) e di mastocitoma.

CRITERI NUCLEARI DI MALIGNITA’
Questa categoria racchiude criteri di malignità “più forti” (nel senso di più gravi, preoccupanti) rispetto a quelli citoplasmatici; è difficile che un processo non neoplastico possa presentare questo tipo di anomalie morfologiche; ad esempio, processi displastici – iperplastici tendono a presentare altri criteri quali ipercellularità, anisocitosi, e iperbasofilia.
Nel dettaglio:
- Anisocariosi e macrocariosi: le cellule presentano tra loro variabilità di dimensioni del nucleo, e il nucleo è di dimensioni particolarmente elevate (maggiore di 20 micron di diametro), rispettivamente.

- Aumento del rapporto nucleo: citoplasma (N:C): le cellule non neoplastiche non linfoidi solitamente presentano un rapporto N:C di 1.3 – 1.8; L’aumento di tale rapporto (ovvero se il nucleo occupa più spazio all’interno della cellula o vi è una riduzione del volume di citoplasma) può suggerire un processo neoplastico; solitamente ciò è indice di immaturità cellulare, ma può essere presente in corso di iperplasia.
- Micronuclei: formazione di uno o più nuclei di piccole dimensioni per un danno genomico che avviene in corso di replicazione; un cromosoma o un suo frammento non viene incorporato in uno dei nuclei figli nella divisione cellulare durante l’anafase.

- Lobature nucleari – forme irregolari
- Multinucleazioni: cellule che in condizioni normali hanno un solo nucleo ne contengono 2 o più; è consigliabile segnalare se i nuclei tra loro appaiono di dimensioni e forme differenti. È importante ricordare che vi sono cellule non neoplastiche che possono presentarsi multinucleate come osteoclasti, magacariociti e cellule infiammatorie giganti multinucleate della linea monocito – macrofagica. La presenza di multinucleazioni in assenza di altre atipie nucleari può caratterizzare anche le forme iperplastiche (es. iperplasia epatocellulare, mesoteliale).

- Aumento delle figure mitotiche – mitosi atipiche: le mitosi, in particolare quelle atipiche, non si osservano nei tessuti non neoplastici se non assai raramente, e comunque in caso di tessuti in attiva replicazione, come ad esempio nel caso del midollo emopoietico.

- Pattern cromatinico immaturo
- Nuclear molding: il nucleo di una cellula viene deformato da quello di un’altra (o di un secondo nucleo contenuto nella stessa); tale aspetto tipico delle neoplasie epiteliali, indica la rapida crescita cellulare del tessuto neoplastico ed è conseguenza della perdita di inibizione da contatto che caratterizza le cellule sane.
- Anomalie dei nucleoli: nucleoli di grandi dimensioni (macronucleoli, maggiori di 5 micron di diametro) e di forma atipica (nucleoli angolari).

- Anisonucleoliosi: nucleoli multipli all’interno dello stesso nucleo che si presentano di forma e di dimensioni differenti tra loro.
Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl ECVCP
Bibliografia:
- Meinkoth JH et al. Capitolo 2: Cell types and Criteria of Malignancy. In: Cowell and Tyler’s Diagnostic Cytology and Hematology of the dog and the cat. Fifth edition. Elsevier. 2020.
- Raskin R. Capitolo 2: General Categories of Cytologic Interpretation. In: Raskin and Meyer. Canine and Feline cytology: a color atlas and interpretation guide. Third edition. Elsevier. 2016
- Overmann J. Capitolo 5: General approach to diagnostic cytology. In: Sharkey L, Radin MJ, Seeling D. Veterinary cytology. First edition. Wiley Blackwell. 2021
IL REFERTO CITOLOGICO - VIII parte: descrizione del citoplasma e del nucleo
Una volta che vengono identificate nei preparati citologici cellule che non sono precisamente identificabili e fondamentalmente “normali” (es. cellule delle popolazioni infiammatorie, epatociti normali, qualsiasi altra cellula “nota” in assenza di atipie morfologiche) è sempre necessario descriverle. La descrizione parte dalla forma della cellula (irregolare, cuboidale, rotondeggiante, ovalare, allungata, a racchetta, a testa d’insetto ecc..) e dalle sue dimensioni (diametro), che si possono esprimere in μm o in numero di eritrociti.
Successivamente si descrivono citoplasma e nucleo. Vi consigliamo di seguire sempre lo stesso ordine descrittivo, ad esempio dall’esterno all’intero della cellula, ovvero partendo dalla descrizione del citoplasma per poi passare a quella del nucleo. In seguito, lo schema descrittivo da seguire con alcuni esempi di linguaggio comunemente utilizzato.
IL CITOPLASMA
- Quantità: assente (nuclei nudi), sottile rima, scarso, di ampiezza moderata, ampio
- Colore: azzurro, bluastro, chiaro, anfofilo, rosato, grigiastro, color lavanda, (tenuemente o intensamente…), con alone chiaro perinucleare (apparato di Golgi evidente)
- Tessitura: granulare, disomogenea
- Vacuolizzazioni: numero, quantità, colore, dimensioni
- Margini – Limiti: netti, sfumati, irregolari, indistinti
- Presenza di granulazioni – pigmento: colore, forma (fini, tondeggianti, ovalari, bastoncellari ecc..), dimensioni, distribuzione e numero (che oscurano il nucleo, dispersi, addensati). Riguardo al colore possiamo identificare granulazioni:
- Nerastre, marroni: melanina
- Verdastre, giallo-verdastre, nerastre: bile
- Di color oro: ematoidina
- Azzurrofile (da blu a rosso porpora): granuli dei linfociti LGL
- Metacromatiche: mastociti
- Bluastre – verdastre: emosiderina
- Forma: allungato in code, stellato, veil – like, allungato a un polo.
IL NUCLEO
- Numero: se presenti, segnalare la frequenza di bi – multinucleazioni
- Dimensione: come per l’intera cellula, il diametro deve essere espresso in μm o in numero di eritrociti
- Forma: rotondeggiante, ovalare, allungato, clivato, ameboide, di forma irregolare, lobato, indentato, reniforme
- Posizione: centrale, paracentrale, eccentrico
- Pattern cromatinico: fine, liscia, finemente dispersa, disomogenea, punteggiata, granulare, reticolare, grossolana, cordoniforme, reticolare, addensata, coartata
- Nucleoli: segnalare se evidenti e la frequenza in cui si identificano (frequentemente, variamente, per lo più…) o inapparenti, incospicui. Inoltre, riportarne il numero, la dimensione (micro o macronucleoli), la forma e la posizione (prominenti).
- Corpi inclusi nucleari
Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl ECVCP
IL REFERTO CITOLOGICO - Parte VII: Popolazioni infiammatorie
I processi infiammatori in citologia sono classificati in base ai tipi cellulari presenti; possiamo riscontrare nei preparati citologici flogosi costituite da una popolazione singola (es. flogosi neutrofilica, flogosi eosinofilica, etc…) o da diversi tipi cellulari (flogosi mista). A seconda delle cellule infiammatorie presenti, è possibile avanzare un’ipotesi sull’eziologia della lesione.
Ora vediamo nel dettaglio i diversi tipi cellulari che possono figurare nei processi flogistici.
GRANULOCITI NEUTROFILI
Queste cellule, così come le altre cellule infiammatorie, non devono essere descritte nel dettaglio (es. caratteristiche del citoplasma, del nucleo etc); è importante invece segnalare se sono presenti aspetti degenerativi o se i granulociti neutrofili appaiono ben conservati (= non degenerati). Gli aspetti degenerativi appaiono a carico del nucleo: picnosi (condensazione della cromatina nucleare in una o più “sfere” intensamente colorate in cui non è più riconoscibile il pattern cromatinico), cariolisi (lobi nucleari aumentati di volume che confluendo tra loro, assumono un aspetto omogeneo e un colore più chiaro), carioressi (frammentazione nucleare). La presenza di gravi segni degenerativi suggerisce un’eziologia più probabilmente settica. Inoltre, è importante segnalare se i granulociti neutrofili appaiono in fagocitosi di un’agente infettivo (es. batteri) o di altro materiale (es. detrito cellulare). Le flogosi neutrofiliche possono essere presenti, oltre che in corso di infezioni batteriche, anche di infezioni fungine, protozoarie, in conseguenza di reazioni da corpo estraneo da materiale esogeno o endogeno come la cheratina (solitamente in associazione ad altri tipi cellulari come macrofagi, cellule epitelioidi, cellule giganti multinucleate), in seguito a un processo neoplastico (es. carcinoma squamocellulare), a necrosi, e a processi immunomediati (es. artosinovite immunomediata). Sebbene non si dovrebbe menzionare ciò che non si osserva in un preparato citologico (es. “non sono presenti agenti eziologici”), tuttavia è possibile aggiungere una frase per specificare che la presenza di agenti eziologici non è evidente.
N.B.: che non sia stato possibile osservare agenti eziologici nel campione, non ci consente di concludere che la flogosi sia sterile! Se la massiccia presenza di granulociti neutrofili suggerisce un’infezione, è opportuno consigliare un esame colturale nel commento.

Figura 1: Gatto, versamento toracico. Essudato settico; i granulociti neutrofili appaiono gravemente degenerati e si osservano numerosi batteri di forma coccoide sparsi sul fondo (40x, MGG).

Figura 2. Cane, ago infissione neoformazione cutanea dorso. Flogosi neutrofilica, reazione da corpo estraneo alla cheratina (rottura di cisti follicolare pigmentata – 10x, MGG).
GRANULOCITI EOSINOFILI
I granulociti eosinofili sono caratterizzati da granuli intracitoplasmatici di color rosa brillante; la forma di tali granuli inoltre consente di identificare la specie d’appartenenza (es. tondeggianti nel cane, bastoncellari nel gatto). Flogosi prettamente eosinofiliche hanno più spesso un’eziologia allergica/ da ipersensibilità e parassitaria; inoltre possono essere associate a condizioni neoplastiche (es. mastocitoma, linfoma) e a condizioni idiopatiche – sconosciute come la broncopolmonite e meningoencefalite eosinofiliche.

Figura 3. Gatto, BAL. Flogosi eosinofilica (40x, MGG).
LINFOCITI e PLASMACELLULE
Le flogosi linfocitiche – linfoplasmacellulari sono caratterizzate dalla prevalenza di piccoli e medi linfociti e plasmacellule. Tali reperti sono da considerarsi piuttosto aspecifici; possono essere secondari a reazioni allergiche o immunomediate, infezione virali, protozoarie (es. Leishmaniosi) o flogosi croniche; possono essere riscontrati in noduli cutanei in corso di istiocitoma in regressione e in seguito a punture di insetto. La presenza di piccoli linfociti come popolazione unica non consente di escludere un processo linfoproliferativo di basso grado per il quale sono necessari ulteriori approfondimenti diagnostici (es. PARR, esame istologico con indagini immunoistochimiche).

Figura 4. Cane, ago infissione nodulo cutaneo padiglione auricolare. Flogosi linfoplasmacellulare (40x, MGG).
MASTOCITI
Possono essere osservati (in numero ridotto) in associazione a granulociti eosinofili nelle condizioni sopra descritte. Se sono presenti come popolazione singola o prevalente, è più probabile che si tratti di un processo neoplastico (mastocitoma).

Figura 5. Cavallo, BAL. Flogosi mista a carattere eosinofilico e mastocitico (mild to moderate equine asthma – 40x, MGG).
MACROFAGI
I macrofagi possono provenire dal torrente circolatorio (monociti) oppure essere residenti di un tessuto (es. cellule di Kupffer nel fegato). Possono assumere differenti aspetti morfologici a seconda del tessuto in cui si trovano e in base all’eziologia del processo flogistico; possono apparire con citoplasma schiumoso (es. macrofagi alveolari) e, nelle lesioni croniche – granulomatose, assumere un aspetto tale da essere definiti “epitelioidi”, ovvero con citoplasma ampio ed uniforme, di forma poligonale, spesso tendenti alla coesività tanto da conferirgli un aspetto simile alle cellule epiteliali. I macrofagi epitelioidi sotto l’influenza di citochine infiammatorie possono fondersi tra loro a formare cellule giganti multinucleate, che si riscontrano nei granulomi da reazione da corpo estraneo.
Gli aspetti pleomorfi che queste cellule assumono possono indurre talvolta a considerarli come cellule neoplastiche.
I macrofagi sono in genere presenti in associazione ai granulociti neutrofili (flogosi miste, croniche o subacute); essendo cellule con capacità fagocitica, si possano osservare in fagocitosi di agenti eziologici (ife – spore fungine, protozoi, micobatteri), eritrociti (eritrofagocitosi recente e non recente in base alla presenza intracitoplasmatica di eritrociti intatti o di prodotti di degradazione dell’emoglobina), altre cellule (citofagocitosi), e materiale esogeno (materiale giallo-verdastro in corso di coleperitoneo).

Figura 6. Cavallo, BAL. Eritrofagocitosi recente (sinistra) e non recente (emosiderina, a destra) (40x, MGG).

Figura 7. Cane, ago infissione neoformazione cutanea braccio. Flogosi macrofagica da infezione da Mycobacterium spp. (100x, MGG).

Figura 8. Cane, ago infissione neoformazione cutanea. Cellula gigante multinucleata, reazione da corpo estraneo (100x, MGG).

Figura 9. Gatto, ago aspirazione neoformazione endoaddominale. Flogosi mista a prevalente carattere macrofagico e neutrofilico. Si osservano macrofagi di aspetto epitelioide (granuloma, sospetta peritonite infettiva felina – 10x, MGG).
Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP
Bibliografia:
- Meinkoth JH et al. Chapter 2: Cell types and Criteria of Malignancy. In: Cowell and Tyler’s Diagnostic Cytology and Hematology of the dog and the cat. Fifth edition. Elsevier. 2020.
- Raskin R. Chapter 2: General Categories of Cytologic Interpretation. In: Raskin and Meyer. Canine and Feline cytology: a color atlas and interpretation guide. Third edition. Elsevier. 2016
IL REFERTO CITOLOGICO - Parte VI: Citoarchitetture
Con “citoarchitettura” si intende l’organizzazione – disposizione che le cellule assumono nei preparati citologici, suggerendo la natura del tessuto da cui originano. Questo aspetto microscopico può essere osservato sia in corso di campionamento di tessuti normali che in corso di condizioni patologiche (iperplastiche e neoplastiche). Importante segnalare che per diverse ragioni non è sempre possibile identificare una citoarchitettura nei nostri campioni: infatti le procedure di prelievo e di allestimento “traumatiche” possono alterare la disposizione e i rapporti tra le cellule, oppure la lesione campionata è costituita da cellule che non si organizzano secondo una citoarchitettura ma esfoliano singolarmente, come nel caso delle neoplasie rotondocellulari, di alcune neoplasie mesenchimali o di neoplasie maligne indifferenziate.
È consigliabile valutare le citoarchitetture a basso ingrandimento (5x -10x -20x).
Di seguito le diverse citoarchitetture che possiamo riscontrare nei nostri preparati citologici.
Pavimentosa
Le cellule sono disposte a formare un monostrato come fossero dei tasselli di un mosaico. È il risultato dell’esfoliazione superficiale di epiteli con un rapido turnover (pelle, palpebre, cavità orale, esofago, mucosa vaginale, epitelio transizionale della vescica e mesotelio).

Figura 1: Cane, sedimento urinario; urotelio normale (MGG, 400X)
A nido d’ape
Le cellule si dispongono su un monostrato ad elevata coesività ed assumono una forma da cuboidale a colonnare. Parenchimi pluristratificati e ghiandolari possono presentare tali disposizioni. Alcuni classici esempi sono rappresentati dall’iperplasia prostatica benigna (Figura 2), dalle epatopatie vacuolari come degenerazione idropica e glicogenosi, in corso delle quali gli epatociti sono caratterizzati da citoplasma rarefatto con vacuolizzazioni a limiti sfumati, e da alcune neoplasie epiteliali maligne.

Figura 2: Cane, ago infissione prostata. Iperplasia prostatica benigna (10x; MGG).
Acinare
Questa citoarchitettura è caratteristica del tessuto ghiandolare, in cui si osservano cellule epiteliali che si dispongono attorno ad un centro vuoto oppure contenente materiale secretorio. Può essere riscontrata in tessuti normali (ghiandola tiroidea), oppure principalmente in corso di lesioni neoplastiche a carico di polmone, ghiandole salivari e ceruminose, o altri tessuti ghiandolari, e nel tumore delle cellule della granulosa.

Figura 3. Cane, ago infissione tiroide. Carcinoma tiroideo (100x; MGG).
A palizzata
Le cellule che si dispongono “a palizzata” sono frequentemente di aspetto colonnare e i nuclei sono in genere localizzati a livello basale. Alcuni esempi sono le cellule colonnari ciliate dell’epitelio respiratorio, e quelle della mucosa gastrica ed intestinale. Anche in questo caso, tale architettura può essere riscontrata in tessuti normali, iperplastici o neoplastici (quest’ultimo talvolta in associazione a citoarchitetture acinari).

Figura 4. Cane, squash prep mucosa gastrica. Cellule colonnari della mucosa gastrica normali (100x; MGG).
Papillare
Le cellule si dispongono attorno ad un asse centrale vascolare o composto da uno stroma, assumendo un aspetto tridimensionale, dal profilo arrotondato. Tali papille solitamente esfoliano da neoplasie benigne o maligne dell’epitelio intratubulare, come nei tumori della ghiandola mammaria. Tale architettura è segnalata anche in corso di neoplasie ovariche, dell’epitelio transizionale e in corso di reattività – neoplasia del mesotelio.

Figura 5. Cane, ago infissione neoformazione della ghiandola mammaria. Carcinoma mammario (40x; MGG).
Trabecolare
Le cellule esfoliano in voluminosi gruppi costituiti da più ramificazioni. Questo tipo di architettura è caratteristico di neoplasie epiteliali solide supportate da stroma fibroso (es: neoplasie delle ghiandole epatoidi, neoplasie mammarie ed epatiche, sertolioma).

Figura 6. Cane, ago infissione neoformazione polmonare. Carcinoma polmonare (40x; MGG).
Perivascolare
Le cellule sono organizzate attorno a una o più strutture vascolari (capillari). Questo tipo di arrangiamento è riportato frequentemente in corso di tumore delle cellule di Leydig, emangiopericitoma (PWT) e liposarcoma.

Figura 7. Cane, ago infissione testicolo. Neoplasia delle cellule di Leydig (100x; MGG).
Storiforme
Tale citoarchitettura viene considerata caratteristica delle cellule mesenchimali; si dispongono in ammassi – fasci, frequentemente in associazione a stralci di stroma – sostanza fondamentale.

Figura 8. Cane, ago infissione neoformazione sottocutanea. Neoplasia mesenchimale maligna, sarcoma (40x; MGG).
Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP – Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM
Bibliografia:
- Masserdotti C. Architectural patterns in cytology: correlation with histology. Vet Clin Pathol. 35-4. 2006.
IL REFERTO CITOLOGICO - Parte V: Disposizione delle cellule nei preparati e popolazione prevalente
Quali campi valutiamo?
Ovviamente i vetrini vanno esaminati interamente, prima a piccolo ingrandimento per trovare le aree più significative, poi a maggiore ingrandimento; dopo aver descritto lo sfondo e semiquantificato la cellularità, ci troviamo a dover accuratamente scegliere su quali campi basare la nostra descrizione e la nostra interpretazione.
Il campo migliore è quello in cui le cellule appaiono ben colorate, ben conservate e distese in un monostrato che ci consente di apprezzarne tutti i dettagli. Esistono casi nei quali le stesse cellule assumono aspetti morfologici diversi se valutate in differenti campi (assenza di monostrato, asciugatura lenta, colorazione non uniforme): il caso forse più classico è quello delle cellule linfoidi che valutate in campi differenti nello stesso preparato possono talvolta suggerire diagnosi discordanti fra loro.

Figure 1- 2: Istiocitoma, cane: campo periferico e al centro del vetrino (MGG 100x).

Figure 3-4: Linfonodo, cane: stesso preparato ma campi differenti (MGG 100x).
Ordine descrittivo
Le cellule presenti nel campione citologico possono essere costituite da un unico tipo cellulare (popolazione unica), o da più tipi (popolazione mista); nel secondo caso è necessario utilizzare lo schema della “piramide invertita”, ovvero identificare e descrivere per prima la popolazione numericamente prevalente, e poi a seguire le altre popolazioni in ordine decrescente.
Distribuzione cellulare su vetrino
C’è la possibilità che in vetrini differenti della stessa lesione, vi siano aspetti citologici completamente diversi: in questi casi è consigliabile descrivere i preparati separatamente perché tutti possono avere una loro importanza clinica. Ad esempio, nel caso di una neoformazione del cavo orale di un gatto è possibile che alcuni vetrini presentino unicamente una flogosi neutrofilica settica, mentre altri siano costituiti prevalentemente da cellule epiteliali squamose di tipo neoplastico. In casi come questi è consigliato descrivere entrambi i quadri citologici; nell’interpretazione finale si potrà fare una sintesi esprimendo una diagnosi di neoplasia epiteliale associata a flogosi neutrofilica settica. Nel caso in cui anche in uno stesso vetrino siano presenti campi molto diversi è preferibile descrivere questa particolare distribuzione. Ad esempio: nella maggior parte dei campi del preparato si osserva una popolazione prevalente di…. ; in rari campi sono presenti…. ; oppure ancora, nel caso di uno striscio di versamento emorragico: il campione è costituito da sangue; in coda allo striscio si osservano numerosi macrofagi in eritrofagocitosi recente e occasionali cellule mesoteliali isolate…
Nel caso di popolazioni non infiammatorie devono essere descritti i rapporti tra le cellule: le cellule possono esfoliare singolarmente (cellule isolate), oppure dimostrare coesività (cellule lassamente o fortemente coesive) e organizzarsi in gruppi tridimensionali, in foglietti, in ammassi. Frequentemente le cellule coesive si organizzano a formare ben definite “citoarchitetture” (che saranno argomento della prossima pillola!).
Dr.ssa Giulia Mangiagalli DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl ECVCP
IL REFERTO CITOLOGICO - Parte IV: aspetto macroscopico e sfondo dei preparati citologici
L’ASPETTO MACROSCOPICO dei preparati citologici, prima della colorazione, può indicare la natura della lesione campionata. Si possono osservare goccioline lipidiche oleose, se campionato del tessuto adiposo (prelievo accidentale o un lipoma), oppure materiale gessoso biancastro se è avvenuto il campionamento di materiale calcifico (calcinosis circumscripta). Entrambi questi aspetti si modificano in seguito alla colorazione: i lipidi si sciolgono a contatto con i coloranti a base alcolica e il materiale calcifico invece assume una colorazione violacea. Inoltre, è importante ricordare che quando osserviamo macroscopicamente un liquido biologico (liquido sinoviale, versamenti cavitari, lavaggio broncoalveolare o liquido cefalorachidiano) il suo colore e aspetto possono suggerirci quello che possiamo riscontrare da un punto di vista microscopico o chimico; ad esempio campioni rosati – rossastri suggeriscono la presenza di emazie nel campione, l’aumentata viscosità può essere conseguente a un’aumentata concentrazione proteica, oppure la torbidità può indicare un’elevata cellularità o la presenza di materiale in sospensione.
La valutazione e la descrizione microscopica dello SFONDO sono una parte fondamentale del referto citologico, in quanto possono fornire informazioni utili sia sull’origine dell’organo campionato sia sulla diagnosi. Lo sfondo può essere costituito da sangue (sfondo ematico); la presenza di emazie può essere conseguente a traumatismo dall’ago nel momento del campionamento della lesione, oppure può essere parte della lesione stessa perché costituita da sangue (ematoma, neoplasia vascolare) o in casi di organo altamente vascolarizzato (ad es. milza).
Sullo sfondo possiamo riscontrare eventuali contaminanti e artefatti, conseguenti al tipo di campionamento o alla metodica di prelievo (ad es. gel ecografico, talco dei guanti) o presenti sulla superficie della lesione nel dettaglio:
- Nuclei nudi, strie nucleari, frammenti citoplasmatici: elementi presenti per una possibile aumentata fragilità cellulare (cellule neoplastiche o degenerate) o per un prelievo e un allestimento dei preparati “troppo violenti”;
- Materiale esogeno “iatrogeno”: gel ecografico, talco dei guanti, impronte digitali;
- Frammenti vegetali: possono essere contaminanti presenti accidentalmente sulla superficie della lesione campionata, o direttamente coinvolti in un processo flogistico (reazione da corpo estraneo vegetale).
Ancora, sullo sfondo possiamo riscontrare agenti eziologici, sia contaminanti che diretti responsabili della lesione campionata come batteri, funghi, protozoi ecc.
Infine, lo sfondo può essere caratterizzato da aspetti peculiari utili a confermare quale organo sia stato campionato (ad es. liquido sinoviale, bile, tessuto adiposo) o a orientare la diagnosi (ad es. granuli di melanina, granuli eosinofili o magenta, detrito cheratinico). Nel dettaglio:
- Detrito necrotico: materiale granulare amorfo grigio – bluastro – violaceo costituito da prodotti di degradazione in seguito a morte cellulare;
- Detrito cheratinico: componente di lesioni di tipo epiteliale sia cistiche che di origine neoplastica;
- Muco: materiale rosato per lo più organizzato in stralci, componente para fisiologica di alcuni organi – apparati (respiratorio, gastroenterico);
- Sfondo granulare proteinaceo con cellule disposte in file ordinate nel liquido sinoviale;
- Amiloide: sostanza intercellulare amorfa o fibrillare purpurea o intensamente rosata
- Fibrina, sostanza fondamentale/ matrice extracellulare, collagene
- Materiale proteinaceo granulare: fortemente indicativo di peritonite infettiva felina in versamenti cavitari con altre caratteristiche compatibili
- Latte: citologicamente appare come pigmento bluastro, per lo più fagocitato da macrofagi della ghiandola mammaria;
- Emosiderina – ematoidina: prodotti di degradazione dell’emoglobina, sotto forma di pigmento verde – bluastro e cristalli romboidali dorati, rispettivamente, indicatori di emorragia non recente;
- Bile: materiale amorfo grigiastro, violaceo, brunastro
- Melanina: pigmento nerastro, sia in granuli che in ammassi, indicativo di lesioni pigmentate (ad es. neoplasia delle cellule basali pigmentata) e di neoplasie melanocitarie (melanoma, melanocitoma);
- Granuli citoplasmatici liberi: si possono osservare in seguito a rottura delle cellule che li contengono (ad es. mastociti, granulociti eosinofili, linfociti LGL, materiale secretorio di cellule epiteliali apocrine etc);
- Calcinosi: materiale granulare – amorfo rosato rifrangente compatibile con cristalli di calcio;
- Elementi non colorati: cristalli di colesterolo, ovvero elementi trapezoidali-rettangolari non colorati indicativi di lesioni di tipo epiteliale associate a degenerazione cellulare; vacuoli otticamente vuoti o globuli acromatici sparsi compatibili con lipidi/ tessuto adiposo (ad es. lipoma, campionamento accidentale di tessuto adiposo, pannicolite).
Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP
IL REFERTO CITOLOGICO – Parte III: adeguatezza, cellularità, conservazione e rappresentatività dei preparati citologici
I preparati citologici per essere valutati accuratamente e per far si che il patologo clinico possa trarre delle conclusioni, devono essere innanzitutto considerati ADEGUATI. Un campione è adeguato quando consente a chi lo legge di poterlo valutare… adeguatamente: ciò significa che deve essere ben allestito (vale a dire ben prelevato, ben colorato, ben conservato) e con una cellularità intatta, almeno sufficiente a poter esprimere una diagnosi.
N.B. Un campione adeguato non necessariamente è anche rappresentativo! (vedi oltre)
Come valutare un buon Allestimento:
Il prelievo
Deve essere utilizzato il metodo che meglio preserva l’integrità delle cellule (ad es. l’ago infissione preserva meglio le cellule linfoidi rispetto all’ago aspirazione); non deve essere utilizzata eccessiva “violenza” nello strisciare su vetrino il materiale campionato; deve essere ottenuto un monostrato cellulare; il materiale prelevato deve essere asciugato rapidamente all’aria.
La conservazione
I vetrini devono essere conservati a temperatura ambiente (se refrigerati spesso appaiono artefatti che impediscono la lettura del campione). Non serve usare fissativi, anzi spesso questi rovinano la morfologia cellulare. I preparati si conservano stabili per molti giorni. In nessun caso i vetrini devono essere esposti ai vapori di formalina! Pena l’impossibilità (irreversibile!) di poterli valutare.
La colorazione
È estremamente importante che la colorazione sia eseguita correttamente: un vetrino ipocolorato o ipercolorato o con bizzarre sfumature causato da un utilizzo sbagliato dei coloranti (età, tempi di immersione etc) risulta estremamente difficile (fino a impossibile) da valutare.
La cellularità
Dopo aver valutato se un campione sia stato correttamente allestito, passiamo a valutarne la cellularità, al fine di completare la valutazione dell’adeguatezza.
La cellularità esprime una valutazione semi – quantitativa del numero di cellule nucleate presenti nel campione, e può essere molto scarsa – scarsa, moderata, buona, elevata – molto elevata. Se il campione non contiene cellule, si definisce acellulare (quindi non diagnostico).
Il numero di cellule presenti se elevato può di per sè essere considerato un criterio di malignità, ad esempio in corso di neoplasia mesenchimale, oppure di iperplasia ad esempio nel caso di alcuni epiteli, di prelievi epatici o di versamenti cavitari (in caso di iperplasia mesoteliale).
Non basta ovviamente che un campione abbia una cellularità elevata o buona, ma le cellule presenti devono essere intatte e ben preservate: mai tentare di fare una diagnosi su un tappeto di cellule rotte, o degenerate (necrotiche, ad esempio) nemmeno se è possibile intuire di quali cellule si tratta, poiché la loro morfologia sarà comunque distorta e ingannevole. Per definire la qualità morfologica delle cellule presenti si parla di cellularità ben, moderatamente o scarsamente conservata.

Figura 1. Gatto. Ago infissione linfonodo sottomandibolare. Campione non adeguato: elevata cellularità, scarsamente conservata, numerose cellule rotte e nuclei nudi (MGG 10x).

Figura 2. Gatto. Ago infissione linfonodo sottomandibolare. Campione adeguato: buona cellularità, ben conservata, buon allestimento: linfoma high – grade (MGG, 40x).
Infine, è importante sottolineare che un campionamento benché adeguato potrebbe non essere RAPPRESENTATIVO (della lesione di nostro interesse). Facciamo un esempio: se il nostro obbiettivo era quello di andare a valutare citologicamente un linfonodo sottomandibolare ma accidentalmente è stata campionata la ghiandola salivare, questo non toglie che i vetrini possano essere adeguatamente allestiti, e costituiti da una buona cellularità; tuttavia, il campione non rappresenta l’organo o la lesione di nostro interesse. Altri classici esempi possono essere i sospetti lipomi (il citologo vede solo adipociti: ma se fosse stato campionato grasso perilesionale e se accanto ci fosse una neoplasia maligna?) o le lesioni costituite esclusivamente da cheratina (e se oltre al contenuto cheratinico ci fosse una porzione parenchimatosa non campionata di una neoplasia).

Figura 3. Cane. Ago infissione linfonodo sottomandibolare. Moderata cellularità, moderatamente conservata: campionamento accidentale di ghiandola salivare (MGG, 40x).
Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl ECVCP
IL REFERTO CITOLOGICO - Parte II: Schema descrittivo del referto citologico
Nella seconda pillola del nostro percorso a puntate sul referto citologico ci limitiamo a fornirvi lo scheletro della descrizione da seguire quando si compila un referto board-oriented. Sebbene non sia obbligatorio seguire esattamente l’ordine delle voci (ad esempio lo sfondo può essere descritto per ultimo, o è possibile descrivere prima il nucleo e poi il citoplasma etc), è invece fondamentale che il patologo clinico non tralasci nessuno dei punti riportati. Imparare a descrivere è uno dei principali strumenti per riconoscere gli aspetti citologici utili al fine di esprimere una diagnosi. Nelle prossime puntate andremo ad affrontare in dettaglio ogni singola voce che compone lo schema.
Ecco il LINK da cui potrete scaricare lo schema!
Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP - Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM
IL REFERTO CITOLOGICO - Parte I: La struttura del referto citologico
Il referto citologico è un documento ufficiale che deve fornire informazioni al veterinario referente sulla natura di una lesione o un organo campionati. È un atto di responsabilità che certifica anche, attraverso la descrizione che viene compilata, la competenza e la formazione di un patologo clinico. Il referto DEVE sempre essere emesso! È un grave errore guardare un preparato citologico e comunicare a voce la diagnosi, o scriverla sulla scheda del paziente; questo perché il referto (come qualsiasi altro esame diagnostico) deve accompagnare il paziente qualora cambiasse medico curante o venisse riferito a uno specialista, e non ultimo perché deve essere adeguatamente pagato ed è quindi doveroso poter consegnare il documento nelle mani del proprietario.
In base alle linee guida per la compilazione di un referto citologico fornite dall’European College of Veterinary Clinical Pathology, il referto è suddiviso in diverse sezioni, sia interpretative che non interpretative.
Le informazioni che compongono le sezioni non interpretative vengono fornite dal veterinario referente mediante una precisa e dettagliata compilazione del modulo di richiesta dell’esame citologico, che deve riportare:
- Data di campionamento: può non corrispondere alla data di refertazione, che pure deve essere annotata; è un’informazione da considerare prevalentemente quando si esaminano preparati di liquidi biologici (versamento cavitario, liquido sinoviale, lavaggio broncoalveolare, liquido cefalorachidiano). A differenza dei preparati asciugati all’aria provenienti da lesioni solide, questa tipologia di campioni tende ad avere una scarsa conservazione in vitro e deve essere processata nel più breve tempo possibile, pena l’impossibilità di giungere a una diagnosi.
- Informazioni anagrafiche del veterinario referente e del proprietario.
- Informazioni paziente (segnalamento): nome, specie, razza, età (giovane o anziano), sesso (maschio o femmina, castrato o intero). Queste informazioni possono essere utili e talvolta fondamentali nell’interpretazione dei preparati citologici. Ad esempio, sappiamo che è infrequente (non impossibile) riscontrare neoplasie maligne in soggetti giovani, o che alcune razze sono predisposte a sviluppare determinate patologie (ad esempio neoplasie istiocitarie nel Bovaro del Bernese), oppure ancora che ci può essere una predisposizione legata al sesso per determinate neoplasie, come nel caso dell’adenocarcinoma delle ghiandole apocrine dei sacchi anali che colpisce maggiormente le femmine.
- Numero di vetrini inviati: segnalare questa informazione è molto utile soprattutto in caso di campioni non diagnostici, scarsamente cellulari o di bassa qualità: se sono stati inviati pochi preparati (1-2) è più probabile che il campione sia non adeguato e può avere senso consigliare il ricampionamento citologico. Se invece sono stati inviati numerosi vetrini e sono tutti ematici – acellulari, ha più senso suggerire un approccio diagnostico differente come l’esame istologico.
- Descrizione macroscopica della lesione campionata: deve comprendere sede anatomica della lesione (regione, localizzazione cutanea o sottocutanea, adesa ai piani sottostanti o mobile), dimensioni, forma, aspetto e consistenza. Nel caso di campionamento ecoguidato di un organo interno, ne vanno segnalati gli aspetti ecografici. Nel caso di liquidi biologici, ne vengono annotati l’aspetto macroscopico e il colore.
- Breve storia clinica – note anamnestiche: se rilevanti, vengono riportati breve storia clinica e patologie concomitanti, tempi di insorgenza della lesione, trattamenti farmacologici eseguiti in precedenza o in corso. È ad esempio utile sapere in caso di flogosi neutrofiliche se il paziente sta già assumendo l’antibiotico, poiché questo potrebbe spiegare la mancata visualizzazione di batteri; oppure è possibile spiegarsi un prelievo da organo linfoide costituito prevalentemente da cellule lisate in caso sia somministrata una terapia cortisonica. È sempre utile aggiungere il sospetto diagnostico che il veterinario referente avanza da un punto di vista clinico; il patologo clinico ne terrà conto benché debba stare attento a non farsi influenzare troppo!
- Metodo di prelievo – allestimento del campione: essenziale al fine dell’interpretazione dei preparati citologici, o in caso di campione non diagnostico, al fine di suggerire al veterinario referente un metodo di campionamento differente, ove possibile. Nel caso di liquidi biologici, annotare se sono stati analizzati campioni ottenuti per strisciamento del tal quale o del sedimento oppure per citocentrifugazione.
Alcuni patologi clinici e laboratori di analisi riassumono i punti 5-6-7 in un’unica voce come “Materiale” oppure “Lesione e modalità di prelievo”. Benché talvolta non si ritrovino tutte le informazioni riportate nel modulo di richiesta nel referto citologico, questo non toglie il fatto che sono di enorme importanza per il patologo clinico nell’interpretazione dei preparati.
Le sezioni interpretative sono costituite da:
- Descrizione citologica: deve essere chiara e consentire al veterinario referente che legge di “immaginarsi” come un fotogramma quello che ha visto sul vetrino il patologo clinico e di giungere lui stesso alla diagnosi. Il linguaggio utilizzato nella stesura del referto deve essere comprensibile, non eccessivamente forbito, composto da frasi chiare e concise. Prossimamente, nel corso della nostra raccolta di “pillole di citologia” andremo ad approfondire nel dettaglio ogni aspetto della descrizione dell’esame citologico, dalla valutazione della qualità del preparato, alla struttura “piramidale” ovvero l’ordine descrittivo delle varie popolazioni cellulari.
- Interpretazione: deve essere anch’essa composta da frasi chiare e concise. In ordine, vanno riportati per primi i reperti più significativi (se la lesione è composta da una neoplasia a cui è associata una flogosi, porre l’accento sulla diagnosi di tumore) e gli aspetti di cui siamo certi e successivamente quelli di cui abbiamo solo un sospetto. È possibile esprimere diversi gradi di confidenza diagnostica (compatibile, sospetto, suggestivo…) e aggiungere eventuali diagnosi differenziali.
- Commento: è la sezione in cui il patologo clinico suggerisce eventuali approfondimenti al fine di confermare una diagnosi o un sospetto diagnostico, quali l’esame istologico, la diagnosi di clonalità linfoide (PARR), l’immunofenotipizzazione etc; in caso di lesioni di dubbia interpretazione o di campioni non diagnostici è possibile consigliare la ripetizione dell’esame citologico e spiegare la ragione per la quale il campione non è diagnostico (cellule rotte, degenerate o coartate, non valutabili, campione acellulare o scarsamente cellulare…). Ancora è possibile consigliare la ripetizione del campionamento dopo trattamento medico (processi flogistici settici che possono nascondere una neoplasia sottostante) o con un metodo di prelievo differente (ad esempio ago infissione invece che apposizione per lesioni cutanee ulcerate). Resta assai controverso se dare in questa sezione informazioni riguardo alla prognosi, o suggerire approfondimenti che non siano di pertinenza clinico – patologica o patologica, come ad esempio indagini di diagnostica per immagini. Si tratta a nostro parere di scelte che devono essere concordate tra il medico referente e il patologo clinico; noi personalmente preferiamo non riportare questo genere di indicazioni sul referto ma invitiamo i nostri clienti a contattarci per richiederle e per discutere ogni singolo caso.
A chiusura del referto, si trova la firma del patologo clinico, responsabile della stesura; la firma comprende nome e cognome, titolo di laurea (DVM - dottore in Medicina Veterinaria) ed eventuali altri titoli riconosciuti, come un diploma europeo o un dottorato di ricerca (PhD).
Dr.ssa Giulia Mangiagalli DVM – Dr.ssa Silvia Rossi DVM, dipl. ECVCP
Bibliografia:
https://www.esvcp.org/index.php/docman/exam/27-guidelines-for-cytology-reporting/file.html - (6 aprile 2009)
Patologia Clinica Veterinaria: lo sapevate? SAPEVATELO!
La patologia clinica è la branca della medicina veterinaria che si occupa dello sviluppo, dell’applicazione e dell’interpretazione dei test di laboratorio con finalità diagnostiche, prognostiche, terapeutiche e di monitoraggio delle patologie animali spontanee o nei modelli animali di malattia negli studi preclinici.
Questa specialità esiste anche in Medicina Umana e viene spesso definita Medicina di Laboratorio.
Esistono 4 macroaree di interesse:
- Ematologia
- Citopatologia
- Biochimica clinica (incluse endocrinologia, immunologia, diagnostica molecolare)
- Patologia generale e gestione del laboratorio. Questa ultima area è trasversale alle altre poiché è attraverso la profonda conoscenza dei meccanismi fisiopatologici di malattia che si possono comprenderee interpretare le alterazioni di laboratorio che essi inducono. La parte di management di laboratorio è un altro aspetto di fondamentale importanza: il patologo clinico ha le competenze per sviluppare e validare nuovi test diagnostici, per garantire attraverso la gestione dei sistemi di qualità l’accuratezza dei risultati che il laboratorio produce.
Patologi clinici fantastici e dove trovarli
I patologi clinici trovano le loro principali occupazioni nelle Università (insegnamento e ricerca), nelle aziende farmaceutiche (negli studi preclinici funzionali allo sviluppo di farmaci), in altri istituti ed enti di ricerca pubblici e privati, nei laboratori diagnostici pubblici e privati, commerciali o interni alle grosse strutture veterinarie.
Di cosa si occupa un patologo clinico all’interno di un laboratorio (commerciale o interno ad una struttura veterinaria)?
Il patologo clinico è in primo luogo il responsabile dell’accuratezza dei dati che il suo laboratorio produce, ovvero deve garantire che i numeri prodotti dagli strumenti siano il più possibile “esatti”, e che anche i referti degli altri test non automatizzati (ad esempio lettura strisci ematologici, esami parassitologici, immunofluorescenze, esami citopatologici etc) rispondano a determinati standard di qualità. Per fare questo deve saper scegliere lo strumento migliore (tenendo anche in considerazione i volumi della routine), deve conoscerne il funzionamento, deve saper scegliere i reagenti con le performances migliori, deve impostare i controlli di qualità e fare tutte le verifiche necessarie per evitare che siano generati numeri o referti inaccurati, deve saper risolvere una serie di problemi (anche tecnici) che possono ogni giorno presentarsi. Poiché le pubblicazioni scientifiche in patologia clinica sono numerose e quotidiane, deve studiare molto per tenersi sempre aggiornato. Nel caso in cui rivesta un ruolo “dirigenziale” deve formare il personale medico e tecnico che fa parte del suo team, perché tutti siano sempre preparati e ci sia uniformità nella refertazione degli esami che prevedono una interpretazione soggettiva. Nel caso in cui ritenga utile introdurre un nuovo test deve “validarlo” (verificarne le performances) per garantire ai suoi clienti, prima di venderlo, che quel test sia utile e accurato. Passa molto del suo tempo a consigliare i suoi referenti sul tipo di esame da scegliere per arrivare a una diagnosi, emettere una prognosi o per monitorare una patologia in atto e li aiuta a interpretare i risultati dei test. Legge strisci ematologici e preparati citopatologici.
N.B.Il patologo clinico NON è tenuto a sapere nulla di terapia (non vede mai animali vivi!) e NON referta esami istopatologici, perché questa specialità non fa parte della patologia clinica, bensì della anatomia patologica (con tanto di College Europeo distinto, ECVP).
Dove si forma un patologo clinico veterinario
La patologia clinica è una disciplina che prevede competenze teoriche molto ampie e trasversali, poiché non solo comprende tutte le specie di interesse veterinario (grossi e piccoli animali domestici, esotici, animali da laboratorio, fauna selvatica), ma richiede conoscenze in tutte le altre specialità mediche, almeno laddove esista una parte di laboratorio in ciascuna di esse; il patologo clinico deve conoscere ogni patologia che possa essere indagata attraverso i test di laboratorio, sia che riguardi la medicina interna o la dermatologia, l’oncologia, la riproduzione e così via. E poiché per poter scegliere e interpretare qualsiasi esame è indispensabile conoscere gli aspetti clinici di ciascuna malattia, il patologo clinico è tenuto ad avere una formazione quantomeno di base in tutte le altre specialità cliniche. Così come per quasi tutte le altre specialità mediche è inoltre indispensabile la pratica sul campo, per applicare quotidianamente ciò che è possibile studiare in letteratura, al fine di accumulare anche esperienza e abilità appunto pratiche. Per queste ragioni l’unico modo per diventare un patologo clinico è di fatto fare il patologo clinico. E come è ovvio, dedicarsi full time ad una singola disciplina specialistica garantisce di raggiungere, come professionista, risultati migliori. Studiare la teoria è fondamentale ma non basta, seguire un corso anche se specialistico non basta, così come non basterebbero teoria e corsi per diventare un chirurgo. Esattamente come vale per un chirurgo, è di fondamentale importanza per un aspirante patologo clinico avere la possibilità di affiancare uno specialista qualificato per poter imparare, piuttosto che andare alla deriva “facendosi da sé”, rischiando di raccogliere un'esperienza priva di confronto e guida che rischia di essere più pericolosa che utile.
Il College Europeo di Patologia Clinica Veterinaria (ECVCP - Welcome to the ESVCP/ECVCP)
Fondato nel 2002, è stato pienamente riconosciuto nel 2007 dall’EBVS (European Board of Veterinary Specializations, vale a dire l’organizzazione che definisce le linee guida per riconoscere e registrare gli specialisti veterinari -Welcome to EBVS - EBVS - European Board of Veterinary Specialists). L’ECVCP ha tra i suoi principali obiettivi: definire gli standard formativi necessari per diventare un patologo clinico diplomato; contribuire alla definizione di standard elevati e condivisi per migliorare e armonizzare le procedure di laboratorio in Europa; promuovere la ricerca e il progresso scientifico in patologia clinica incoraggiando lo scambio di informazioni, la formazione e la pubblicazione di lavori scientifici. Per potersi diplomare in patologia clinica è necessario entrare in un residency programme della durata di 3 o 4 anni (rispettivamente standard o alternative programme) approvato dal college, che deve svolgersi presso un laboratorio a sua volta accreditato dal college come training site. Per poter essere accreditato, il laboratorio deve dimostrare di rispettare determinati standard operativi e di qualità dettati dal college, di possedere un'adeguata strumentazione, che al suo interno venga processato un numero importante di campioni del maggior numero di specie animali, che tutte le macroaree della patologia clinica siano presenti nella routine diagnostica. Il programma di studio deve garantire al candidato la possibilità di prepararsi adeguatamente all’esame finale e prevede sia parti pratiche legate all’esecuzione della routine diagnostica, sia parti teoriche fatte di studio personale e collettivo, rounds, journal clubs etc, e infine parti dedicate alla produzione scientifica; se esistono carenze nel programma (ad esempio nel training site non si processano campioni di fauna selvatica) devono essere colmate con periodi di externship presso altri laboratori. Ogni candidato ha un supervisor (un diplomato ECVCP) che deve guidare il proprio resident attraverso il percorso formativo approvato e che lui stesso ha ideato, in accordo sempre con le linee guida del college. Alla fine del training il candidato può sostenere l’esame finale, composto da parti teoriche e parti pratiche, diviso in 4 parti (una per ciascuna macroarea della patologia clinica) e che dura 2 intere giornate.
Prospettive occupazionali
Premesso che sono sempre di più le offerte di lavoro per questa figura specialistica, a mio parere esiste un enorme sommerso di posti di lavoro, soprattutto nelle grosse strutture veterinarie dotate di laboratorio interno. Ahimè ancora molti Colleghi non conoscono questa specializzazione e non sanno quali siano le competenze di un patologo clinico (tra le quali credetemi c’è anche quella di far avere margini molto importanti al reparto, attraverso la corretta gestione dello stesso, anche considerando che genera notevoli indotti in altri reparti): accade così che invece di ricercare uno specialista molte strutture scelgono di lasciare in laboratorio personale non qualificato, con le tragiche conseguenze che si possono immaginare, prima tra tutte quella di impedire ai colleghi clinici la possibilità di effettuare diagnosi corrette, producendo referti inaccurati.
Dr.ssa Silvia Rossi – DVM dipl. ECVCP