La Pannicolite in Citopatologia: facciamo attenzione ai FALSI POSITIVI

Il termine PANNICOLITE comprende un gruppo eterogeneo di patologie multifattoriali caratterizzate da flogosi e, spesso, degenerazione/necrosi del tessuto adiposo sottocutaneo (Gross TL et al., 2005). Frequente nel cane e nel gatto, si presenta come una lesione nodulare sottocutanea singola o multipla, generalmente di consistenza dura, protrudente o non protrudente, ben delimitata, adesa o meno ai piani muscolari sottostanti (fissa o fluttuante), talvolta fistolizzata con fuoriuscita di materiale infiammatorio/necrotico giallo – brunastro oleoso. Le localizzazioni più frequenti sono a livello di torace, addome, collo e porzione prossimale degli arti. La pannicolite può, in una fase successiva, indurre una dermatite profonda o, viceversa, essere la conseguenza dell’estensione più profonda di un processo infiammatorio cutaneo (Jubb et al. 2016).

Dal punto di vista eziopatogenetico può essere di natura infettiva (batterica, micotica, parassitaria) o, più comunemente, non infettiva (sterile). Indipendentemente dalla causa iniziale, gli adipociti danneggiati rilasciano nel sottocute i lipidi presenti nel loro citoplasma; in questa sede avviene la loro lipolisi e saponificazione, con conseguente formazione di acidi grassi proinfiammatori, che potenziano la flogosi già in atto (Gross TL et al., 2005).

La pannicolite sterile può essere causata da: traumi, corpi estranei, reazioni immunomediate (inoculo di farmaci o vaccini (Figura 5 e Figura 6), lupus eritematoso sistemico SLE), deficit nutrizionali (es. carenza di vitamina E nel gatto), vasculiti, ustioni, pancreatiti o carcinomi pancreatici. Nel caso di lesioni pancreatiche, la pannicolite è conseguenza delle vasculiti indotte dalla liberazione degli enzimi pancreatici. Infine, è descritta una pannicolite sterile idiopatica nodulare.

Citologicamente la pannicolite è caratterizzata da una popolazione infiammatoria mista in cui prevalgono macrofagi di aspetto “schiumoso” e granulociti neutrofili, più o meno degenerati, su un caratteristico fondo “lipidico” in cui si osservano numerosi spazi rotondeggianti, di varie dimensioni, otticamente vuoti e adipociti maturi (Figura 1 e Figura 4). Frequente la presenza di piccoli linfociti e plasmacellule (soprattutto nelle reazioni post-vaccinali), cellule giganti multinucleate e cellule fusate di aspetto anche marcatamente reattivo (+++ nelle forme croniche) (Figura 2 e Figura 3). Si può infine osservare una quantità variabile di detrito necrotico.

In caso di pannicolite infettiva, è possibile l’identificazione dell’agente eziologico, ma ricordiamo che il loro mancato riscontro nei preparati citologici non consente di escludere una causa infettiva.

Tra gli agenti eziologici, causa di pannicolite, troviamo Nocardia spp, Actinomycess spp, Bartonella henselae (Rossi MA et al., 2015), Mycobacteria spp, Sporothrix schenckii (raro in Europa), Toxoplasma gondii, Dirofilaria repens. Sono spesso necessari esami colturali e l’esame istologico associato a colorazioni “speciali” per l’identificazione di batteri (colorazione Gram), batteri acido resistenti (Fite-Faraco, Ziehl–Neelsen), funghi (PAS, Grocott-Gomori) (Cowell RL et al., 2008 e Raskin RE et al., 2010).

Non raramente, soprattutto nella specie felina, la fibroplasia reattiva, associata a pannicolite, può essere così intensa da far sospettare un sarcoma (Figura 3). Nei campioni citologici prelevati da queste lesioni, le cellule fusate presenti possono essere caratterizzate da moderati/gravi caratteri di atipia (anisocitosi, anisocariosi, nucleoli multipli evidenti) tali appunto da suggerire una neoplasia a cellule fusate.

In un interessante studio (Kim HJ et al., 2011) viene descritto come sia stata fatta una diagnosi citologica errata di neoplasia in ben 7 cani su 10 con diagnosi istologica finale di pannicolite sterile. In questi campioni citologici falsi positivi provenienti da noduli singoli, ben delimitati e non fluttuanti, era presente una popolazione pressoché singola di cellule fusate pleomorfe con gravi caratteri di atipia.

Poiché talvolta tali quadri rischiano di farci commettere un falso positivo è consigliabile anche di fronte ad atipie marcate della popolazione mesenchimale, soprattutto in presenza dello sfondo lipidico classico e di una popolazione infiammatoria, comprendere tra le diagnosi differenziali oltre alla neoplasia mesenchimale un processo benigno quale la pannicolite o una grave fibroplasia reattiva e consigliare sempre l’esame istologico.

 

Dr. Gabriele Ghisleni, DVM dipl. ECVCP – Dr.ssa Marta Attini, DVM

 

Bibliografia:

  • Cowell RL, Tyler RD et al. Diagnostic cytology and hematology of the dog and cat. 3°edizione Mosby Elsevier, St.Louis, Missouri, 2008
  • Ghisleni G. Atlante di citologia diagnostica del cane e del gatto. Point Veterinaire Italie, Milano, 2006.
  • Ghisleni G. Pannicolite, Summa 2008
  • Gross TL et al. Skin Diseases of the Dog and Cat: Clinical and Histopathologic Diagnosis. 2°edizione Blackwell Science Ltd, Oxford, UK, 2005
  • Jubb, Kennedy and Palmer’s. Pathology of Domestic Animals. Volume 1. 6°edizione Elsevier Saunders, St.Louis, Missouri, 2016
  • Kim HJ et al. Sterile panniculitis in dogs: new diagnostic findings and alternative treatments.VetDermatol 22(4):352-359, 2011
  • Raskin RE, Meyer DJ. Canine and feline cytology – A Color Atlas and Interpretation Guide. 2°edizione Elsevier Saunders, St.Louis, Missouri, 2010
  • Rossi MA et al. Concurrent Bartonella henselae infection in a dog with panniculitis and owner with ulcerated nodular skin lesions. VetDermatol 26(1):60-63, 2015

 

Didascalie foto:

Figura 1. Cane MGG, 400X. Pannicolite. Popolazione cellulare mista con prevalenza di macrofagi schiumosi, linfociti, sparse singole cellule fusate reattive. Strutture rotondeggianti otticamente vuote riconducibili ad materiale lipidico (Ghisleni, 2008).

Figura 2. Cane MGG, 600X. Pannicolite. È presente una cellula gigante multinucleata (Ghisleni, 2008).

Figura 3. Gatto MGG, 400X. Pannicolite. Popolazione prevalente di cellule di aspetto mesenchimale interpretabili con fibroblasti e-o macrofagi – istiociti; si osserva una cellula gigante multinucleata. Non rari granulociti neutrofili.

Figura 4.  Gatto MGG, 400X. Pannicolite. Popolazione mista di macrofagi schiumosi e granulociti neutrofili non degenerati; sfondo granulare rosato con numerosi spazi otticamente vuoti.

Figura 5. Cane MGG, 400X. Pannicolite da inoculo. Sfondo ematico granulare rosato con vacuoli otticamente vuoti. Popolazione pressochè unica di cellule di aspetto mesenchimale (fibroblasti o cellule istiocitarie – macrofagiche); al centro dell’immagine si osserva fagocitosi di materiale color oro.

Figura 6. Cane MGG, 1000X, stesso caso foto 5. Fagocitosi del materiale inoculato a maggiore ingrandimento.


Lavaggio bronco-alveolare (BAL) nel cane e nel gatto

Il lavaggio bronco – alveolare (BAL) è un campionamento strumentale che consente di raccogliere materiale dalle vie respiratorie profonde ed è indicato in presenza di una patologia polmonare diffusa alveolare e/o interstiziale precedentemente evidenziata tramite esame radiografico e/o tomografico (Andreasen CB, 2003).

Il paziente viene contenuto in anestesia generale, l’esame broncoscopico indica la sede più adatta al prelievo. Questo si effettua mediante un catetere sterile di adeguata lunghezza inserito nel canale operatore del broncoscopio ed introdotto nel lume del bronco oggetto del prelievo. Il materiale cellulare, fisiologico e/o patologico delle vie respiratorie viene raccolto per via indiretta (lavaggio) (Andreasen CB, 2003).

Il lavaggio si effettua mediante l’introduzione nell’albero respiratorio di soluzione fisiologica tiepida in quantità differenti sulla base delle dimensioni del paziente e sul suo immediato recupero (15-30% del liquido inizialmente introdotto). Considerando che il prelievo viene effettuato in anestesia generale, raccogliere contestualmente un campione per la batteriologia, consente nel caso di sospetta flogosi batterica, di effettuare un esame colturale.

I liquidi ottenuti per il lavaggio sono molto acquosi, difficilmente fissabili all’aria e scarsamente cellulari. Pertanto, il liquido prelevato deve essere conservato refrigerato e inviato al laboratorio per la processazione entro brevissimo tempo (1-2 ore) (Nafe LA et al. 2011; Curran M et al. 2020).

Nel caso non sia possibile far pervenire immediatamente il campione in laboratorio, devono essere allestiti dei vetrini del sedimento in questo modo:

  • centrifugare ad un numero basso di giri il campione;
  • eliminare quasi completamente il surnatante;
  • aspirare il pellet sul fondo della provetta con una pipettatrice e depositarne una piccola quantità (2-3 microlitri) su vetrino;
  • strisciare il materiale utilizzando la tecnica di strisciamento utilizzata per gli strisci ematici;
  • asciugare molto rapidamente.

E’ opportuno inviare in ogni caso in laboratorio parte del campione in provetta K3EDTA unitamente agli strisci preparati. Nel caso in cui debba essere richiesto anche l’esame colturale, una parte del campione deve essere lasciato in siringa o in caso di trasporto prolungato messo in terreno di trasporto idoneo.

In condizioni normali i campioni citologici delle vie aeree profonde prelevati per BAL sono caratterizzati da cellularità moderata/scarsa e costituiti da muco, cellule dell’epitelio respiratorio, cellule infiammatorie (es. macrofagi alveolari). Le cellule dell’epitelio respiratorio sono rappresentate da cellule da colonnari a cuboidali (talvolta ciliate); cellule alveolari cilindriche con nucleo rotondo/ovale e citoplasma debolmente blu; cellule mucipare di forma cilindrica contenenti granuli di mucina citoplasmatici rotondeggianti da rosa a violetto. In alcuni casi i granuli di mucina distendono talmente il citoplasma da conferire alla cellula una forma rotondeggiante (“goblet cells”) (Figura 1).

Il muco presente sul fondo del vetrino può essere granulare di colore blu-violetto o filamentoso, talvolta addensato a formare le “spirali di Curschmann”, di colore violetto e di aspetto simile ad uno scovolino (Figura 2). Le spirali di Curschmann si possono riscontrare in pazienti con eccessiva e cronica produzione di muco e può indicare ostruzione bronchiolare.

I processi infiammatori di maggiore interesse sono di tipo neutrofilico, macrofagico, eosinofilico, linfocitario o misto.

Le flogosi neutrofiliche o purulente sono acute e generalmente ad eziologia batterica. Poiché il mancato riscontro di aspetti degenerativi dei neutrofili e l’assenza di batteri non consentono di escludere una patologia batterica, è fortemente consigliato eseguire anche un esame batteriologico, soprattutto in presenza di flogosi neutrofilica.

Le polmoniti batteriche sono generalmente caratterizzate dalla presenza di granulociti neutrofili con aspetti degenerativi e batteri fagocitati. Una comune infezione polmonare batterica è data da Bordetella bronchiseptica, citologicamente è possibile il riscontro dei coccobacilli pleomorfi aderenti alle cilia delle cellule dell’epitelio respiratorio (Canonne AM et al., 2016).

Nel cane i batteri più comunemente isolati oltre a Bordetella bronchispetica,  sono Mycoplasma, Pasteurella, Enterobcteriaceae e batteri anaerobi (Bacteroides/Prevotella, Preptostreptococcus anaerobius, Porphynomonas spp., Propionobacterius spp., Clostridium spp., Fusobacterium) (Johnson LR et al., 2013).

E’ frequente il riscontro in condizioni normali di batteri contaminanti. La distinzione fra un contaminante e un patogeno viene fatta sulla base dell’assenza di sintomatologia e mancanza di un quadro citologico flogistico associato, oltre che in base alla specie di batterio che viene isolato.

Numerosi sono i virus che possono causare infezioni delle vie respiratorie profonde nel cane e nel gatto. Tra questi adenovirus tipo 2 (CAV-2), herpesvirus del cane (CHV), parainfluenza virus del cane (CPiV), influenza virus del cane (CIV), coronavirus respiratorio del cane (CRCoV), pneumovirus del cane (CnPnV) e calicivirus nel gatto.

Il quadro citologico associato a una infezione virale è aspecifico, spesso caratterizzato dalla presenza di granulociti neutrofili non degenerati. Possibile un aumento del numero di linfociti presenti.

L’infezione virale è frequentemente associata a infezioni batteriche secondarie.

Nel cane viene identificato un complesso delle infezioni respiratorie che può includere varie associazioni fra i virus e i batteri sopra elencati (Day MJ et al., 2020).

Per l’esame batteriologico una parte del campione deve essere lasciato in siringa o in caso di trasporto prolungato va utilizzato un tampone che, dopo essere stato bagnato nel liquido di lavaggio, va inserito nel terreno di trasporto idoneo. Una volta effettuato il prelievo, il tampone va mantenuto a temperatura ambiente e deve giungere in laboratorio contestualmente al liquido. Eventuali terapie antibiotiche devono essere sospese almeno 3-5 giorni prima del prelievo.

Se l’anamnesi e il quadro clinico-patologico fanno sospettare una specifica infezione virale è possibile utilizzare la biologia molecolare (PCR). Questa metodica può essere utilizzata anche per l’identificazione di Bordetella bronchispetica (Canonne AM et al., 2016), in presenza di un sospetto clinico-patologico specifico, a fronte di un esame microbiologico colturale negativo. Per la PCR si può inviare parte del liquido in provetta con K3EDTA ed è possibile conservare il campione fino a 7 giorni refrigerato.

Numerose forme micotiche e protozoarie possono svilupparsi nel contesto del parenchima polmonare. Tra le forme micotiche ritroviamo Cryptococcus neoformans, Histoplasma capsulatum, Aspergillus spp, Blastomyces, Coccidioides spp., Pneumocystis carinii e altri funghi opportunisti (Andreasen CB, 2003). Cryptococcus neoformans è più comunemente riscontrabile negli essudati nasali, particolarmente nel gatto, ma è comunque possibile una infezione polmonare che può essere evidenziata nel BAL.

Anche Aspergillus spp è di più comune riscontro a livello nasale che polmonare. Nel pastore tedesco è descritta una aspergillosi sistemica che può essere caratterizzata da un diffuso coinvolgimento polmonare, probabilmente dovuta ad immunodeficienza ereditaria (Andreasen CB, 2003).

Histoplasma capsulatum, Blastomyces, Coccidioides spp. sono funghi che possono dare infezioni polmonari e essere riscontrati nei BAL. Hanno una bassa incidenza in Europa e sono generalmente casi “importati” (Lloret A et al., 2013). Pneumocystis carinii è un fungo patogeno opportunistico, che può essere riscontrato nei BAL sia nella forma cistica (struttura rotondeggiante di 5-10 µm in diametro, contenente da 4 a 8 corpi intracistici) che nella forma simil trofozoitica di 1-2 µm (Weissenbacher-Lang C et al., 2018).

Tra le forme protozoarie ha maggiore rilevanza Toxoplasma gondii, riscontrabile, sia nel gatto che nel cane, in corso di infezioni sistemiche polmonari (Andreasen CB, 2003). Citologicamente i tachizoiti di Toxoplasma gondii sono osservabili come piccoli corpi (5×2µm) di forma da rotondeggiante a mezzaluna, con citoplasma leggermente blu e nucleo paracentrale.

Le flogosi eosinofiliche sono generalmente su base allergica (Figura 3) o parassitaria, ma anche micotica o neoplastica (Johnson LR et al., 2019). Nel cane esiste una specifica condizione patologica, la broncopneumopatia eosinofilica (BPE) su base allergica che colpisce cani giovani o di età media, clinicamente associata a tosse e scolo nasale (Johnson LR et al., 2019). Radiograficamente, è caratterizzata da bonchiectasie e citologicamente da infiltrato prevalentemente eosinofilico.

Infine, segnaliamo che nel cane non è infrequente il riscontro nei preparati citologici di un elevato numero di linfociti (>20% delle cellule totali) in risposta ad una lesione delle vie aeree, indipendentemente dal tipo o dalla durata della patologia in atto (Johnson LR and Vernau W, 2019).

L’emorragia polmonare è citologicamente caratterizzata da reperti di eritrofagocitosi da parte dei macrofagi alveolari. La fagocitosi di eritrociti ancora ben riconoscibili è segno di un episodio emorragico recente; poiché l’eritrofagocitosi può avvenire anche in vitro, per evitare questo “artefatto” è consigliabile processare immediatamente il campione prelevato.

Il riscontro nel citoplasma dei macrofagi di prodotti di degradazione eritrocitaria (emosiderina ed ematoidina) è invece segno di un episodio emorragico non recente. Secondo un recente studio di Hooi et al. (2018), questo reperto si riscontra maggiormente nella specie felina a causa di una ridotta capacità di degradazione dell’emosiderina da parte dei macrofagi alveolari e una maggior suscettibilità all’emorragia. La colorazione “speciale” Blu di Perls permette di differenziare l’emosiderina (che si colora di blu) da altro tipo di pigmento nerastro (es. pigmento antracotico di frequente riscontro) che non si colora di blu.

Nel cane e gatto, le emorragie polmonari possono essere causate da: traumi, filariosi, corpi estranei inalati, torsione di un lobo polmonare, infezioni (batteriche e micotiche), parassiti, insufficienza cardiaca, embolia polmonare, coagulopatie e neoplasie (primarie o metastatiche). Si deve considerare che il riscontro di eritrociti in un BAL non depone necessariamente per una emorragia polmonare, infatti può essere dovuto alla contaminazione ematica causata dal trauma del campionamento. E’ altresì possibile che campioni di BAL ematici, non rapidamente processati, siano caratterizzati da eritrofagocitosi recente post-prelievo.

Angiostrongylus vasorum, Aelurostrongylus abstrusus (Figura 4), Crenosoma vulpis possono causare patologie polmonari nel cane e nel gatto ed essere identificati in campioni ottenuti da noduli polmonari, lavaggi tracheali o broncoalveolari. Sono le larve e le uova a indurre la risposta infiammatoria, non gli adulti. Le larve si presentano nei preparati citologici la maggior parte delle volte avvolte a spirale. Sono accompagnate da una flogosi mista, con una buona componente eosinofilica. Per la distinzione di specie in base a criteri morfologici si rimanda ai testi di parassitologia.

Le neoplasie polmonari possono presentarsi in forma nodulare, singola o multipla, o in forma diffusa. Le lesioni nodulari è preferibile siano campionate citologicamente tramite ago aspirato o ago infissione. Sia le neoplasie nodulari che diffuse, se non coinvolgono o infiltrano l’albero bronchiale, non esfoliano cellule nel BAL e non sono pertanto diagnosticabili con questa tecnica di prelievo.

I tumori primari polmonari più frequenti sono i carcinomi e in particolare gli adenocarcinomi. Sono caratterizzati da cellule epiteliali con marcati caratteri di atipia, se sono presenti strutture simil-acinari o è presente materiale di secrezione sono classificabili come adenocarcinomi. Possibili come neoplasie primarie polmonari il linfoma e il sarcoma istiocitario. Si ricorda la possibilità di metastasi polmonare di numerose neoplasie epiteliali (es. carcinomi mammari) (Pavelski M et al., 2017) e mesenchimali (es. osteosarcoma, angiosarcoma).

Va ricordato che in corso di flogosi è possibile il riscontro di epitelio respiratorio con caratteri di iperplasia e displasiache possono mimare una condizione neoplastica (Figura 5). Le cellule epiteliali iperplastiche si possono presentare in piccoli gruppi fortemente coesivi con aumento del rapporto N:C, nuclei ipercromatici, citoplasma intensamente colorato. Caratteri di displasia sono una lieve/moderata anisocitosi, anisocariosi e “nuclear molding”. La “conservazione” delle cilia in queste cellule epiteliali respiratorie atipiche aiuta nel differenziare una displasia da una neoplasia. Ovviamente il quadro clinico-radiografico aiuta nella diagnosi differenziale.

Va segnalata in cani clinicamente sani la metaplasia peribronchiale (Lambertosis): è una forma di iperplasia dell’epitelio dei bronchioli terminali. Le cellule iperplastiche non presentano caratteri di atipia.

 

Dr. Gabriele Ghisleni – DVM, ECVCP Dipl.

 

Didascalie immagini

  • Figura 1- Cane, lavaggio bronco-alveolare, May Grünwald-Giemsa, x600. Flogosi mista aspecifica con componete allergica-iperergica. È presente una “goblet cell” (A), cellule epiteliali cilindriche ciliate (B), granulociti neutrofili non degenerati (C), granulociti eosinofili (D) e macrofagi (E).
  • Figura 2- Cane, lavaggio bronco-alveolare, May Grünwald-Giemsa, immersione. Spirale di Curschmann. (Ghisleni, 2006).
  • Figura 3 – Gatto, lavaggio bronco-aveolare, May Grünwald-Giemsa, x600. Pneumopatia allergico-iperergica (probabile polmonite interstiziale eosinofilica) complicata da flogosi neutrofilica. Campione caratterizzato dalla presenza di una popolazione mista di cellule con prevalenza di eosinofili nonché neutrofili non degenerati e senza evidente fagocitosi batterica. (Ghisleni, 2006)
  • Figura 4 – Gatto, lavaggio bronco-aveolare, cytospin, May Grünwald-Giemsa, x100. Polmonite verminosa. Campione con elevata cellularità, con una popolazione infiammatoria mista associata alla presenza di uova e larve, molto probabilmente di Aleurostrongylus abstrusus.
  • Figura 5 – Cane, femmina 3 anni, lavaggio bronco-alveolare, cytospin, May Grünwald-Giemsa, x600. Flogosi mista aspecifica con iperplasia/displasia dell’epitelio. Campione con buona cellularità, caratterizzato dalla presenza di una popolazione mista di cellule con prevalenza di neutrofili non degenerati e senza evidentefagocitosi batterica. Eosinofili, macrofagi, linfociti ed epitelio respiratorio che mostra qualche reperto di iperplasia/displasia. (Ghisleni, 2006)

 

Bibiografia

  • Andreasen CB. Bronchoalveolar lavage. Vet Clin Small Anim 33: 69–88, 2003
  • Canonne AM , Billen  F , Tual  C , Ramery  E , Roels  E , Peters  I , Clercx  Quantitative PCR and Cytology of Bronchoalveolar Lavage Fluid in Dogs with Bordetella bronchiseptica infection. J Vet Intern Med 30(4):1204-9, 2016.
  • Curran M , Boothe  DM , Hathcock  TL , Lee-Fowler  Analysis of the effects of storage temperature and contamination on aerobic bacterial culture results of bronchoalveolar lavage fluid. J Vet Intern Med 34(1):160-165, 2020.
  • Day MJ , Carey  S , Clercx  C , Kohn  B , MarsilIo  F , Thiry  E , Freyburger  L, Schulz  B , Walker  Aetiology of Canine Infectious Respiratory Disease Complex and Prevalence of its Pathogens in Europe. J Comp Pathol 176:86-108, 2020.
  • Ghisleni G. Atlante di citologia diagnostica del cane e del gatto. Point Veterinaire Italie, Milano, 2006.
  • Hooi KS et al. Bronchoalveolar lavage hemosiderosis in dogs and cats with respiratory disease. Vet Clin Pathol 48 (1): 42-49, 2019
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  • Nafe LA , DeClue AE, Reinero CR. Storage alters feline bronchoalveolar lavage fluid cytological analysis. J Feline Med Surg  13(2):94-100, 2011.
  • Pavelski M , Correa Leite  N , Pedri  E , Guérios  SD , De Sousa  RS , Rodrigues Froes  T , Triches Dornbusch  Single-aliquot, non-bronchoscopic bronchoalveolar lavage in the diagnosis of metastatic mammary tumours in dogs. J Small Anim Pract . 58(3):168-173, 2017.
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  • Weissenbacher-Lang C , Fuchs-Baumgartinger  A , Abigail Guija-De-Arespacochaga  A, Klang  A , Weissenböck  H , Künzel  Pneumocystosis in dogs: meta-analysis of 43 published cases including clinical signs, diagnostic procedures, and treatment. J Vet Diagn Invest . 30(1):26-35, 2018.


L'ipostenuria nel cane

COME COMPORTARCI QUANDO TROVIAMO UN PESO SPECIFICO IPOSTENURICO (USG INFERIORE A 1.007)

Quando si trova un peso specifico delle urine (USG) molto diminuito (USG < 1007), le urine si definiscono “ipostenuriche”. L'ipostenuria indica che il rene può diluire l'urina ma non è in grado di concentrarla. Ciò può accadere per tre principali meccanismi:

  • DIABETE INSIPIDO CENTRALE per mancanza dell’ormone antidiuretico (ADH o vasopressina); questo viene prodotto dall’ipotalamo e stoccato nell’ipofisi posteriore, agisce sulle aquaporine che aprendosi consentono all’acqua di venire assorbita passivamente secondo il gradiente stabilito tra i tubuli e la midollare ipertonica;
  • DIABETE NEFROGENICO in cui i tubuli contorti distali e i dotti collettori non sono in grado di rispondere all’ADH a causa di una patologia tubulare oppure per la presenza di sostanze inibitrici dell’ADH;
  • La midollare del rene ha perso la sua ipertonicità; questa è data principalmente dalla possibilità di riassorbire a questo livello urea (promosso dall’ADH) e sodio. Qualsiasi patologia che diminuisca la concentrazione sierica di urea (es: l’insufficienza epatica) o di sodio (iponatremia prolungata ad esempio per una diarrea profusa) o che impedisca a questi soluti di venire riassorbiti (es: diminuito trasporto di sodio e cloro per patologie tubulari, dilavamento della midollare per diuresi osmotica o aumentato flusso ematico a livello dei vasa recta) porta a un’incapacità da parte del rene di concentrare le urine.

Le patologie che comportano uno di questi meccanismi sono molteplici:

  • Diabete insipido centrale: sindrome poliurica causata da lesioni a carico dell’ipofisi o dell’ipotalamo che porta a una riduzione/ assenza della produzione e stoccaggio di ADH; può essere congenita (case reports che ipotizzano una forma familiare), acquisita (conseguente a trauma cranico, neoplasie del sistema nervoso centrale, cisti ipofisarie…) e idiopatica (causa più comune).
  • Diabete insipido nefrogenico: gruppo di malattie renali ed extrarenali in cui vi è una mancata risposta all'ADH da parte dei tubuli renali, ovvero:
    • Diabete nefrogenico congenito: condizione rara ed irreversibile, segnalati alcuni case reports.
    • Ipercalcemia: causa una riduzione dell’attività delle aquaporine, oltre che a una mancanza di riassorbimento di acqua a livello di nefrone distale conseguente alla riduzione dell’assorbimento di sodio e cloro (riduzione del gradiente osmotico); in corso di ipercalcemia cronica, si può inoltre sviluppare mineralizzazione del tubulo.
    • Endotossiemia: le tossine prodotte da alcuni batteri (in particolare dall’Escherichia coli) possono competere con i siti di legame dell’ADH a livello tubulare. La condizione patologica in cui è più frequente riscontrare poliuria – polidipsia per questo meccanismo è la piometra; altre condizioni meno frequenti sono ascessi prostatici, pielonefriti e setticemia. Questa condizione è reversibile una volta risolto il focolaio settico.
    • Ipokaliemia: la riduzione di potassio porta a una mancata produzione di AMP ciclico che serve all’espressione dei canali delle aquaporine oltre che a una minore responsività del tubulo allo stimolo dell’ADH. In genere l’ipokalemia è secondaria a patologie che già si associano a PU/PD quali ad esempio glicosuria, nefropatie sodio-disperdenti, pielonefrite, nefrite tubulointerstiziale, nefropatia ipercalcemica, ketonuria etc.
    • Iperadrenocorticismo: la produzione di glucocorticoidi può inibire la produzione di ADH (diretta azione a livello ipotalamico – neuroipofisi) e la ricettività del tubulo allo stesso.
  • Polidipsia psicogena: eccessivo consumo di acqua non giustificato da una perdita di fluidi con conseguente poliuria compensatoria per over-idratazione. Può essere indotta da patologie concomitanti con effetto sullo status mentale (es: encefalopatia epatica) oppure da problemi comportamentali.
  • Diminuzione della tonicità della midollare o “washout midollare
    • Insufficienza epatica: l’urea, sintetizzata a livello epatico, rappresenta per il 50% il soluto dell'interstizio che serve a dare ipertonicità alla midollare, consentendo quindi al rene di concentrare le urine. In caso di insufficienza epatica, la riduzione della produzione di urea comporta quindi una ridotta concentrazione a livello di interstizio (riduzione del gradiente osmotico).
    • Iponatriemia ed ipocloremia prolungate: oltre a ridurre il gradiente di concentrazione a livello di interstizio renale causando l’incapacità da parte del rene di richiamare acqua (stesso meccanismo dell’urea), causano anche una riduzione dell’osmolalità che a sua volta inibisce la produzione di ADH.
    • Trattamenti con diuretici d’ansa.

L’iter diagnostico quando si affronta la problematica di un cane con poliuria – polidipsia e con urine ipostenuriche deve essere organizzato e metodico:

  1. Anamnesi: iniziare con una raccolta anamnestica dettagliata che confermi la poliuria e polidpsia marcate (ad esempio presenza di urinazione inappropriata notturna, perdita di urine durante il sonno, consumo di eccessive quantità di acqua).
  2. Conferma della presenza di ipostenuria: è molto importante considerare le naturali fluttuazioni circadiane e capire intorno a quale valore medio si aggira il peso specifico di un paziente, proprio perché le diagnosi differenziali dell’ipostenuria non sono le stesse dell’isostenuria. È consigliabile pertanto misurare l’USG su prelievi seriali delle urine effettuati in giorni diversi e a orari diversi prima di confermare l’ipostenuria; le prime urine del mattino in genere riflettono meglio la capacità di concentrare del rene.
  3. Esami clinico-patologici: per avere un inquadramento completo del paziente è necessario partire dagli esami emato - biochimici completi (esame emocromocitometrico e pannello biochimico esteso comprensivo di elettroliti) ed esame delle urine con PU/CU. Nel dettaglio:
    • Esame emocromocitometrico: utile per valutare i leucociti per sospettare la presenza di infezioni (es: piometra).
    • Pannello biochimico: valutazione dei parametri epatici per l’insufficienza epatica (urea, albumine, colesterolo, glicemia, acidi biliari pre e post prandiali). Si ricorda che per escludere con certezza l’ipercalcemia è necessario effettuare un emogasanalisi, anche nel caso in cui il valore della calcemia totale risultasse negli intervalli di riferimento.
    • Esame delle urine con PU/CU, esame colturale: è importante valutare il sedimento urinario in caso vi fossero segni di infezione e flogosi (piuria, ematuria, batteriuria); non è infrequente riscontrare poliuria- polidipsia in soggetti con cistite (solitamente non tale da avere urine ipostenuriche). In caso di ipostenuria può essere complesso valutare il sedimento urinario poiché i leucociti e gli eritrociti possono lisarsi e i batteri possono essere rari: molti Autori consigliano di eseguire sempre l’esame colturale nei soggetti con urine ipostenuriche anche in caso di sedimento inattivo.
    • Nel caso in cui esista il sospetto clinico e clinico patologico di sindrome di Cushing è opportuno effettuare un test di soppressione a basse dosi con desametasone.
  4. Infine… nel caso in cui sia stato possibile escludere tutte le altre cause attraverso gli esami di laboratorio è possibile considerare le ultime due, ovvero:
    • Diabete insipido centrale: per confermare il sospetto diagnostico è necessario eseguire il test di risposta alla vasopressina. In letteratura (alla quale rimandiamo) sono disponibili diversi protocolli per l’esecuzione di questo test.
    • Polidipsia psicogena: è possibile sospettare questa patologia solo dopo avere escluso tutte le altre diagnosi.

 

Bibliografia:

  • McGrotty Y, Randell S. How to diagnose polyuria and polidipsia in dogs. Vet Rec 185 (4): 110-111, 2019
  • Nichols R. Polyuria and polydipsia: diagnostic approach and problems associated with patient evaluation. Vet Clin North Am Small Anim Prac 31(5): 833-844, 2001
  • Piech TL et al. Importance of urinalysis. Vet Clin North Am Small Anim Pract, 49(2): 233-245, 2019
  • Rudinsky A et al. Variability of first morning urine specific gravity in 103 healthy dogs. J Vet Intern Med. Sep; 33(5): 2133-2137, 2019
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. 2nd edition, Blackwell Publ. 2008.
  • Feldman EC et al. Canine and Feline Endocrinology. 4th edition. 2015
  • http://eclinpath.com/urinalysis/concentrating-ability/

 

 


MIC (minima concentrazione inibente) e confronto dei test di sensibilità

Quando disponibile, la MIC può costituire uno strumento utile per la scelta della migliore strategia terapeutica, ma solamente se interpretata e utilizzata in maniera corretta e soprattutto in caso di particolari criticità relative alla sede di infezione (sangue, sistema nervoso centrale, polmone, tessuti profondi) e le condizioni cliniche del paziente. La comunicazione da parte dei laboratori veterinari e l’interpretazione da parte del clinico della MIC è ancora oggi non molto chiara, seppur la richiesta di MIC sia cresciuta.

 

MIC REALE O MIC CALCOLATA?

La MIC (Concentrazione Minima Inibente) è una misura quantitativa dell’attività di un antibiotico verso un determinato batterio; definita come la più bassa concentrazione di antibiotico in grado di inibire la crescita batterica visibile.

E’ necessario, in ambito di MIC, fare chiarezza su ciò che si intende per MIC reale e MIC calcolata.

La prima è ottenibile solo utilizzando la metodica di riferimento della microdiluizione in brodo condotta manualmente mediante piastre dedicate e considerata ad oggi il gold standard; è certamente una metodica molto laboriosa e lunga, poco compatibile con i flussi di lavoro nei laboratori di microbiologia veterinaria.

La seconda è invece ottenibile mediante i sistemi automatizzati, largamente in uso nei laboratori veterinari: nella maggior parte di questi sistemi vengono testati diversi tipi di antibiotici in gallerie preimpostate e non modificabili nelle quali le MIC vengono calcolate mediante curve di crescita e algoritmi.

In tali sistemi non è possibile testare, per ciascuna molecola, un range di concentrazioni ma soltanto i valori di breakpoint-S e breakpoint-R.

Pertanto, il risultato indicherà soltanto la posizione del valore di MIC rispetto ai bkps esattamente come la metodica Kirby-Bauer (MIC<bkpS; bkpS<MIC<bkpR; MIC > bkpR), ma non il valore esatto di MIC.

 

CONFRONTO TRA TESTS DI ANTIBIOTICO-SENSIBILITA’

Dr Stefano Perfetto, responsabile laboratorio di Biologia molecolare e Microbiologia clinica

 

Bibliografia:

  • Clinical laboratory testing and in vitro diagnostic test systems – Susceptibility test of infectious agents and evaluation of performance of antimicrobial susceptibility test devices –Part 1:  Reference method for testing the in vitro activity of antimicrobial agents against rapidly growing aerobic bacteria involved in infectious diseases-First Edition.  ISO document 20776-1.  Switzerland:  ISO; 2006.
  • Methods for Dilution Antimicrobial Susceptibility Tests for Bacteria that Grow Aerobically; Approved Standards, 10th Ed. CLSI document M07-A10. Wayne, PA: Clinical and Laboratory Standards Institute; 2015.
  • S. Department of Health and Human Services, Food and Drug Administration, Center for Devices and Radiological Health.  Class II Special Controls Guidance Document:  Antimicrobial Susceptibility Test (AST) Systems. https://www.fda.gov/regulatory-information/search-fda-guidance-documents/class-ii-special-controls-guidance-document-antimicrobial-susceptibility-test-ast-systems.  U.S. Department of Health and Human Services; 2009.


Guida alla corretta interpretazione dell’antibiogramma

L’antibiogramma è un test che consente la valutazione della sensibilità batterica in vitro a vari antibiotici; la sua esecuzione prevede l’esposizione del microrganismo in esame a una serie di definite concentrazioni di farmaci.

Le metodiche utilizzate dai laboratori di microbiologia clinica, sia in umana che in veterinaria, sono la diffusione in agar secondo Kirby-Bauer (manuale) e la microdiluizione in brodo (automatizzabile, es. Vitek).

La metodica Kirby-Bauer, utilizzata in BiEsseA, prevede la valutazione dei diametri degli aloni di inibizione che circondano il punto di deposizione di dischetti antibiotati, mentre la microdiluizione in brodo consente di ottenere, per le varie molecole testate, la minima concentrazione inibente (MIC), ossia la più bassa concentrazione del farmaco in grado di inibire la crescita in vitro del microrganismo saggiato.

I diametri degli aloni di inibizione o le MIC vengono poi rapportati a valori soglia (breakpoint) stabiliti dallo European Committee on Antimicrobial Susceptibility Testing (EUCAST) in funzione di un complesso insieme di parametri.

Attraverso il confronto con i breakpoint, i risultati ottenuti possono essere tradotti nelle cosiddette categorie di interpretazione. In accordo con le linee guida dell’Eucast, nel nostro laboratorio abbiamo fissato, per ogni combinazione microrganismo-antibiotico, 2 breakpoints che determinano 3 categorie di interpretazione: S/I/R (vedi immagine).

CATEGORIE S/I/R E CORRELAZIONE CLINICA

  • Sensibile (S) Il ceppo viene inibito nella crescita od ucciso da concentrazioni di antibiotico raggiungibili in vivo (sieriche e tessutali)*. Un’infezione sostenuta da un ceppo batterico isolato può essere trattata appropriatamente con il dosaggio usuale dell’antibiotico testato e raccomandato per il tipo di infezione clinica. Indica una elevata probabilità di successo terapeutico. (*a seguito di somministrazione di una dose terapeutica «usuale»)
  • Intermedio (a sensibilità intermedia, I) Il ceppo mostra una MIC borderline rispetto ai livelli raggiungibili in vivo (sierici e tessutali) di antibiotico* la cui efficacia potrebbe dunque essere minore di quella registrata per gli isolati sensibili. Tuttavia, questa categoria suggerisce l’efficacia clinica nei siti corporei dove gli antibiotici sono fisiologicamente concentrati (chinolonici e β-lattamici nelle urine) o quando l’antibiotico può essere utilizzato a concentrazioni più alte di quelle normali in assenza di significativi effetti collaterali (β-lattamici). Rappresenta una “buffer zone” (zona cuscinetto) che dovrebbe evitare/ridurre rilevanti errori interpretativi (falsa sensibilità) a seguito di errori di natura tecnica, soprattutto nel caso di molecole con un ristretto margine di farmacotossicità. Indica un effetto terapeutico incerto(*a seguito di somministrazione di una dose terapeutica «usuale»)
  • Resistente (R) – Il ceppo non viene inibito/ucciso dalle concentrazioni sistemiche raggiunte in vivo (sieriche, tessutali) dall’antibiotico*. Questa categoria predice una elevata probabilità di fallimento terapeutico. (*a seguito di somministrazione di una dose terapeutica «usuale»)

La correlazione fra i test di sensibilità ottenuti in vitro e la reale efficacia clinica delle molecole nel singolo caso non è ovviamente assoluta e dipende da un insieme complesso di fattori, fra i quali:

  • L’effettivo ruolo clinico del microrganismo esaminato
  • La sede dell’infezione e la possibilità del farmaco di raggiungerla in concentrazioni adeguate
  • Il dosaggio e la corretta modalità e tempistica di somministrazione dell’antibiotico anche in relazione alle caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche

A riguardo della correlazione tra i risultati dei test di sensibilità antimicrobica (AST) e l’efficacia dei farmaci antimicrobici (AMDS) invitiamo alla lettura del seguente lavoro pubblicato dal VETCAST – EUCAST sub-committee for Veterinary Antimicrobial Susceptibility Testing.

https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fmicb.2017.02344/full

 

Nella seconda parte di questa “pillola”, che posteremo nelle prossime settimane affronteremo l’argomento della MIC (minima concentrazione inibente) e confronteremo i test di antibiotico-sensibilità in uso nei laboratori di microbiologia

 

Dr Stefano Perfetto, responsabile laboratorio di Biologia molecolare e Microbiologia clinica

 

Bibliografia:

  • Bywater, R., Silley, P., and Simjee, S. (2006). Antimicrobial breakpoints-definitions and conflicting requirements.  Microbiol.118, 158–159. doi: 10.1016/j.vetmic.2006.09.005
  • Doern, G. V., and Brecher, S. M. (2011). The clinical predictive value (or lack thereof) of the results of in vitro antimicrobial susceptibility tests.  Clin. Microbiol.49, S11–S14. doi: 10.1128/JCM.00580-11
  • Clinical laboratory testing and in vitro diagnostic test systems – Susceptibility test of infectious agents and evaluation of performance of antimicrobial susceptibility test devices –Part 1:  Reference method for testing the in vitro activity of antimicrobial agents against rapidly growing aerobic bacteria involved in infectious diseases-First Edition.  ISO document 20776-1.  Switzerland:  ISO; 2006.


Calcio Totale versus Calcio Ionico

Identificare correttamente una forma di ipocalcemia o ipercalcemia è estremamente importante poiché le diagnosi differenziali di entrambe queste alterazioni sono piuttosto poche, consentendoci così di restringere molto il campo di indagine.

Quando misuriamo il calcio sierico totale, misuriamo tre differenti frazioni di tale elemento:

  • Calcio libero presente in forma ionica: circa il 50%
  • Calcio legato alle proteine (soprattutto alle albumine): circa il 40- 45%
  • Calcio legato ad anioni non proteici (fosfati, lattati, citrati): circa il 10-15%

Il calcio ionico rappresenta la frazione biologicamente più attiva ed è la forma che deve essere valutata per diagnosticare uno stato di ipo o ipercalcemia patologici; viene misurato in genere mediante emogasanalizzatori, poiché il campione deve essere analizzato immediatamente (contatto con l’aria e ritardata processazione alterano il pH e quindi il valore del calcio ionico). Poiché a causa dell’instabilità del campione, la spedizione ad un laboratorio esterno è poco praticabile e poiché molte strutture non sono dotate di emogasanalizzatori, sarebbe auspicabile poter avere informazioni utili sulla calcemia dalla misurazione del calcio totale.

Purtroppo, la calcemia totale (ottenuta con strumenti di biochimica liquida o secca) non sempre correla con la calcemia ionica. Numerose pubblicazioni hanno dimostrato che il calcio corretto (ottenuto tramite una formula di “correzione” che utilizza i valori di calcio totale, albumina e proteine totali) è scarsamente correlato al calcio ionico, poiché entrambi non sono influenzati soltanto da albumine e proteine totali, ma anche ad esempio dal legame con anioni non proteici (fosfati, lattati, citrati) e da condizioni di acidosi o alcalosi; molti autori sconsigliano l’uso di tale calcolo. Ad esempio, in base allo studio di Schenck et al. utilizzare questa formula nel cane porterebbe a una sovrastima dei normocalcemici e degli ipercalcemici (soprattutto in corso di insufficienza renale) ed una sottostima degli ipocalcemici.

Quindi, cosa dobbiamo tenere presente quando interpretiamo una calcemia totale? Che tipo di informazioni ci fornisce rispetto alla calcemia ionica? Quando è necessario rivalutare una calcemia totale misurando la calcemia ionica? Ecco di seguito alcuni punti chiave interpretativi:

  • In linea generale, una diagnosi di ipo o ipercalcemia può essere fatta esclusivamente misurando la calcemia ionica.
  • È possibile sospettare con elevata probabilità la presenza di ipercalcemia o ipocalcemia ioniche a fronte di valori di calcio totale rispettivamente molto superiori o molto inferiori agli intervalli di riferimento e soprattutto se è presente una sintomatologia clinica compatibile (es. tremori muscolari, PU/PD etc).
  • Una calcemia totale bassa o normale ma vicina al limite inferiore di normalità consente di escludere con elevata probabilità una ipercalcemia ionica (e viceversa).
  • Alcuni lavori hanno dimostrato che in presenza di iperfosfatemia (ad esempio in corso di insufficienza renale) la calcemia totale può risultare falsamente sovrastimata indipendentemente dalla calcemia ionica.
  • Una calcemia totale normale non consente di escludere iper o ipocalcemia ioniche.
  • Un’ipocalcemia totale in presenza di iperkalemia e in assenza di segni clinici è quasi certamente dovuta a una contaminazione del siero con K-EDTA!
  • In presenza di ipoalbuminemia/ ipoprotidemia deve essere sempre misurata la calcemia ionica poiché anche le formule di correzione (calcio corretto) non sono considerate attendibili.

Bibliografia:

  • Schenck et al. Prediction of serum ionized calcium concentration by use of serum total calcium concentration in dogs. AJVR, Vol 66, No. 8; 2005
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • Messinger et al. Ionized Hypercalcemia in dogs: a retrospective study of 109 cases (1998 –2003). J Vet Intern Med 2009;23:514–519
  • Groth et al. Determination of a serum total calcium concentration threshold for accurate prediction of ionized hypercalcemia in dogs with and without hyperphosphatemia. J Vet Intern Med. 2019;1–9.
  • Galvao et al. Update on feline ionized hypercalcemia. Vet Clin Small Anim 47 (2017) 273–292

Il Mielolipoma

Il mielolipoma è un tumore benigno segnalato in differenti specie di uccelli, primati, furetti, ratti, felini selvatici e più raramente anche nel cane e nel gatto. Può avere diverse localizzazioni: caratteristica negli uccelli sulle ali, mentre nel cane e nel gatto è riportato maggiormente su milza e fegato ed occasionalmente su surreni, omento, canale spinale ed occhio; possono essere singoli o multipli e variare da pochi mm fino a raggiungere grandi dimensioni (fino a 10 cm di diametro).

L’eziopatogenesi rimane sconosciuta, ma vi sono differenti ipotesi per quanto riguarda la proliferazione anomala di tessuto ematopoietico:

  • Durante la vita embrionale, l’ematopoiesi avviene in maniera diffusa nel tessuto connettivo della cavità peritoneale a partire da cellule staminali ematopoietiche e scompare nel momento in cui si formano gli organi deputati all’ematopoiesi. Queste cellule accidentalmente vengono intrappolate nel tessuto adiposo e iniziano a proliferare portando alla formazione di focolai di ematopoiesi anomali.
  • Citochine o altri fattori di crescita ematopoietici stimolati da una neoplasia, un danneggiamento e/o una rigenerazione tissutale promuovono le cellule staminali totipotenti a differenziarsi in cellule ematopoietiche.
  • Patologie a carico del midollo osseo stimolano la formazione di focolai di ematopoiesi extra-midollare (da valutare contestuale quadro ematologico periferico).

Pochi casi sono riportati in letteratura sia nel cane che nel gatto, per cui è difficile stabilire una predisposizione di razza o sesso, però solitamente interessa soggetti anziani (tra gli 11 e i 16 anni). Spesso sono reperti occasionali in sede ecografica poiché nella maggior parte queste neoplasie non danno sintomatologia clinica, a meno che non vadano a comprimere o lesionare gli organi vicini o che li contengono (ad esempio se si localizzano nel canale spinale o a livello oculare oppure se causano emoaddome per rottura d’organo).

Il quadro citologico è caratterizzato da sfondo ematico con vacuoli otticamente vuoti e da una popolazione mista di precursori della linea eritroide, mieloide e megacariocitica, spesso associata ad adipociti maturi. La principale diagnosi differenziale è l’ematopoiesi extramidollare se si tratta di masse di pertinenza epatica o splenica, valutando anche la possibilità che sia presente una  milza accessoria; l’unico modo per orientare la diagnosi verso il mielolipoma è il riscontro di  adipociti maturi e vacuoli otticamente vuoti sullo sfondo, che nel caso della sola ematopoiesi extramidollare sono in genere assenti.

La diagnosi definitiva è istologica e l’escissione chirurgica è curativa.

Bibliografia:

  • Meuten DJ. Tumor in domestic animals. 5th 2017
  • Raskin R. Meyer DJ. Canine and feline cytology. 3ed edition. 2016
  • Wouda RM et al. Hepatic myelolipoma incarcerated in a peritoneopericardial diaphragmatic hernia in a cat. Australian Veterinary Journal. Vol 88, No 6, June 2010
  • Kamiee J et al. Multicentric myelolipoma in a dog. J. Vet. Med. Sci. 71(3): 371–373, 2009


Perche’ sono importanti i parametri biochimici di un versamento?

Nell’esame di un versamento endocavitario (pleurico, peritoneale ed in minor misura pericardico) il solo esame citologico non sempre può dare risposte sull’esatta patogenesi della sua formazione; per migliorare le nostre possibilità diagnostiche diventa di fondamentale importanza integrarlo con altri test quali ad esempio la conta cellulare, la misurazione delle proteine totali o di altri parametri biochimici, l’esame colturale, il test di Rivalta, eventuali PCR per la ricerca di agenti infettivi, la citometria a flusso etc.  Utilizzando più test diventa più spesso possibile classificarlo non solo secondo la classificazione “tradizionale” (essudati, trasudati) ma anche secondo quella patogenetica, più recente e secondo il nostro parere assai più valida (per una trattazione approfondita di questa classificazione rimandiamo alla letteratura. Stockham L., Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Capitolo 19, seconda edizione, 2008).

Per quanto riguarda i parametri biochimici, quelli che riteniamo più utili e che routinariamente misuriamo su versamento presso il nostro laboratorio sono i seguenti:

  • Proteine totali
  • Bilirubina
  • Colesterolo e Trigliceridi
  • Creatinina
  • Lipasi totale

Tutti questi parametri possono essere determinati sul surnatante ottenuto dopo centrifugazione del campione raccolto in EDTA. Va premesso che sebbene siano ormai state fatte diverse pubblicazioni circa l’analisi biochimica dei versamenti cavitari, mancano dati circa l’accuratezza diagnostica di tali tests, per cui senza dati sufficienti che abbiano stabilito sensibilità, specificità e cut-offs di ciascuno, non è possibile determinare la loro reale affidabilità e pertanto devono essere tutti considerati come suggestivi per la tal condizione.

BILIRUBINA PER LA DIAGNOSI DI COLEPERITONEO

Devono essere misurate contestualmente bilirubina nel versamento e bilirubina sierica; nel caso in cui il rapporto bilirubina del versamento : bilirubina sierica risulti > 1 (vale a dire che il valore nell’effusione è più alto di quello sierico) si può ipotizzare con elevata probabilità una rottura delle vie biliari (COLEPERITONEO). Da un punto di vista citologico questo tipo di versamento è caratterizzato da elevata cellularità, con una popolazione mista di granulociti neutrofili non degenerati prevalenti, macrofagi e cellule mesoteliali reattive. La bile può essere visibile sullo sfondo come ammassi di materiale amorfo bluastro o come granuli verdastri-giallo oro all’interno del citoplasma delle cellule infiammatorie. Anche l’aspetto macroscopico è utile per formulare il sospetto diagnostico (aspetto verdastro-giallastro, spesso filante), sebbene sia possibile anche il caso di coleperitoneo secondario alla presenza della così detta bile bianca che non colora tipicamente di giallo-verde il versamento (ma in genere persiste l’aspetto mucoso).

COLESTEROLO E TRIGLICERIDI PER LA DIAGNOSI DI VERSAMENTO CHILOSO  

Trigliceridi superiori a 100 mg/dL o un rapporto colesterolo : trigliceridi del versamento < 1 (vale a dire un valore di trigliceridi nell’effusione più alto di quello del colesterolo) indicano nella maggior dei casi una natura chilosa e si può parlare di CHILOTORACE/CHILOADDOME. Solo in rari casi è possibile che un versamento non-chiloso abbia il rapporto < 1. Da un punto di vista citologico ricordiamo che tali versamenti sono caratterizzati dalla presenza di un elevato numero di piccoli e medi linfociti (> 50%); possono essere inoltre presenti macrofagi schiumosi e più rari granulociti neutrofili non degenerati e cellule mesoteliali reattive. La diagnosi di chilo può essere confermata esclusivamente misurando il rapporto colesterolo : trigliceridi, poiché è possibile avere versamenti in cui la popolazione prevalente è rappresentata da linfociti ma che hanno questo rapporto > 1, che vengono definiti appunto non chilosi.

CREATININA PER LA DIAGNOSI DI UROPERITONEO

Quando il rapporto tra creatinina del versamento e creatinina sierica contestuali è > 2 (vale a dire un valore nell’effusione almeno doppio rispetto a quello sierico) si può diagnosticare un uroperitoneo. Bisogna ricordare però che con il passare del tempo (2-3 giorni) a causa della diffusione della creatinina per gradiente di concentrazione, i valori di creatinina sierica e del versamento tenderanno ad essere simili. È importante perciò che le due misurazioni vengano effettuate nel più breve tempo possibile a partire dalla presunta rottura delle vie urinarie. Citologicamente, l’uroperitoneo può essere acellulare o più frequentemente può essere caratterizzato da una popolazione mista con prevalenza di granulociti neutrofili, occasionali macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

LIPASI PER LA DIAGNOSI DI PANCREATITE

Sebbene la letteratura sull’argomento sia piuttosto scarsa, è stato evidenziato in diverse pubblicazioni che se in corso di pancreatite acuta si sviluppa un versamento peritoneale il confronto tra lipasi sierica e lipasi nel versamento rappresenta un utile test diagnostico. Premesso che devono essere utilizzati o il metodo DGGR per la lipasi totale (in uso nel nostro laboratorio) oppure la lipasi pancreatica specifica, quando la lipasi nel versamento è molto elevata o molto superiore a quella sierica è probabile che le cellule pancreatiche stiano “versando” l’enzima nel versamento per rottura degli acini.  Citologicamente, questa effusione è caratterizzata da cellularità elevata e da una popolazione prevalente di granulociti neutrofili, da macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

Bibliografia:

  • De Arespacochaga G et al. Comparison of lipase activity in peritoneal fluid of dogs with different pathologies – A complementary diagnostic tool in acute pancreatitis? Journal of Veterinary Medicine. A, Physiology, Pathology, Clinical Medicine. 2006; 53: 119-122.
  • Zimmermann E, et al. Serum feline-specific pancreatic lipase immunoreactivity concentrations and abdominal ultrasonographic findings in cats with trauma resulting from high-rise syndrome. J Am Vet Med Assoc. 2013; 1;242(9):1238-43.
  • Liehmann LM et al. Pancreatic rupture in four cats with high-rise syndrome. J Feline Med Surg. 2012; 14(2):131-7.
  • Paltrinieri S, Bertazzolo W, Giordano A. Patologia clinica del cane e del gatto approccio pratico alla diagnostica di laboratorio. Prima edizione, 2010.
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • http://eclinpath.com/cytology/effusions-2/


Le Cellule di Foa- Kurloff

Osservando lo striscio ematico delle cavie (porcellini d’India) o dei capibara, oltre agli eterofili (che rappresentano la popolazione leucocitaria prevalente nei roditori e nei lagomorfi), i linfociti, gli eosinofili, e i monociti, si possono osservare le cellule di Foa – Kurloff. Sono cellule mononucleari contenenti nel citoplasma una singola inclusione citoplasmatica, di circa 1-8 um di diametro, eosinofilica, finemente granulare- fibrillare, che sposta il nucleo in posizione eccentrica; questa inclusione consiste in una struttura lisosomiale per lo stoccaggio di mucopolisaccaridi. Tali cellule rappresentano fisiologicamente il 3-4% delle cellule linfoidi e il 1-2 % di tutti i leucociti circolanti.

La loro funzione risulta essere ancora sconosciuta anche se si ipotizza che agiscano come linfociti natural killer o come difensori fetali che operano a livello placentare.

È riportato che fino ai 2-3 mesi di vita non vi è distinzione nella quantità tra maschi e femmine, ma successivamente vi è un aumento del numero circolante in seguito all’innalzamento del livello di estrogeni, e scompaiono in seguito a sterilizzazione.

Si possono trovare anche nel timo, nei polmoni, nella polpa rossa della milza di femmine gravide o sotto stimolazione degli estrogeni.

Bibliografia:

  • Hematological assessment in pet Guinea pigs (Cavia porcellus). Zimmerman K. et al. Vet Clin Exot Anim 18; 33–40. 2015
  • Schalm’s Veterinary Hematology. Weiss DJ, Wardrop KJ. Sixth edition. 2010
  • The Kurloff cells. Revell PA. International Review of Cytology. 51; 975-314. 1977


La Stima Piastrinica

Con stima piastrinica si intende il numero medio di piastrine osservate in almeno 10 campi ad immersione (1000x). Diversamente da come molti intendono, non si tratta di un “giudizio” personale espresso dal patologo clinico che mette insieme tutte le informazioni relative alle piastrine (conta strumentale, presenza/assenza e entità degli aggregati piastrinici, morfologia piastrinica), bensì di una vera e propria misurazione. Un recente studio di Paltrinieri et al. ha rilevato un’elevata variabilità del numero di piastrine per campo 1000x sia in base alla porzione di striscio ematico che si valuta microscopicamente, sia in base all’osservatore. Il monostrato centrale è la regione dello striscio dove vi è maggiore concordanza tra gli osservatori, mentre le altre regioni (coda e regioni laterali dello striscio) hanno maggior concordanza con la conta strumentale ma una concordanza inferiore tra gli osservatori. Tale elevata variabilità rende questa misurazione inaccurata, al punto che diverse misurazioni fatte da diversi operatori o in diverse aree dello striscio misclassificano il paziente che ad esempio può risultare trombocitopenico in una lettura ma in un’altra avere piastrine normali. Anche la conta strumentale può risultare inaccurata, soprattutto nel gatto e quando misurata con strumenti ad impedenza e non laser. Per queste ragioni è di fondamentale importanza che il numero di piastrine sia valutato sommando tutti i dati a disposizione (lettura strumentale, valutazione morfologica delle piastrine, presenza di aggregati e stima piastrinica). Per quanto riguarda il numero di piastrine per campo a 1000x, è possibile trovare in letteratura (sia su libri che su articoli) diverse tabelle che riportano intervalli di riferimento di specie piuttosto variabili, a conferma che, proprio a causa della moderata accuratezza della conta, diversi lavori hanno prodotto intervalli diversi, che per questa ragione devono essere considerati soltanto indicativi. Nel caso in cui il numero medio di piastrine contato sia superiore o inferiore all’intervallo adottato, la stima piastrinica viene definita inadeguata – aumentata, mentre se al di sotto inadeguata – diminuita.

Intervalli di riferimento secondo Stockham SL (Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology, I ed., 2002):

SPECIE

NON ADEGUATA

DIMINUITA

ADEGUATA

NON ADEGUATA

AUMENTATA

Cane≤910-25>30
Gatto≤1415-40>48
Cavallo≤45-17>21
Bovino≤45-40>48
Ovino≤1213-37>45
Caprino≤1415-30>36

La stima piastrinica può inoltre essere espressa come numero totale delle piastrine per microlitro moltiplicando il numero medio di piastrine ottenuto su 10 campi ad immersione 1000x per 15-20.000 (nel cane) o 20.000 (nel gatto). Ad esempio, un cane con una media di 12 piastrine per campo 1000x, presumibilmente avrà un numero di piastrine pari a 180.000-240.000/uL. Il numero di piastrine per microlitro corrisponderà al numero di piastrine contato dallo strumento nel caso in cui la lettura strumentale risulti accurata (ad esempio le piastrine non sono state erroneamente contate come eritrociti perché troppo grandi, o gli eritrociti come piastrine perché molto piccoli, oppure non sono presenti aggregati o coaguli in provetta).

Bibliografia:

  • Analytical variability of estimated platelet counts on canine blood smears. Paltrinieri et al. Vet Clin Pathol. 2018;47:197–204.
  • Estimation of platelet count of feline blood smear. Tasker et al. Vet Clin Path. 1999; 28; 2.
  • Estimating platelets and leukocytes on canine blood smears. Tvedten et al. Vet Clin Path. 1988; 17;1
  • Harvey JV. Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition Elsevier, 2012
  • Stockham SL and Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. First edition Blackwell, 2002
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