Poster della Dott.ssa Marta Attini

 

Poster presentato dalla Dott.ssa Marta Attini al congresso annuale ESVCP 2022 di Belgrado (Serbia) 5-8 ottobre 2022vedi Abstract PDF

 


Esame citofluorimetrico delle masse mediastiniche nel gatto: studio retrospettivo

Le masse mediastiniche in cani e gatti vengono spesso esaminate tramite citologia ma la discriminazione tra due lesioni più comuni quali linfoma e timoma può essere complessa se non impossibile, soprattutto quando i piccoli e medi linfociti rappresentano la popolazione prevalente, caratteristica questa condivisa da entrambe le patologie (Pintore et al, 2014). Diagnosticare con accuratezza una massa mediastinica è importante poiché diverse patologie prevedono approcci terapeutici completamente differenti (asportazione chirurgica o radioterapia in caso di timoma, chemioterapia in caso di linfoma, ad esempio). Nella specie canina la citometria a flusso si è dimostrata in grado di identificare un timoma con elevata specificità (100%) quando è presente in misura maggiore del 10% una popolazione linfocitaria con doppia positività CD4+ e CD8+ (Lana et al 2006). Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare l’utilizzo della citometria a flusso (FC) nella diagnosi di masse mediastiniche nel gatto, descriverne gli aspetti citometrici e la capacità di questa tecnica di differenziare linfomi da lesioni non linfomatose (timomi e non timomi).

I casi inclusi nello studio sono stati raggruppati in due gruppi “linfoma” e “non-linfoma” basandosi sui risultati di istologia, citologia, PARR (PCR for antigen receptor rearrangement), presentazione clinica e follow-up. I parametri di “scatter”, le positività a CD5, CD4, CD8, CD21, CD18 e le loro co-espressioni sono state analizzate utilizzando un approccio multicolore. Sono stati selezionati 20 gatti, 12 con linfoma e 8 casi non linfomatosi.

È stato riscontrato un forward scatter (FSC) più alto nel gruppo “linfoma”; le cellule T con doppia positività CD4 e CD8 si sono rivelate la popolazione dominante in 8 linfomi su 12, mentre le lesioni non linfomatose non hanno mostrato una popolazione dominante in 5 casi su 8. A differenza dei cani, l’elevata prevalenza di linfomi con doppia positività CD4+ e CD8+ nei gatti rende difficile differenziare il linfoma dalle lesioni non linfomatose utilizzando la sola citometria a flusso (FC). I risultati del presente lavoro mostrano quindi che la citometria a flusso (FC) può aggiungere informazioni utili per affinare la diagnosi in alcuni casi.  Depongono a favore della diagnosi di linfoma i seguenti reperti di citometria:

1. Dimensioni elevate dei linfociti (determinabili più accuratamente in citometria che in citologia)

2. Presenza di una popolazione linfocitaria dominante oltre a una popolazione CD4+/ CD8+, presenza di fenotipi aberranti.

Supporta invece la diagnosi di una lesione non linfomatosa la presenza di una popolazione mista di linfociti T composta di CD4+, CD8+, CD4+/CD8+, CD4-/CD8- .

PARR e istopatologia rimangono tecniche necessarie per risolvere la diagnosi differenziale in caso di espansione di cellule linfoidi di piccole/medie dimensioni con doppia positività CD4 e CD8.

 

Dr. Stefano Perfetto, Responsabile laboratorio di Biologia molecolare e Microbiologia clinica

 

Bibliografia:

  • Bernardi et al. Flow Cytometric Analysis of Mediastinal Masses in Cats: A Retrospective Study. Frontiers in Veterinary Science. 2020, 444
  • Pintore L et al. Cytological and histological correlation in diagnosing feline and canine mediastinal masses. J Small Anim Pract. (2014) 55:28–32.
  • Lana S et al.  Plaza S, Hampe K, Burnett R, Avery AC. Diagnosis of mediastinal masses in dogs by flow cytometry. J Vet Intern Med. (2006) 20:1161–5.


Esame citologico del fegato: come e quando?

L’esame citologico del materiale ottenuto dal sistema epato- biliare è sempre più spesso utilizzato come complemento ad altre procedure diagnostiche (esame clinico, esami ematobiochimici, ecografia addominale, tomografia computerizzata) ed in alcuni casi può fornirci la diagnosi definitiva. Le tecniche più utilizzate per il prelievo citologico di parenchima o di neoformazioni epatiche sono l’ago infissione e l’agoaspirazione percutanee. Si tratta di un esame poco invasivo, economico e se il paziente è collaborativo non necessita di alcuna anestesia; le indicazioni per effettuarlo sono:

  • epatomegalia
  • alterazioni di ecogenicità
  • presenza di neoformazioni
  • stadiazioni di neoplasie
  • alterazioni cliniche o clinico patologiche che indicano una patologia epatica anche in assenza di alterazioni ecografiche

La principale controindicazione invece per l’esecuzione di un FNA del fegato è un’alterata emostasi, con conseguente possibile emorragia; in caso di piastrinopenia molto grave è sconsigliabile effettuarlo e nel caso si sospetti uno stato di ipocoagulabilità (evento non raro in corso di epatopatia) è consigliabile effettuare un profilo coagulativo prima di procedere. Vi sono comunque delle limitazioni, ben note in letteratura: in primo luogo la citologia non permette di valutare l’architettura del tessuto coinvolto da patologia (per questo l’esame istologico rimane il gold standard) ed in secondo luogo è stato dimostrato che la citologia come ausilio diagnostico per lesioni epatiche ha una accuratezza diagnostica inferiore rispetto all’esame citologico di altri organi coinvolti da processi infiammatori/neoplastici. La citologia ha dimostrato di essere più efficace nella diagnosi di degenerazione vacuolare/glicogenosi epatica diffusa o di patologia neoplastica rispetto a patologie infiammatorie (sensibilità variabile). Nello studio di Fleming KL et al. (2019) sono state confrontate le due diverse metodiche di prelievo citologico ago infissione (FN-NA) ed ago aspirazione (FNA) del parenchima epatico di cani di sesso, razza ed età diversi che necessitavano un esame ecografico e una citologia eco-guidata come completamento del loro iter diagnostico (sono stati esclusi dallo studio cani con marcata trombocitopenia o coagulopatie di varia natura). I patologi clinici hanno valutato cellularità, conservazione delle cellule ed emodiluizione dei diversi campioni nell’ottica di stabilire se e quale possa essere la tecnica più indicata per ottenere un buon preparato citologico. Circa il 90% dei campioni citologici ottenuti è risultato adeguato per una corretta diagnosi, con una maggior prevalenza di campioni diagnostici mediante la tecnica di ago infissione (FN-NA) (94%) rispetto a quella per ago aspirazione (FNA) (81,5%). Questa seppur lieve differenza è dovuta al fatto che l’FNA può determinare la rottura delle cellule e una maggior emodiluizione, compromettendo conseguentemente la qualità diagnostica del preparato citologico (soprattutto in tessuti molto vascolarizzati come il fegato). L’aspirazione esercitata infatti può traumatizzare le cellule causandone la rottura (soprattutto nelle neoplasie dove le cellule sono più fragili e più soggette a degenerazione). E’ interessante citare inoltre un altro articolo di LeBlanc et al. (2009) dove hanno comparato le due metodiche di prelievo di campioni citologici di parenchima splenico di cani e gatti e dove, anche in questo caso, l’FN-NA è risultato più idoneo per ottenere preparati di ottima qualità.

Bibliografia:

  • Fleming KL, Howells EJ, Villiers EJ, Maddox TW. A randomized controlled comparison of aspiration and non-aspiration fine-needle techniques for obtaining ultrasound-guided cytological samples from canine livers. The Veterinary Journal 252: DOI : 1016/j.tvjl.2019.105372, 2019.
  • Cowell RL, Tyler RD, Meinkoth JH, DeNicola DB. Diagnostic cytology and hematology of the dog and cat. 3°edizione Mosby Elsevier, St.Louis, Missouri. Pp. 312-330, 2008
  • Raskin RE, Meyer DJ. Canine and feline cytology – A Color Atlas and Interpretation Guide. 2°edizione Elsevier Saunders, St.Louis, Missouri. Pp. 226-248, 2010
  • LeBlanc CJ, Head LL, Fry MM. Comparison of aspiration and nonaspiration techniques for obtaining cytologic samples from the canine and feline spleen. Veterinary Clinical Pathology 38: 242-246, 2009.


Biessea L’insufficienza pancreatica esocrina (EPI)

Vitamina B12 e Folati: valore prognostico in corso di insufficienza pancreatica esocrina nel cane

insufficienza pancreatica esocrina (EPI)

L’insufficienza pancreatica esocrina (EPI) consiste in una inadeguata secrezione da parte del pancreas esocrino di enzimi pancreatici (tra cui lipasi, amilasi, tripsinogeno, chimotripsinogeno, carbossipeptidasi) e che portano a un’incompleta digestione dell’alimento e di conseguenza a un’inadeguata assunzione di nutrienti da parte del tratto digerente. Clinicamente, i cani affetti da questa patologia presentano perdita di peso con appetito conservato e feci poco formate.

Le cause dell’EPI possono essere:

  • l’atrofia degli acini del pancreas esocrino (ereditario, segnalato nei pastori tedeschi) causata da una distruzione linfocitica
  • una pancreatite cronica, idiopatica, che porta a una progressiva distruzione degli acini
  • un’ostruzione del dotto pancreatico che impedisce il rilascio degli enzimi pancreatici a livello intestinale

La diagnosi di EPI si effettua misurando il TLI (Trypsin Like Immunoreactivity): valori inferiori a 2.5 ug/L sono considerati diagnostici. I soggetti affetti da EPI sviluppano secondariamente alterazioni dell’apparato gastroenterico; la mancanza di enzimi pancreatici causa una riduzione della produzione di fattore intrinseco causando a sua volta un deficit nell’assorbimento di vitamina B12 a livello di ileo. Inoltre, la disbiosi intestinale è un reperto frequente.

Lo scopo di questo studio è di valutare i tempi di sopravvivenza dal momento della diagnosi utilizzando la vitamina B12 e i folati come fattori prognostici; nel primo caso è già noto in letteratura che valori di vitamina B12 < 350 ng/L al momento della diagnosi corrispondano a un fattore prognostico negativo (Batchelor et al. 2007).

Sono stati inseriti nello studio 229 cani con diagnosi di EPI e follow up noto (tempi di sopravvivenza tra 0.5 e 7.3 anni (media 4.4 anni)) e al momento della diagnosi nessuno prendeva integrazione enterale o parenterale di vitamina B12. Le razze maggiormente rappresentate sono pastori tedeschi, CKCS e rough coated collie.

Al momento della diagnosi:

  • La vitamina B12 era < 350 ng/L nel 55% dei soggetti (soprattutto soggetti anziani)
  • La vitamina B12 era > 850 ng/L nel 5% dei soggetti
  • I folati erano > 12 ug/L nel 67% dei soggetti
  • La vitamina B12 era < 350 ng/L e contemporaneamente i folati erano > 12 ug/L nel 34% dei soggetti

Dallo studio statistico si è evinto che:

  • Avere una concentrazione di vitamina B12 < 350 ng/L al momento della diagnosi rappresenta un fattore prognostico negativo.
  • Avere una concentrazione di folati > 12 ug/L è  un fattore prognostico positivo, probabilmente poiché oltre a identificare la presenza di disbiosi, testimonia che la capacità di assorbimento intestinale è ancora integra
  • Pazienti con ipocobalaminemia (B12 < 350 ng/L) e iperfolatemia (folati > 12 ug/L) associate hanno una prognosi migliore dei pazienti che presentano soltanto ipocobalaminemia.

Inoltre, altri fattori che possono ridurre i tempi di sopravvivenza sono il mancato supplemento di enzimi pancreatici e l’inappetenza al momento della diagnosi.

Bibliografia:

  • Soetart N. et al. Serum cobalamin and folate as prognostic factors in canine exocrine pancreatic insufficiency: An observational cohort study of 299 dogs. Vet Journal. Jan; 243:15-20. 2019
  • Batchelor et al. Prognostic factors in canine exocrine pancreatic insufficiency: prolonged survival is likely if clinical remission is achieved. J. Vet. Intern. Med. 21, 54–60. 2007.
  • Stockham S. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. 2008


Biessea - esame urine cani

Variabilità del peso specifico urinario in cani sani

Variabilità del peso specifico urinario in cani sani

L’esame delle urine è un test fondamentale per inquadrare un paziente da un punto di vista clinico-patologico, assieme agli esami ematobiochimici.

Il peso specifico urinario (PS) serve a valutare la capacità di concentrare le urine da parte dei tubuli renali e per valutare lo stato di idratazione di un soggetto.

In letteratura, è riportato che il PS può fluttuare nel corso della giornata e che può variare ad esempio in base alla quantità e qualità di cibo e alla quantità di acqua assunti; in genere si consiglia di raccogliere le prime urine del mattino poiché si presume siano quelle che riflettano meglio la capacità di concentrare le urine.

L’interpretazione di un singolo risultato di PS può non essere sempre facile per il fatto che non è possibile sapere se il valore ottenuto sia da considerarsi patologico oppure semplicemente un valore “estremo” della fisiologica variabilità biologica di un singolo individuo.

Lo scopo di questo studio è quello di valutare la variabilità del PS delle prime urine del mattino di 103 cani clinicamente sani che non siano stati sottoposti a trattamenti farmacologici e non siano stati malati nei sei mesi precedenti. I proprietari sono stati incaricati di raccogliere le urine per caduta per tre giorni consecutivi, per due settimane consecutive (totale 6 campioni dello stesso paziente).

I risultati di questo studio dimostrano che la differenza media tra il valore più basso e il valore più alto di PS nello stesso individuo nell’arco delle due settimane è di 0.015; ciò significa che lo stesso soggetto può avere, in media, una mattina 1030 e la mattina successiva 1015. Si tratta di una differenzia media, per cui sono previste differenze sia minori che maggiori di questo valore.

I limiti di questo studio sono che son state analizzate urine di soggetti clinicamente sani ma non valutati da un punto di vista clinico-patologico (non hanno effettuato altri esami di laboratorio) e quindi non si ha la certezza di aver escluso patologie occulte soprattutto nei soggetti più anziani; inoltre non sono state indagate urine di soggetti con poliuria e polidipsia per valutare se questa stessa variabilità può essere valida anche all’interno di un quadro patologico.

Questa importante variabilità individuale deve essere tenuta in considerazione quando si interpreta un singolo valore di PS prima di attribuire ad esso un significato di normalità oppure patologico. Valutare nell’insieme più valori ottenuti da diversi campioni può essere di aiuto al clinico per meglio inquadrare il paziente e decidere di conseguenza di intraprendere iter diagnostici e terapeutici.

 

RudinskyA. et al. Variability of first morning urine specific gravity in 103 healthy dogs. J Vet Intern Med. Sep;33(5):2133-2137, 2019


Biessea ACTH ENDOGENO

ACTH endogeno: monitoraggio terapeutico nei pazienti addisoniani

L’ipoadrenocorticismo spontaneo primario (Morbo di Addison) è una patologia endocrina su base immunomediata che richiede una terapia di mantenimento con mineralcorticoidi e glucocorticoidi a vita. Nel trattamento del morbo di Addison il principale glucocorticoide utilizzato è il prednisolone, ma in letteratura non sono riportate chiare linee guida riguardo al dosaggio nella fase di mantenimento del paziente e le eventuali variazioni di posologia sono generalmente basate solo su rilievi clinici (solitamente per evitare un possibile Cushing iatrogeno).

In questo interessante articolo che vi proponiamo, è stata introdotta la MISURAZIONE DELL’ACTH ENDOGENO (eACTH) nel controllo della terapia in cani affetti da Morbo di Addison per cercare di determinare la dose finale di prednisolone il più possibile simile alle concentrazioni fisiologiche. I pazienti inclusi nel gruppo di studio sono statti trattati con prednisolone (dosaggio iniziale 0,2 mg/kg BID) in associazione a fludrocortisone (dosaggio iniziale 0,01 mg/kg BID).

Lo studio retrospettivo di Zeugswetter e Haninger ha dimostrato che l’introduzione della misurazione della concentrazione di eACTH può aiutare ad ottimizzare la terapia steroidea nei pazienti affetti da morbo di Addison, con lo scopo di arrivare alla dose più bassa possibile comunque in grado di evitare la ricomparsa dei segni – sintomi di Addison.

Al momento della diagnosi tutti i pazienti hanno eACTH molto elevato; al momento delle dimissioni, avendo cominciato la terapia con prednisolone tutti i pazienti presentano invece eACTH completamente soppresso, al punto da non essere misurabile.

La misurazione dell’eACTH nei successivi monitoraggi viene suggerito poiché:

  • un valore di eACTH al di sotto del limite di rilevabilità (non misurabile) esclude con elevata probabilità un sottodosaggio;
  • il dosaggio di prednisolone può essere aggiustato fino a quando scompaiono eventuali sintomi di un sovradosaggio (Cushing iatrogeno) e quando il valore di eACTH supera il limite di rilevabilità, quindi risulta essere misurabile.

Tuttavia, il principale limite nell’utilizzare l’eACTH come marker per il controllo della terapia nei pazienti Addisoniani è la sua estrema instabilità: anche se conservato refrigerato degrada rapidamente entro 24 ore dal prelievo (falsi decrementi).

Per la misurazione dell’eACTH è necessario raccogliere il sangue in provette con EDTA, centrifugare immediatamente, separare il plasma in una provetta vuota e congelarlo. Nel caso in cui il campione così congelato riesca a giungere in laboratorio entro poche ore è sufficiente spedirlo refrigerato (con siberino o apposito imballaggio da richiedere in laboratorio). Nel caso in cui invece il campione debba viaggiare con corriere nazionale, deve esserne garantito il congelamento per l’intera durata del viaggio.

Sul nostro sito trovate tutte le informazioni per eseguire correttamente il prelievo a questo link.

 

Zeugswetter FK and Haninger T.  Prednisolone dosages in Addisonian dogs after integration of ACTH measurement into treatment surveillance. Tierarztl Prax Ausg K Kleintiere Heimtiere 46(2): 90-96, 2018


Ipotiroidismo canino

Ipotiroidismo canino: e se la diagnosi fosse sbagliata?

 

Articolo su Ipotiroidismo canino

 

Poiché come si dice “le malattie non leggono i libri” non è sempre facile arrivare a una diagnosi “definitiva” poiché non sempre i risultati dei test che effettuiamo rappresentano un quadro appunto “da libro”. Questo a mio parere è particolarmente vero in corso di endocrinopatia.  E’ certamente capitato a molti di noi di mettere in discussione una diagnosi di ipotiroidismo precedentemente fatta da altri colleghi, ma anche da noi stessi! Molti pazienti non presentano quadri “da libro” (vedi TT4 basso, cTSH alto); a volte non è possibile disporre di tutti test diagnostici (fT4 in equilibrio dialitico, scintigrafia tiroidea, anticorpi anti tireoglobulina, test di stimolazione con TSH), altre volte la diagnosi si basa purtroppo sulla misurazione del solo TT4 che ha specificità piuttosto bassa (diminuzioni secondarie a patologie concomitanti non tiroidee, somministrazione di alcuni farmaci).

Comunque siano andate le cose, pur non avendo una diagnosi convincente, il cane è stato messo in terapia e per poter indagare nuovamente la funzionalità tiroidea, la terapia deve essere sospesa poiché la somministrazione di levotiroxina determina la soppressione dell’asse ipotalamo - ipofisi - tiroide anche nei cani eutiroidei.  Quanto tempo deve quindi trascorrere dalla sospensione?

Nell’articolo di Ziglioli et al. è stato dimostrato che in cani sani eutiroidei trattati con 26 ug/kg sid di levotiroxina per 16 settimane la funzionalità tiroidea torna alla normalità già dopo una settimana di sospensione.

Seppure questa sia già una utile indicazione, bisogna considerare che il lavoro è stato fatto su cani sani e che quindi non è detto che le conclusioni siano “trasferibili” a pazienti affetti da qualsiasi condizione patologica che potrebbero avere risposte differenti.  Inoltre il lavoro si è limitato a valutare un preciso dosaggio (che peraltro veniva aumentato o diminuito del 25% dopo la prima settimana di terapia al fine di portare nell’intervallo terapeutico consigliato la concentrazione di levotiroxina) e non è possibile sapere se i tempi di sospensione sarebbero diversi in caso di dosaggio superiore o di somministrazione BID.

Potete trovare l’articolo open access a questo link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28432797

  • Ziglioli V et al. Effects of Levothyroxine administration and withdrawal on the hypothalamic-pituitary-thyroid axis in euthyroid dogs. Journal of Veterinary Internal Medicine 31: 705-710, 2017