Perche’ sono importanti i parametri biochimici di un versamento?

Nell’esame di un versamento endocavitario (pleurico, peritoneale ed in minor misura pericardico) il solo esame citologico non sempre può dare risposte sull’esatta patogenesi della sua formazione; per migliorare le nostre possibilità diagnostiche diventa di fondamentale importanza integrarlo con altri test quali ad esempio la conta cellulare, la misurazione delle proteine totali o di altri parametri biochimici, l’esame colturale, il test di Rivalta, eventuali PCR per la ricerca di agenti infettivi, la citometria a flusso etc.  Utilizzando più test diventa più spesso possibile classificarlo non solo secondo la classificazione “tradizionale” (essudati, trasudati) ma anche secondo quella patogenetica, più recente e secondo il nostro parere assai più valida (per una trattazione approfondita di questa classificazione rimandiamo alla letteratura. Stockham L., Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Capitolo 19, seconda edizione, 2008).

Per quanto riguarda i parametri biochimici, quelli che riteniamo più utili e che routinariamente misuriamo su versamento presso il nostro laboratorio sono i seguenti:

  • Proteine totali
  • Bilirubina
  • Colesterolo e Trigliceridi
  • Creatinina
  • Lipasi totale

Tutti questi parametri possono essere determinati sul surnatante ottenuto dopo centrifugazione del campione raccolto in EDTA. Va premesso che sebbene siano ormai state fatte diverse pubblicazioni circa l’analisi biochimica dei versamenti cavitari, mancano dati circa l’accuratezza diagnostica di tali tests, per cui senza dati sufficienti che abbiano stabilito sensibilità, specificità e cut-offs di ciascuno, non è possibile determinare la loro reale affidabilità e pertanto devono essere tutti considerati come suggestivi per la tal condizione.

BILIRUBINA PER LA DIAGNOSI DI COLEPERITONEO

Devono essere misurate contestualmente bilirubina nel versamento e bilirubina sierica; nel caso in cui il rapporto bilirubina del versamento : bilirubina sierica risulti > 1 (vale a dire che il valore nell’effusione è più alto di quello sierico) si può ipotizzare con elevata probabilità una rottura delle vie biliari (COLEPERITONEO). Da un punto di vista citologico questo tipo di versamento è caratterizzato da elevata cellularità, con una popolazione mista di granulociti neutrofili non degenerati prevalenti, macrofagi e cellule mesoteliali reattive. La bile può essere visibile sullo sfondo come ammassi di materiale amorfo bluastro o come granuli verdastri-giallo oro all’interno del citoplasma delle cellule infiammatorie. Anche l’aspetto macroscopico è utile per formulare il sospetto diagnostico (aspetto verdastro-giallastro, spesso filante), sebbene sia possibile anche il caso di coleperitoneo secondario alla presenza della così detta bile bianca che non colora tipicamente di giallo-verde il versamento (ma in genere persiste l’aspetto mucoso).

COLESTEROLO E TRIGLICERIDI PER LA DIAGNOSI DI VERSAMENTO CHILOSO  

Trigliceridi superiori a 100 mg/dL o un rapporto colesterolo : trigliceridi del versamento < 1 (vale a dire un valore di trigliceridi nell’effusione più alto di quello del colesterolo) indicano nella maggior dei casi una natura chilosa e si può parlare di CHILOTORACE/CHILOADDOME. Solo in rari casi è possibile che un versamento non-chiloso abbia il rapporto < 1. Da un punto di vista citologico ricordiamo che tali versamenti sono caratterizzati dalla presenza di un elevato numero di piccoli e medi linfociti (> 50%); possono essere inoltre presenti macrofagi schiumosi e più rari granulociti neutrofili non degenerati e cellule mesoteliali reattive. La diagnosi di chilo può essere confermata esclusivamente misurando il rapporto colesterolo : trigliceridi, poiché è possibile avere versamenti in cui la popolazione prevalente è rappresentata da linfociti ma che hanno questo rapporto > 1, che vengono definiti appunto non chilosi.

CREATININA PER LA DIAGNOSI DI UROPERITONEO

Quando il rapporto tra creatinina del versamento e creatinina sierica contestuali è > 2 (vale a dire un valore nell’effusione almeno doppio rispetto a quello sierico) si può diagnosticare un uroperitoneo. Bisogna ricordare però che con il passare del tempo (2-3 giorni) a causa della diffusione della creatinina per gradiente di concentrazione, i valori di creatinina sierica e del versamento tenderanno ad essere simili. È importante perciò che le due misurazioni vengano effettuate nel più breve tempo possibile a partire dalla presunta rottura delle vie urinarie. Citologicamente, l’uroperitoneo può essere acellulare o più frequentemente può essere caratterizzato da una popolazione mista con prevalenza di granulociti neutrofili, occasionali macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

LIPASI PER LA DIAGNOSI DI PANCREATITE

Sebbene la letteratura sull’argomento sia piuttosto scarsa, è stato evidenziato in diverse pubblicazioni che se in corso di pancreatite acuta si sviluppa un versamento peritoneale il confronto tra lipasi sierica e lipasi nel versamento rappresenta un utile test diagnostico. Premesso che devono essere utilizzati o il metodo DGGR per la lipasi totale (in uso nel nostro laboratorio) oppure la lipasi pancreatica specifica, quando la lipasi nel versamento è molto elevata o molto superiore a quella sierica è probabile che le cellule pancreatiche stiano “versando” l’enzima nel versamento per rottura degli acini.  Citologicamente, questa effusione è caratterizzata da cellularità elevata e da una popolazione prevalente di granulociti neutrofili, da macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

Bibliografia:

  • De Arespacochaga G et al. Comparison of lipase activity in peritoneal fluid of dogs with different pathologies – A complementary diagnostic tool in acute pancreatitis? Journal of Veterinary Medicine. A, Physiology, Pathology, Clinical Medicine. 2006; 53: 119-122.
  • Zimmermann E, et al. Serum feline-specific pancreatic lipase immunoreactivity concentrations and abdominal ultrasonographic findings in cats with trauma resulting from high-rise syndrome. J Am Vet Med Assoc. 2013; 1;242(9):1238-43.
  • Liehmann LM et al. Pancreatic rupture in four cats with high-rise syndrome. J Feline Med Surg. 2012; 14(2):131-7.
  • Paltrinieri S, Bertazzolo W, Giordano A. Patologia clinica del cane e del gatto approccio pratico alla diagnostica di laboratorio. Prima edizione, 2010.
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • http://eclinpath.com/cytology/effusions-2/


Le Cellule di Foa- Kurloff

Osservando lo striscio ematico delle cavie (porcellini d’India) o dei capibara, oltre agli eterofili (che rappresentano la popolazione leucocitaria prevalente nei roditori e nei lagomorfi), i linfociti, gli eosinofili, e i monociti, si possono osservare le cellule di Foa – Kurloff. Sono cellule mononucleari contenenti nel citoplasma una singola inclusione citoplasmatica, di circa 1-8 um di diametro, eosinofilica, finemente granulare- fibrillare, che sposta il nucleo in posizione eccentrica; questa inclusione consiste in una struttura lisosomiale per lo stoccaggio di mucopolisaccaridi. Tali cellule rappresentano fisiologicamente il 3-4% delle cellule linfoidi e il 1-2 % di tutti i leucociti circolanti.

La loro funzione risulta essere ancora sconosciuta anche se si ipotizza che agiscano come linfociti natural killer o come difensori fetali che operano a livello placentare.

È riportato che fino ai 2-3 mesi di vita non vi è distinzione nella quantità tra maschi e femmine, ma successivamente vi è un aumento del numero circolante in seguito all’innalzamento del livello di estrogeni, e scompaiono in seguito a sterilizzazione.

Si possono trovare anche nel timo, nei polmoni, nella polpa rossa della milza di femmine gravide o sotto stimolazione degli estrogeni.

Bibliografia:

  • Hematological assessment in pet Guinea pigs (Cavia porcellus). Zimmerman K. et al. Vet Clin Exot Anim 18; 33–40. 2015
  • Schalm’s Veterinary Hematology. Weiss DJ, Wardrop KJ. Sixth edition. 2010
  • The Kurloff cells. Revell PA. International Review of Cytology. 51; 975-314. 1977


La Stima Piastrinica

Con stima piastrinica si intende il numero medio di piastrine osservate in almeno 10 campi ad immersione (1000x). Diversamente da come molti intendono, non si tratta di un “giudizio” personale espresso dal patologo clinico che mette insieme tutte le informazioni relative alle piastrine (conta strumentale, presenza/assenza e entità degli aggregati piastrinici, morfologia piastrinica), bensì di una vera e propria misurazione. Un recente studio di Paltrinieri et al. ha rilevato un’elevata variabilità del numero di piastrine per campo 1000x sia in base alla porzione di striscio ematico che si valuta microscopicamente, sia in base all’osservatore. Il monostrato centrale è la regione dello striscio dove vi è maggiore concordanza tra gli osservatori, mentre le altre regioni (coda e regioni laterali dello striscio) hanno maggior concordanza con la conta strumentale ma una concordanza inferiore tra gli osservatori. Tale elevata variabilità rende questa misurazione inaccurata, al punto che diverse misurazioni fatte da diversi operatori o in diverse aree dello striscio misclassificano il paziente che ad esempio può risultare trombocitopenico in una lettura ma in un’altra avere piastrine normali. Anche la conta strumentale può risultare inaccurata, soprattutto nel gatto e quando misurata con strumenti ad impedenza e non laser. Per queste ragioni è di fondamentale importanza che il numero di piastrine sia valutato sommando tutti i dati a disposizione (lettura strumentale, valutazione morfologica delle piastrine, presenza di aggregati e stima piastrinica). Per quanto riguarda il numero di piastrine per campo a 1000x, è possibile trovare in letteratura (sia su libri che su articoli) diverse tabelle che riportano intervalli di riferimento di specie piuttosto variabili, a conferma che, proprio a causa della moderata accuratezza della conta, diversi lavori hanno prodotto intervalli diversi, che per questa ragione devono essere considerati soltanto indicativi. Nel caso in cui il numero medio di piastrine contato sia superiore o inferiore all’intervallo adottato, la stima piastrinica viene definita inadeguata – aumentata, mentre se al di sotto inadeguata – diminuita.

Intervalli di riferimento secondo Stockham SL (Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology, I ed., 2002):

SPECIE

NON ADEGUATA

DIMINUITA

ADEGUATA

NON ADEGUATA

AUMENTATA

Cane≤910-25>30
Gatto≤1415-40>48
Cavallo≤45-17>21
Bovino≤45-40>48
Ovino≤1213-37>45
Caprino≤1415-30>36

La stima piastrinica può inoltre essere espressa come numero totale delle piastrine per microlitro moltiplicando il numero medio di piastrine ottenuto su 10 campi ad immersione 1000x per 15-20.000 (nel cane) o 20.000 (nel gatto). Ad esempio, un cane con una media di 12 piastrine per campo 1000x, presumibilmente avrà un numero di piastrine pari a 180.000-240.000/uL. Il numero di piastrine per microlitro corrisponderà al numero di piastrine contato dallo strumento nel caso in cui la lettura strumentale risulti accurata (ad esempio le piastrine non sono state erroneamente contate come eritrociti perché troppo grandi, o gli eritrociti come piastrine perché molto piccoli, oppure non sono presenti aggregati o coaguli in provetta).

Bibliografia:

  • Analytical variability of estimated platelet counts on canine blood smears. Paltrinieri et al. Vet Clin Pathol. 2018;47:197–204.
  • Estimation of platelet count of feline blood smear. Tasker et al. Vet Clin Path. 1999; 28; 2.
  • Estimating platelets and leukocytes on canine blood smears. Tvedten et al. Vet Clin Path. 1988; 17;1
  • Harvey JV. Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition Elsevier, 2012
  • Stockham SL and Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. First edition Blackwell, 2002
  • http://eclinpath.com/hematology/tests/platelet-count/


Biessea iperkaliemico ed ipocalcemico

Il mio paziente è davvero iperkaliemico ed ipocalcemico? Attenzione agli errori preanalitici!

 

Il kEDTA (acido etilendiamminotetracetico) è l’anticoagulante raccomandato ed utilizzato più comunemente nell’esame emocromocitometrico per la valutazione delle componenti cellulari e della loro morfologia sia in Medicina Veterinaria (come k3EDTA) che in Medicina Umana.

Spesso, nell’effettuare un prelievo di sangue venoso in un paziente, viene riempita prima la provetta per l’esame emocromocitometrico (per evitare che il sangue coaguli velocemente) e poi la provetta vuota/contenente gel per il siero. In questo modo però, può avvenire una contaminazione del siero con il kEDTA che determina contestualmente un aumento della concentrazione di Potassio K (iperkaliemia) ed una diminuzione della concentrazione di Calcio Ca (ipocalcemia). Tali alterazioni pre-analitiche, talvolta anche gravi e chiaramente incompatibili con la vita, sono artefattuali, non sono correlate ad altre alterazioni clinico-patologiche che potrebbero spiegarne la causa e rendono del tutto inaccurate le misurazioni del Potassio e del Calcio.

Il kEDTA contenuto nelle provette per l’esame emocromocitometrico contiene Potassio ed impedisce la formazione del coagulo chelando il Calcio. Inoltre produce legami covalenti anche con altri ioni (Magnesio, Zinco, Rame) e può inficiare la misurazione di altri parametri biochimici quali ALP (determinando valori più bassi), Ferro, UIBC, bicarbonato, ammonio, AST, ALT, LDH, CK ed amilasi.

Vi ricordiamo che anche un semplice contatto del cono della siringa con l’anticoagulante kEDTA (presente non solo sul fondo ma anche su tappo e pareti) può esitare in una contaminazione.

In Medicina Umana diversi articoli riportano questo errore pre- analitico con discreta frequenza, vale a dire nel 20% circa di tutti i campioni con iperkalemia, e consigliano sempre la misurazione del kEDTA nei sieri iperkaliemici (≥ 6 mmol/L). Tale errore può essere dovuto principalmente a 3 meccanismi:

  • Diretto trasferimento di sangue venoso dalla provetta con kEDTA in altre provette;
  • Contaminazione della siringa per contatto con l’anticoagulante kEDTA;
  • Rigurgito di sangue dalle provette sterili sottovuoto (sistema Vacutainer) nell’ago o addirittura in vena

Anche se non vi sono molti studi a riguardo, tale errore viene riscontrato anche in Medicina Veterinaria. Nel lavoro di Nielsen et al., in 74 campioni su 238 che avevano un rapporto sodio:potassio basso (circa il 31%) è stata sospettata una contaminazione con kEDTA (campioni con iperkalemia e ipocalcemia) e questi pazienti sono perciò stati esclusi dallo studio sul rapporto sodio:potassio.

Quando possiamo quindi sospettare che sia avvenuta questa contaminazione?

  • Quando ipocalcemia e iperkalemia sono talmente marcate da essere incompatibili con la vita o comunque talmente severe che dovrebbero dare una sintomatologia clinica grave e conclamata (ad esempio tremori, convulsioni, aritmie cardiache);
  • Quando non ci sono altre alterazioni biochimiche correlate a queste due alterazioni (ad esempio insufficienza renale acuta);
  • Quando anche se lievi, queste due alterazioni non trovano spiegazioni nel quadro clinico e clinico-patologico.

In questi casi l’unica soluzione per confermare la contaminazione resta ripetere il prelievo utilizzando esclusivamente la provetta da siero.

Il nostro Laboratorio consiglia nel caso in cui debbano essere inviati sia siero che sangue in k3EDTA, di riempire per prima la provetta per il siero.

Bibliografia:

  • Asif U et al. Preanalytical potassium EDTA sample contamination: oper versus closed phlebotomy system. Ann Clin Biochem 56(6): 711- 714, 2019
  • Chadwick K et al. kEDTA sample contamination: a reappraisal. J App Lab Med 3(6): 925- 935, 2019
  • Cornes MP et al. Spurious hyperkalaemia due to EDTA contamination: common and not always easy to identify. Ann Clin Biochem 45(6): 601- 603, 2008
  • Ijaz A et al. EDTA contamination in laboratory specimens- effect of an awareness campaign. J Coll Physicians Surg Pak 20 (6): 405- 407, 2010
  • Nielsen L et al. Low ratio of sodium to potassium in the serum of 238 dogs. Vet Rec 162 (14): 413- 435, 2008

Biessea L’insufficienza pancreatica esocrina (EPI)

Vitamina B12 e Folati: valore prognostico in corso di insufficienza pancreatica esocrina nel cane

insufficienza pancreatica esocrina (EPI)

L’insufficienza pancreatica esocrina (EPI) consiste in una inadeguata secrezione da parte del pancreas esocrino di enzimi pancreatici (tra cui lipasi, amilasi, tripsinogeno, chimotripsinogeno, carbossipeptidasi) e che portano a un’incompleta digestione dell’alimento e di conseguenza a un’inadeguata assunzione di nutrienti da parte del tratto digerente. Clinicamente, i cani affetti da questa patologia presentano perdita di peso con appetito conservato e feci poco formate.

Le cause dell’EPI possono essere:

  • l’atrofia degli acini del pancreas esocrino (ereditario, segnalato nei pastori tedeschi) causata da una distruzione linfocitica
  • una pancreatite cronica, idiopatica, che porta a una progressiva distruzione degli acini
  • un’ostruzione del dotto pancreatico che impedisce il rilascio degli enzimi pancreatici a livello intestinale

La diagnosi di EPI si effettua misurando il TLI (Trypsin Like Immunoreactivity): valori inferiori a 2.5 ug/L sono considerati diagnostici. I soggetti affetti da EPI sviluppano secondariamente alterazioni dell’apparato gastroenterico; la mancanza di enzimi pancreatici causa una riduzione della produzione di fattore intrinseco causando a sua volta un deficit nell’assorbimento di vitamina B12 a livello di ileo. Inoltre, la disbiosi intestinale è un reperto frequente.

Lo scopo di questo studio è di valutare i tempi di sopravvivenza dal momento della diagnosi utilizzando la vitamina B12 e i folati come fattori prognostici; nel primo caso è già noto in letteratura che valori di vitamina B12 < 350 ng/L al momento della diagnosi corrispondano a un fattore prognostico negativo (Batchelor et al. 2007).

Sono stati inseriti nello studio 229 cani con diagnosi di EPI e follow up noto (tempi di sopravvivenza tra 0.5 e 7.3 anni (media 4.4 anni)) e al momento della diagnosi nessuno prendeva integrazione enterale o parenterale di vitamina B12. Le razze maggiormente rappresentate sono pastori tedeschi, CKCS e rough coated collie.

Al momento della diagnosi:

  • La vitamina B12 era < 350 ng/L nel 55% dei soggetti (soprattutto soggetti anziani)
  • La vitamina B12 era > 850 ng/L nel 5% dei soggetti
  • I folati erano > 12 ug/L nel 67% dei soggetti
  • La vitamina B12 era < 350 ng/L e contemporaneamente i folati erano > 12 ug/L nel 34% dei soggetti

Dallo studio statistico si è evinto che:

  • Avere una concentrazione di vitamina B12 < 350 ng/L al momento della diagnosi rappresenta un fattore prognostico negativo.
  • Avere una concentrazione di folati > 12 ug/L è  un fattore prognostico positivo, probabilmente poiché oltre a identificare la presenza di disbiosi, testimonia che la capacità di assorbimento intestinale è ancora integra
  • Pazienti con ipocobalaminemia (B12 < 350 ng/L) e iperfolatemia (folati > 12 ug/L) associate hanno una prognosi migliore dei pazienti che presentano soltanto ipocobalaminemia.

Inoltre, altri fattori che possono ridurre i tempi di sopravvivenza sono il mancato supplemento di enzimi pancreatici e l’inappetenza al momento della diagnosi.

Bibliografia:

  • Soetart N. et al. Serum cobalamin and folate as prognostic factors in canine exocrine pancreatic insufficiency: An observational cohort study of 299 dogs. Vet Journal. Jan; 243:15-20. 2019
  • Batchelor et al. Prognostic factors in canine exocrine pancreatic insufficiency: prolonged survival is likely if clinical remission is achieved. J. Vet. Intern. Med. 21, 54–60. 2007.
  • Stockham S. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. 2008


Biessea - esame urine cani

Variabilità del peso specifico urinario in cani sani

Variabilità del peso specifico urinario in cani sani

L’esame delle urine è un test fondamentale per inquadrare un paziente da un punto di vista clinico-patologico, assieme agli esami ematobiochimici.

Il peso specifico urinario (PS) serve a valutare la capacità di concentrare le urine da parte dei tubuli renali e per valutare lo stato di idratazione di un soggetto.

In letteratura, è riportato che il PS può fluttuare nel corso della giornata e che può variare ad esempio in base alla quantità e qualità di cibo e alla quantità di acqua assunti; in genere si consiglia di raccogliere le prime urine del mattino poiché si presume siano quelle che riflettano meglio la capacità di concentrare le urine.

L’interpretazione di un singolo risultato di PS può non essere sempre facile per il fatto che non è possibile sapere se il valore ottenuto sia da considerarsi patologico oppure semplicemente un valore “estremo” della fisiologica variabilità biologica di un singolo individuo.

Lo scopo di questo studio è quello di valutare la variabilità del PS delle prime urine del mattino di 103 cani clinicamente sani che non siano stati sottoposti a trattamenti farmacologici e non siano stati malati nei sei mesi precedenti. I proprietari sono stati incaricati di raccogliere le urine per caduta per tre giorni consecutivi, per due settimane consecutive (totale 6 campioni dello stesso paziente).

I risultati di questo studio dimostrano che la differenza media tra il valore più basso e il valore più alto di PS nello stesso individuo nell’arco delle due settimane è di 0.015; ciò significa che lo stesso soggetto può avere, in media, una mattina 1030 e la mattina successiva 1015. Si tratta di una differenzia media, per cui sono previste differenze sia minori che maggiori di questo valore.

I limiti di questo studio sono che son state analizzate urine di soggetti clinicamente sani ma non valutati da un punto di vista clinico-patologico (non hanno effettuato altri esami di laboratorio) e quindi non si ha la certezza di aver escluso patologie occulte soprattutto nei soggetti più anziani; inoltre non sono state indagate urine di soggetti con poliuria e polidipsia per valutare se questa stessa variabilità può essere valida anche all’interno di un quadro patologico.

Questa importante variabilità individuale deve essere tenuta in considerazione quando si interpreta un singolo valore di PS prima di attribuire ad esso un significato di normalità oppure patologico. Valutare nell’insieme più valori ottenuti da diversi campioni può essere di aiuto al clinico per meglio inquadrare il paziente e decidere di conseguenza di intraprendere iter diagnostici e terapeutici.

 

RudinskyA. et al. Variability of first morning urine specific gravity in 103 healthy dogs. J Vet Intern Med. Sep;33(5):2133-2137, 2019


Biessea ACTH ENDOGENO

ACTH endogeno: monitoraggio terapeutico nei pazienti addisoniani

L’ipoadrenocorticismo spontaneo primario (Morbo di Addison) è una patologia endocrina su base immunomediata che richiede una terapia di mantenimento con mineralcorticoidi e glucocorticoidi a vita. Nel trattamento del morbo di Addison il principale glucocorticoide utilizzato è il prednisolone, ma in letteratura non sono riportate chiare linee guida riguardo al dosaggio nella fase di mantenimento del paziente e le eventuali variazioni di posologia sono generalmente basate solo su rilievi clinici (solitamente per evitare un possibile Cushing iatrogeno).

In questo interessante articolo che vi proponiamo, è stata introdotta la MISURAZIONE DELL’ACTH ENDOGENO (eACTH) nel controllo della terapia in cani affetti da Morbo di Addison per cercare di determinare la dose finale di prednisolone il più possibile simile alle concentrazioni fisiologiche. I pazienti inclusi nel gruppo di studio sono statti trattati con prednisolone (dosaggio iniziale 0,2 mg/kg BID) in associazione a fludrocortisone (dosaggio iniziale 0,01 mg/kg BID).

Lo studio retrospettivo di Zeugswetter e Haninger ha dimostrato che l’introduzione della misurazione della concentrazione di eACTH può aiutare ad ottimizzare la terapia steroidea nei pazienti affetti da morbo di Addison, con lo scopo di arrivare alla dose più bassa possibile comunque in grado di evitare la ricomparsa dei segni – sintomi di Addison.

Al momento della diagnosi tutti i pazienti hanno eACTH molto elevato; al momento delle dimissioni, avendo cominciato la terapia con prednisolone tutti i pazienti presentano invece eACTH completamente soppresso, al punto da non essere misurabile.

La misurazione dell’eACTH nei successivi monitoraggi viene suggerito poiché:

  • un valore di eACTH al di sotto del limite di rilevabilità (non misurabile) esclude con elevata probabilità un sottodosaggio;
  • il dosaggio di prednisolone può essere aggiustato fino a quando scompaiono eventuali sintomi di un sovradosaggio (Cushing iatrogeno) e quando il valore di eACTH supera il limite di rilevabilità, quindi risulta essere misurabile.

Tuttavia, il principale limite nell’utilizzare l’eACTH come marker per il controllo della terapia nei pazienti Addisoniani è la sua estrema instabilità: anche se conservato refrigerato degrada rapidamente entro 24 ore dal prelievo (falsi decrementi).

Per la misurazione dell’eACTH è necessario raccogliere il sangue in provette con EDTA, centrifugare immediatamente, separare il plasma in una provetta vuota e congelarlo. Nel caso in cui il campione così congelato riesca a giungere in laboratorio entro poche ore è sufficiente spedirlo refrigerato (con siberino o apposito imballaggio da richiedere in laboratorio). Nel caso in cui invece il campione debba viaggiare con corriere nazionale, deve esserne garantito il congelamento per l’intera durata del viaggio.

Sul nostro sito trovate tutte le informazioni per eseguire correttamente il prelievo a questo link.

 

Zeugswetter FK and Haninger T.  Prednisolone dosages in Addisonian dogs after integration of ACTH measurement into treatment surveillance. Tierarztl Prax Ausg K Kleintiere Heimtiere 46(2): 90-96, 2018


linfocitosi matura 2

Linfocitosi Matura nel Cane e nel Gatto

linfocitosi matura 2

I linfociti sono la seconda popolazione numericamente presente nel sangue sia nel cane che nel gatto. La linfocitosi è un’alterazione abbastanza aspecifica e si verifica in corso sia di condizioni “parafisiologiche” sia in corso di patologie parassitarie, virali, batteriche, neoplastiche, endocrine ed immunomediate. Indagare questa alterazione ematologica avendo un ventaglio ampio di ipotesi diagnostiche, può essere una sfida per il clinico.

Quale è l’approccio diagnostico consigliato in corso di linfocitosi matura? Specifichiamo matura perché è evidente che la presenza di linfociti immaturi, atipici orienta verso differenziali unicamente neoplastiche. Dobbiamo innanzitutto rispondere a queste domande:

Di che entità numerica è la linfocitosi?

Aumenti lievi e moderati hanno numerose diagnosi differenziali, ma aumenti molto marcati (maggiori di 50-60.000 linfociti/microlitro) restringono il campo alle forme neoplastiche (leucemia linfocitica cronica, linfoma di basso grado V stadio).

Il paziente presenta un quadro clinico e clinico-patologico che possono chiaramente spiegarci la linfocitosi?

Il dato deve sempre essere interpretato insieme a segnalamento, anamnesi, quadro clinico e altri dati clinico-patologici avendo in mente l’elenco delle possibili diagnosi differenziali (vedi sotto).

La linfocitosi è persistente e/o ingravescente?

Quando viene rilevata una linfocitosi inspiegabile (paziente asintomatico oppure non è possibile identificare una causa), il primo passo è ripetere nel tempo l’esame emocromocitometrico per valutarne l’andamento. Linfocitosi transitorie parafisiologiche sono ad esempio quelle post-vaccinali, quelle del cucciolo (intervalli di riferimento diversi dall’adulto) o quelle secondarie al rilascio di catecolamine (nel gatto, in seguito a stress acuto). Una linfocitosi persistente anche in assenza di segni o sintomi clinici deve sempre essere approfondita. Nel caso in cui il numero dei piccoli linfociti tenda ad aumentare nel tempo, è più probabile che si tratti di una forma neoplastica.

Le cause di linfocitosi matura sono:

  • Fisiologica, legata all’età (cuccioli e gattini)
  • Indotta da stress acuto (gatto)
  • Reazione immunitaria post vaccinale
  • Patologie parassitarie (es: Leishmania, Toxoplasma, Babesia, Spirocerca lupi)
  • Patologie batteriche (es: Bartonella henselae (gatto) ed Ehrlichia)
  • Patologie virali (es: FeLV)
  • Anemia emolitica immunomediata (gatto)
  • Linfoma a piccole cellule V stadio
  • Leucemia linfocitica cronica (CLL)
  • Timoma
  • Morbo di Addison
  • Ipertiroidismo (gatto)

Linfocitosi inspiegabili e citometria a flusso

In assenza di condizioni cliniche e/o alterazioni clinico- patologiche (ivi compresi test per malattie infettive negativi ad esempio) che indirizzino verso una delle diagnosi differenziali qui sopra elencate e dopo aver confermato la persistenza della linfocitosi matura, il test meno invasivo e che può fornirci indicazioni essenziali è l’immunofenotipizzazione mediante citometria a flusso. Attraverso questa analisi è possibile nella maggior parte dei casi distinguere le linfocitosi reattive (infiammatorie, infettive) da quelle neoplastiche e in alcuni casi, in presenza di determinati fenotipi, giungere a una diagnosi definitiva (linfoma, leucemia). Nei casi in cui l’immunofenotipizzazione non fornisca risposte definitive, è consigliabile richiedere l’analisi della clonalità linfoide (PARR).

 

Bibliografia:

  • Schalm’s Veterinary Hematology. Weiss DJ, Wardrop KJ. Sixth edition. 2010
  • Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Colour Atlas. Harvey JV. First Edition. 2012
  • Avery AC, Avery PR. Determining the significance of persistent lymphocytosis. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2007 Mar; 37(2):267-82, vi.

 

 


agglutinaziner salina + caldo

Agglutina o non agglutina? Questo è il dilemma! Lavaggio degli eritrociti con soluzione fisiologica (Saline Agglutination Test)


La diagnosi di anemia emolitica immunomediata (IMHA) si basa sulla presenza di una serie di alterazioni clinico-patologiche che tanto più sono presenti tanto più la supportano. Tra le più importanti ricordiamo:

  • Presenza di sferociti (solo cane)
  • Presenza di ghost cells (cane e gatto)
  • Agglutinazione
  • Iperbilirubinemia, bilirubinuria
  • Policromasia (rigenerazione)
  • Test di Coombs o anticorpi anti eritrociti positivi

La diagnosi viene considerata “facile” quando sono presenti più di 2-3 di queste alterazioni. Sfortunatamente esistono casi seppur meno frequenti in cui nessuna di esse è presente, come ad esempio in corso di IMHA nei confronti dei precursori midollari.

Tra quelle citate forse la più importante e dotata di maggiore specificità per IMHA è la presenza di autoagglutinazione. Il principio per il quale si sviluppa agglutinazione è che gli eritrociti ricoperti di antigeni e anticorpi si “appiccicano” in modo piuttosto forte tra di loro, venendo a formare dei grappoli più o meno voluminosi. Se ne può sospettare la presenza osservando macroscopicamente il campione in provetta (FOTO 1), oppure mettendo un paio di gocce di sangue su un vetrino (FOTO 2); anche la lettura strumentale del campione risulta frequentemente alterata, con presenza di macrocitosi estrema e aumento inverosimile di MCHC.  In tutti questi casi la sospetta agglutinazione deve essere confermata eseguendo un lavaggio con soluzione fisiologica; questo test serve ad escludere che possa trattarsi di pseudo-agglutinazione (FOTO 3), causata dalla presenza di rouleaux (FOTO 4).

Si tratta di un test di facile esecuzione, che ciascuno può effettuare presso la propria struttura. La corretta procedura prevede di miscelare sangue da provetta EDTA con soluzione fisiologica in rapporto da 1:4 a 1:10; per non inondare il vetrino conviene utilizzare una eppendorf vuota, poi risospendere il campione e porre una goccia su vetrino. A questo punto sulla goccia viene posto un coprioggetto e il vetrino viene osservato al microscopio chiudendo il diaframma (come quando si esamina il sedimento urinario). In caso di pseudoagglutinazione gli eritrociti si staccano uno dall’altro e fluttuano liberi nella soluzione (FOTO 5), mentre in caso di agglutinazione si visualizzano ancora i grappoli (FOTO 6).

Rilevare la presenza di agglutinazione è estremamente utile per indirizzare il sospetto diagnostico: alcuni lavori hanno stabilito per questo test una specificità molto elevata (85-100%), che significa che è estremamente improbabile che un paziente che agglutina non abbia una IMHA (falso positivo). Viceversa, un test negativo non consente di escludere del tutto un’emolisi immunomediata poiché in non rari casi non sono presenti immunoglobuline in grado di formare legami forti. Un test di agglutinazione positivo consente anche di evitare ulteriori approfondimenti quali il test di Coombs o la ricerca di anticorpi anti-eritrocita, test che invece sono fortemente consigliati quando vi è il sospetto di IMHA ma non sono presenti le alterazioni classiche sopraelencate.

Bibliografia:

  • Garden OA et al. ACVIM consensus statement on the diagnosis of immune- mediated hemolytic anemia in dogs and cats. 2019. J Vet Intern Med.;1–22.
  • Caviezel LL, Raj K, Giger U. Comparison of 4 direct Coombs' test methods with polyclonal antiglobulins in anemic and nonanemic dogs for in-clinic or laboratory use. 2014 J Vet Intern Med. 28:583-591.
  • Paes G. et al.The use of the rapid osmotic fragility test as an additional test to diagnose canine immune-mediated haemolytic anaemia. Acta Vet Scand; 55:74.
  • http://eclinpath.com/hematology/morphologic-features/red-blood-cells/patterns/

Ipotiroidismo canino

Ipotiroidismo canino: e se la diagnosi fosse sbagliata?

 

Articolo su Ipotiroidismo canino

 

Poiché come si dice “le malattie non leggono i libri” non è sempre facile arrivare a una diagnosi “definitiva” poiché non sempre i risultati dei test che effettuiamo rappresentano un quadro appunto “da libro”. Questo a mio parere è particolarmente vero in corso di endocrinopatia.  E’ certamente capitato a molti di noi di mettere in discussione una diagnosi di ipotiroidismo precedentemente fatta da altri colleghi, ma anche da noi stessi! Molti pazienti non presentano quadri “da libro” (vedi TT4 basso, cTSH alto); a volte non è possibile disporre di tutti test diagnostici (fT4 in equilibrio dialitico, scintigrafia tiroidea, anticorpi anti tireoglobulina, test di stimolazione con TSH), altre volte la diagnosi si basa purtroppo sulla misurazione del solo TT4 che ha specificità piuttosto bassa (diminuzioni secondarie a patologie concomitanti non tiroidee, somministrazione di alcuni farmaci).

Comunque siano andate le cose, pur non avendo una diagnosi convincente, il cane è stato messo in terapia e per poter indagare nuovamente la funzionalità tiroidea, la terapia deve essere sospesa poiché la somministrazione di levotiroxina determina la soppressione dell’asse ipotalamo - ipofisi - tiroide anche nei cani eutiroidei.  Quanto tempo deve quindi trascorrere dalla sospensione?

Nell’articolo di Ziglioli et al. è stato dimostrato che in cani sani eutiroidei trattati con 26 ug/kg sid di levotiroxina per 16 settimane la funzionalità tiroidea torna alla normalità già dopo una settimana di sospensione.

Seppure questa sia già una utile indicazione, bisogna considerare che il lavoro è stato fatto su cani sani e che quindi non è detto che le conclusioni siano “trasferibili” a pazienti affetti da qualsiasi condizione patologica che potrebbero avere risposte differenti.  Inoltre il lavoro si è limitato a valutare un preciso dosaggio (che peraltro veniva aumentato o diminuito del 25% dopo la prima settimana di terapia al fine di portare nell’intervallo terapeutico consigliato la concentrazione di levotiroxina) e non è possibile sapere se i tempi di sospensione sarebbero diversi in caso di dosaggio superiore o di somministrazione BID.

Potete trovare l’articolo open access a questo link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/28432797

  • Ziglioli V et al. Effects of Levothyroxine administration and withdrawal on the hypothalamic-pituitary-thyroid axis in euthyroid dogs. Journal of Veterinary Internal Medicine 31: 705-710, 2017