IL REFERTO ISTOLOGICO - Parte II: Pattern cellulari e descrizione dello stroma

Proseguendo la serie delle “pillole” dedicate alle parti strutturali del referto istologico passiamo ad altre componenti della descrizione microscopica che seguono la cosiddetta “subgross description”, iniziando dal concetto di pattern o disposizione spaziale delle cellule che compongono una lesione neoplastica e dalla descrizione della sua componente stromale.

Il pattern fornisce indicazioni utili relativamente ai rapporti spaziali tra le cellule neoplastiche (ad esempio legate alla presenza/assenza di coesività cellulare) e tra le cellule e le componenti tissutali extracellulari (che, come vedremo più avanti, concorrono a formare il cosiddetto stroma neoplastico).

Mettiamo in evidenza, inoltre, il fatto che le neoplasie mesenchimali vengano talvolta poste in diagnosi differenziale con forme di proliferazione cellulare di tipo reattivo (fibroplasia reattiva, reazioni cicatriziali…). Per questo motivo risulta utile, ai fini diagnostici, la considerazione che nelle forme reattive è spesso apprezzabile una differente “organizzazione zonale” con un gradiente maturativo. Nei casi di fibroplasia reattiva focale, ad esempio, i fibroblasti in attività proliferativa tendono a circondare una zona centrale ipocellulare.

Vediamo ora, sulla base delle diverse linee cellulari di origine delle neoplasie, quali sono le tipologie di pattern più frequentemente riscontrabili a livello istologico:

 

  1. Neoplasie epiteliali (caratterizzate generalmente da elevata coesività tra gli elementi cellulari)
  • nidi, lobuli, tappeti solidi, pacchetti, trabecole e cordoni
  • se con differenziazione ghiandolare anche strutture tubulari, acinari, papillari, follicolari

 

  1. Neoplasie mesenchimali (a cellule fusate, con coesività solitamente da moderata a scarsa):
  • fasci o fascicoli, setti, organizzati in maniera fascicolata parallela o intrecciata, a spina di pesce, con distribuzione radiale, ‘ad impronta’, con andamento vorticoso
  • ad organizzazione perivascolare (ad esempio con interposizione di piccoli vasi ramificati “a corna di cervo” o ad aspetto “placentoide”, oppure ad aspetto capillare o cavernoso, o fissuriformi, dissecanti)
  • ad organizzazione perineurale (ad esempio con allineamento dei nuclei “a palizzata” in aree densamente cellulari cosiddette di tipo Antoni A, oppure in aree a tessitura lassa di tipo Antoni B, con formazione di palizzate tra loro separate da aree anucleari dette corpi di Verocay, o ancora con andamento vorticoso o con formazione di strutture che richiamano piccole radici nervose)
  • con altri pattern come quello alveolare, con aderenza di elementi neoplastici periferici a setti fibrosi e perdita di coesività in aree centrali simili a spazi alveolari, come in alcune forme di rabdomiosarcoma

 

  1. Neoplasie rotondocellulari (formate da cellule “discrete” ovvero senza coesività cellulare):
  • foglietti o filiere-cordoni privi di coesività cellulare

 

Assieme al pattern cellulare si valuta anche la componente stromale della neoplasia, ovvero il tessuto connettivale interposto agli elementi neoplastici stessi e/o alle aree di proliferazione neoplastica o a loro sostegno. Lo stroma può essere semplicemente un tessuto collagenico preesistente, composto da esili fasci di materiale extracellulare ad aspetto fibrillare eosinofilo (fasci di collagene appunto) con interposizione di un quantitativo variabile di elementi cellulari ad aspetto fibrocitico, oppure può avere aspetti peculiari, ad esempio di ialinizzazione o con accumulo di matrice extracellulare ad aspetto lasso e debolmente bluastro riferibile a matrice mixoide, oppure può essere di tipo fibrovascolare e a tessitura lassa, con presenza di piccoli vasi ematici interposti.

Talvolta, infine, si osserva anche la deposizione, tra gli elementi neoplastici, di sostanze particolari e rinonoscibili sulla base delle loro caratteristiche alla colorazione di routine con ematossilina-eosina e con l’ausilio di colorazioni speciali istochimiche (ad esempio colorazione Rosso Congo ed osservazione a luce polarizzata per l’amiloide, colorazione Alcian blu per le mucine acide etc…), oppure la deposizione di matrice osteoide, cemento, dentina.

Sia il pattern o distribuzione degli elementi cellulari, sia le caratteristiche dello stroma, sono tessere fondamentali per comporre il “puzzle” morfologico che guida il patologo alla diagnosi ed in quanto tali sono componenti chiave del referto istologico stesso.

Nelle prossime “pillole di istologia” vedremo insieme, una ad una, le restanti tessere del “puzzle diagnostico” spiegandone di volta in volta l’importanza.

 

Dr.ssa Gaia Vichi – DVM, Dipl.ECVP

 


IL REFERTO CITOLOGICO - Parte VII: Popolazioni infiammatorie

I processi infiammatori in citologia sono classificati in base ai tipi cellulari presenti; possiamo riscontrare nei preparati citologici flogosi costituite da una popolazione singola (es. flogosi neutrofilica, flogosi eosinofilica, etc…) o da diversi tipi cellulari (flogosi mista). A seconda delle cellule infiammatorie presenti, è possibile avanzare un’ipotesi sull’eziologia della lesione.

Ora vediamo nel dettaglio i diversi tipi cellulari che possono figurare nei processi flogistici.

 

GRANULOCITI NEUTROFILI

Queste cellule, così come le altre cellule infiammatorie, non devono essere descritte nel dettaglio (es. caratteristiche del citoplasma, del nucleo etc); è importante invece segnalare se sono presenti aspetti degenerativi o se i granulociti neutrofili appaiono ben conservati (= non degenerati). Gli aspetti degenerativi appaiono a carico del nucleo: picnosi (condensazione della cromatina nucleare in una o più “sfere” intensamente colorate in cui non è più riconoscibile il pattern cromatinico), cariolisi (lobi nucleari aumentati di volume che confluendo tra loro, assumono un aspetto omogeneo e un colore più chiaro), carioressi (frammentazione nucleare). La presenza di gravi segni degenerativi suggerisce un’eziologia più probabilmente settica. Inoltre, è importante segnalare se i granulociti neutrofili appaiono in fagocitosi di un’agente infettivo (es. batteri) o di altro materiale (es. detrito cellulare). Le flogosi neutrofiliche possono essere presenti, oltre che in corso di infezioni  batteriche, anche di infezioni fungine, protozoarie, in conseguenza di reazioni da corpo estraneo da materiale esogeno o endogeno come la cheratina (solitamente in associazione ad altri tipi cellulari come macrofagi, cellule epitelioidi, cellule giganti multinucleate), in seguito a un processo neoplastico (es. carcinoma squamocellulare), a necrosi, e a processi immunomediati (es. artosinovite immunomediata). Sebbene non si dovrebbe menzionare ciò che non si osserva in un preparato citologico (es. “non sono presenti agenti eziologici”), tuttavia è possibile aggiungere una frase per specificare che la presenza di agenti eziologici non è evidente.

N.B.: che non sia stato possibile osservare agenti eziologici nel campione, non ci consente di concludere che la flogosi sia sterile! Se la massiccia presenza di granulociti neutrofili suggerisce un’infezione, è opportuno consigliare un esame colturale nel commento.

Figura 1: Gatto, versamento toracico. Essudato settico; i granulociti neutrofili appaiono gravemente degenerati e si osservano numerosi batteri di forma coccoide sparsi sul fondo (40x, MGG).

Figura 2. Cane, ago infissione neoformazione cutanea dorso. Flogosi neutrofilica, reazione da corpo estraneo alla cheratina (rottura di cisti follicolare pigmentata – 10x, MGG).

 

GRANULOCITI EOSINOFILI

I granulociti eosinofili sono caratterizzati da granuli intracitoplasmatici di color rosa brillante; la forma di tali granuli inoltre consente di identificare la specie d’appartenenza (es. tondeggianti nel cane, bastoncellari nel gatto). Flogosi prettamente eosinofiliche hanno più spesso un’eziologia allergica/ da ipersensibilità e parassitaria; inoltre possono essere associate a condizioni neoplastiche (es. mastocitoma, linfoma) e a condizioni idiopatiche – sconosciute come la broncopolmonite e meningoencefalite eosinofiliche.

Figura 3. Gatto, BAL. Flogosi eosinofilica (40x, MGG).

 

LINFOCITI e PLASMACELLULE

Le flogosi linfocitiche – linfoplasmacellulari sono caratterizzate dalla prevalenza di piccoli e medi linfociti e plasmacellule. Tali reperti sono da considerarsi piuttosto aspecifici; possono essere secondari a reazioni allergiche o immunomediate, infezione virali, protozoarie (es. Leishmaniosi) o flogosi croniche; possono essere riscontrati in noduli cutanei in corso di istiocitoma in regressione e in seguito a punture di insetto. La presenza di piccoli linfociti come popolazione unica non consente di escludere un processo linfoproliferativo di basso grado per il quale sono necessari ulteriori approfondimenti diagnostici (es. PARR, esame istologico con indagini immunoistochimiche).

Figura 4. Cane, ago infissione nodulo cutaneo padiglione auricolare. Flogosi linfoplasmacellulare (40x, MGG).

 

MASTOCITI

Possono essere osservati (in numero ridotto) in associazione a granulociti eosinofili nelle condizioni sopra descritte. Se sono presenti come popolazione singola o prevalente, è più probabile che si tratti di un processo neoplastico (mastocitoma).

Figura 5. Cavallo, BAL. Flogosi mista a carattere eosinofilico e mastocitico (mild to moderate equine asthma – 40x, MGG).

 

MACROFAGI

I macrofagi possono provenire dal torrente circolatorio (monociti) oppure essere residenti di un tessuto (es. cellule di Kupffer nel fegato). Possono assumere differenti aspetti morfologici a seconda del tessuto in cui si trovano e in base all’eziologia del processo flogistico; possono apparire con citoplasma schiumoso (es. macrofagi alveolari) e, nelle lesioni croniche – granulomatose, assumere un aspetto tale da essere definiti “epitelioidi”, ovvero con citoplasma ampio ed uniforme, di forma poligonale, spesso tendenti alla coesività tanto da conferirgli un aspetto simile alle cellule epiteliali. I macrofagi epitelioidi sotto l’influenza di citochine infiammatorie possono fondersi tra loro a formare cellule giganti multinucleate, che si riscontrano nei granulomi da reazione da corpo estraneo.

Gli aspetti pleomorfi che queste cellule assumono possono indurre talvolta a considerarli come cellule neoplastiche.

I macrofagi sono in genere  presenti in associazione ai granulociti neutrofili (flogosi miste,  croniche o subacute); essendo cellule con capacità fagocitica, si possano osservare in fagocitosi di agenti eziologici (ife – spore fungine, protozoi, micobatteri), eritrociti (eritrofagocitosi recente e non recente in base alla presenza intracitoplasmatica di eritrociti intatti o di prodotti di degradazione dell’emoglobina), altre cellule (citofagocitosi), e materiale esogeno (materiale giallo-verdastro in corso di coleperitoneo).

Figura 6. Cavallo, BAL. Eritrofagocitosi recente (sinistra) e non recente (emosiderina, a destra) (40x, MGG).

Figura 7. Cane, ago infissione neoformazione cutanea braccio. Flogosi macrofagica da infezione da Mycobacterium spp. (100x, MGG).

Figura 8. Cane, ago infissione neoformazione cutanea. Cellula gigante multinucleata, reazione da corpo estraneo (100x, MGG).

Figura 9. Gatto, ago aspirazione neoformazione endoaddominale. Flogosi mista a prevalente carattere macrofagico e neutrofilico. Si osservano macrofagi di aspetto epitelioide (granuloma, sospetta peritonite infettiva felina – 10x, MGG).

 

Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP

 

Bibliografia:

  • Meinkoth JH et al. Chapter 2: Cell types and Criteria of Malignancy. In: Cowell and Tyler’s Diagnostic Cytology and Hematology of the dog and the cat. Fifth edition. Elsevier. 2020.
  • Raskin R. Chapter 2: General Categories of Cytologic Interpretation. In: Raskin and Meyer. Canine and Feline cytology: a color atlas and interpretation guide. Third edition. Elsevier. 2016


IL REFERTO ISTOLOGICO: Parte I: dall'identificazione del caso alla descrizione microscopica "subgross"

Con questa pillola di istologia si apre una serie dedicata alla spiegazione delle varie parti di cui si compone un referto istologico.

Ciò permette una migliore comprensione della struttura e dei dettagli del referto stesso, anche da parte di chi normalmente non si occupa di patologia e rende più facile spiegare il referto anche ai proprietari degli animali.

Iniziamo a vedere insieme le varie parti che compongono il REFERTO ISTOLOGICO:

A. I primi dati che vengono riportati su ogni referto istologico sono quelli relativi all’identificazione del caso (data di accettazione, numero di referto, data di refertazione, dati del proprietario e del Medico Veterinario referente), seguiti dai dati di segnalamento del soggetto (specie, razza, sesso, età), oltre al numero progressivo di inclusione dei campioni.

B. Segue quindi un campo che riporta i dati forniti dal clinico in merito alla descrizione del materiale inviato e all’anamnesi: ovviamente i dati saranno tanto più ricchi ed esaustivi ed utili al patologo stesso quanto più sarà dettagliata la descrizione del caso e del materiale inviato fatta dal clinico. Per questo vi invitiamo a consultare, seguendo il link riportato in seguito, una delle nostre passate “Pillole di istologia” relativa alla corretta compilazione del modulo di richiesta per gli esami istologici: L'importanza della corretta compilazione del modulo di richiesta dell'esame istopatologico - Biessea

C. Entrando nella sezione descrittiva, il primo campo che troveremo sarà quello della Descrizione Macroscopica del campione o dei campioni; vediamo quindi quali possono essere le informazioni qui riportate ed il loro significato:

  1. Tipo di campionamento: biopsia incisionale (il che significa che il campione è rappresentativo solo di una parte della lesione) eseguita mediante punch bioptico, o mediante ago bioptico o con altro mezzo chirurgico, biopsia escissionale (ovvero campione rappresentativo della lesione in toto), biopsie endoscopiche etc…
  2. Dimensioni del campione: vengono indicate le dimensioni post-fissazione, che possono risultare lievemente inferiori rispetto a quelle del campione appena escisso.
  3. Informazioni relative ai margini: vengono riportate ogni qual volta possibile, sulla base delle indicazioni fornite dal clinico sull’eventuale orientamento spaziale dei margini del campione (ad esempio con un diverso numero di punti da sutura o con colori acrilici o inchiostri diversi posti sui vari margini del campione). Tali indicazioni sono poi utilizzate dal patologo durante la lettura istologica dei preparati per la valutazione dei margini chirurgici, che può essere effettuata grazie a varie metodiche di trimming (idonee alla tipologia del campione stesso).

Nota bene: relativamente alla corretta indicazione dei margini chirurgici (nel caso si sia effettuata un’exeresi completa di una lesione e si intenda richiederne appunto la valutazione dei margini di escissione) vi invitiamo a consultare una delle nostre passate “Pillole di istologia” dedicata a tale argomento: Come indicare correttamente i margini chirurgici al laboratorio - Biessea

D. Ed ora iniziamo finalmente ad entrare “nel cuore” di un referto istologico, ovvero nella sezione dedicata alla Descrizione Microscopica:

La descrizione microscopica si compone fondamentalmente di 7 paragrafi per le lesioni neoplastiche, con alcuni punti descrittivi in comune con le lesioni non neoplastiche (come ad esempio quelle infiammatorie).

In questa prima “Pillola di istologia” dedicata alle parti del referto istologico analizzeremo il primo di questi paragrafi, rimandando gli altri “alle prossime puntate” e nel corso di queste, dopo aver parlato dei punti descrittivi delle lesioni neoplastiche, tratteremo nel dettaglio la descrizione di quelle non neoplastiche.

I. Descrizione Microscopica, prima parte: descrizione “sub-macroscopica” o “subgross”.

In questo paragrafo il patologo indica quanto osservabile relativamente al campione e alle lesioni in esso presenti valutando i preparati ad un basso ingrandimento, ovvero solitamente con obiettivi 2,5x oppure 4x. I parametri valutabili a questo ingrandimento sono i seguenti:

  1. Organo/i tessuto/i coinvolti, localizzazione esatta delle lesioni e loro distribuzione: ad esempio potremmo indicare che la lesione o le lesioni coinvolgono come organo la cute ed in particolare il derma superficiale e medio (risparmiando il derma profondo ed il sottocute). Ovviamente nella maggior parte dei casi il clinico sa già perfettamente quale sia l’organo coinvolto da una lesione, ma può capitare, ad esempio per lesioni intracavitarie soprattutto intra-addominali che non sia immediatamente chiaro a livello macroscopico, durante la chirurgia, quale sia la sede di origine di una lesione occupante spazio. Inoltre, indicare la localizzazione esatta di un processo patologico, consente di individuare con precisione il coinvolgimento stratigrafico nel caso di organi con una precisa stratigrafia (come la cute e gli organi cavi). Soprattutto per le lesioni non neoplastiche, ad esempio infiammatorie, si indica anche il loro pattern di distribuzione: ad esempio diffuso, disseminato, multifocale, multifocale-confluente.
  2. Dimensioni/estensione delle lesioni: possono essere indicate le dimensioni assolute della lesione (come spesso si fa nel caso di masse neoplastiche) o relative, riportando la percentuale di tessuto campionato coinvolto.
  3. Forma: la forma delle lesioni viene indicata nel caso di neoplasie ed altre lesioni occupanti spazio. Una massa, ad esempio, può avere forma rotondeggiante o globosa, ovoidale, allungata, a placca, concava, cupoliforme, polipoide, con base di impianto peduncolata o sessile.
  4. Aspetto capsulato o non capsulato o con pseudocapsula composta da tessuto connettivale compresso dall’espansione della lesione.
  5. Demarcazione: si indica se la lesione è ben delimitata, moderatamente delimitata, scarsamente delimitata o non delimitata.
  6. Tipo di crescita: comportamento espansivo o infiltrante a carico del tessuto in cui si sviluppa la lesione.
  7. Densità cellulare: questo parametro si indica sia per le lesioni neoplastiche che per altre lesioni, ad esempio nel caso di un infiltrato infiammatorio.

 

Dr.ssa Gaia Vichi - DVM, Dipl.ECVP


IL REFERTO CITOLOGICO - Parte VI: Citoarchitetture

Con “citoarchitettura” si intende l’organizzazione – disposizione che le cellule assumono nei preparati citologici, suggerendo la natura del tessuto da cui originano. Questo aspetto microscopico può essere osservato sia in corso di campionamento di tessuti normali che in corso di condizioni patologiche (iperplastiche e neoplastiche). Importante segnalare che per diverse ragioni non è sempre possibile identificare una citoarchitettura nei nostri campioni: infatti le procedure di prelievo e di allestimento “traumatiche” possono alterare la disposizione e i rapporti tra le cellule, oppure la lesione campionata è costituita da cellule che non si organizzano secondo una citoarchitettura ma esfoliano singolarmente, come nel caso delle neoplasie rotondocellulari,  di alcune neoplasie mesenchimali o di neoplasie maligne indifferenziate.

È consigliabile valutare le citoarchitetture a basso ingrandimento (5x -10x -20x).

Di seguito le diverse citoarchitetture che possiamo riscontrare nei nostri preparati citologici.

Pavimentosa

Le cellule sono disposte a formare un monostrato come fossero dei tasselli di un mosaico. È il risultato dell’esfoliazione superficiale di epiteli con un rapido turnover (pelle, palpebre, cavità orale, esofago, mucosa vaginale, epitelio transizionale della vescica e mesotelio).

Figura 1: Cane, sedimento urinario; urotelio normale (MGG, 400X)

 

A nido d’ape

Le cellule si dispongono su un monostrato ad elevata coesività ed assumono una forma da cuboidale a colonnare. Parenchimi pluristratificati e ghiandolari possono presentare tali disposizioni. Alcuni classici esempi sono rappresentati dall’iperplasia prostatica benigna (Figura 2), dalle epatopatie vacuolari come degenerazione idropica e glicogenosi, in corso delle quali gli epatociti sono caratterizzati da citoplasma rarefatto con vacuolizzazioni a limiti sfumati, e da alcune neoplasie epiteliali maligne.

Figura 2: Cane, ago infissione prostata. Iperplasia prostatica benigna (10x; MGG).

 

Acinare

Questa citoarchitettura è caratteristica del tessuto ghiandolare, in cui si osservano cellule  epiteliali che si dispongono attorno ad un centro vuoto oppure contenente materiale secretorio. Può essere riscontrata in tessuti normali (ghiandola tiroidea), oppure principalmente in corso di lesioni neoplastiche a carico di polmone, ghiandole salivari e ceruminose, o altri tessuti ghiandolari, e nel tumore delle cellule della granulosa.

Figura 3. Cane, ago infissione tiroide. Carcinoma tiroideo (100x; MGG).

 

A palizzata

Le cellule che si dispongono “a palizzata” sono frequentemente di aspetto colonnare e i nuclei sono in genere localizzati a livello basale. Alcuni esempi sono le cellule colonnari ciliate dell’epitelio respiratorio, e quelle della mucosa gastrica ed intestinale. Anche in questo caso, tale architettura può essere riscontrata in tessuti normali, iperplastici o neoplastici (quest’ultimo talvolta in associazione a citoarchitetture acinari).

Figura 4. Cane, squash prep mucosa gastrica. Cellule colonnari della mucosa gastrica normali (100x; MGG).

 

Papillare

Le cellule si dispongono attorno ad un asse centrale vascolare o composto da uno stroma, assumendo un aspetto tridimensionale, dal profilo arrotondato. Tali papille solitamente esfoliano da neoplasie benigne o maligne dell’epitelio intratubulare, come nei tumori della ghiandola mammaria. Tale architettura è segnalata anche in corso di neoplasie ovariche, dell’epitelio transizionale e in corso di reattività – neoplasia del mesotelio.

Figura 5. Cane, ago infissione neoformazione della ghiandola mammaria. Carcinoma mammario (40x; MGG).

 

Trabecolare

Le cellule esfoliano in voluminosi gruppi costituiti da più ramificazioni. Questo tipo di architettura è caratteristico di neoplasie epiteliali solide supportate da stroma fibroso (es: neoplasie delle ghiandole epatoidi, neoplasie mammarie ed epatiche, sertolioma).

Figura 6. Cane, ago infissione neoformazione polmonare. Carcinoma polmonare (40x; MGG).

 

Perivascolare

Le cellule sono organizzate attorno a una o più strutture vascolari (capillari). Questo tipo di arrangiamento è riportato frequentemente in corso di tumore delle cellule di Leydig, emangiopericitoma (PWT) e liposarcoma.

Figura 7. Cane, ago infissione testicolo. Neoplasia delle cellule di Leydig (100x; MGG).

 

Storiforme

Tale citoarchitettura viene considerata caratteristica delle cellule mesenchimali; si dispongono in ammassi – fasci, frequentemente in associazione a stralci di stroma – sostanza fondamentale.

Figura 8. Cane, ago infissione neoformazione sottocutanea. Neoplasia mesenchimale maligna, sarcoma (40x; MGG).

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP – Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

Bibliografia:

  • Masserdotti C. Architectural patterns in cytology: correlation with histology. Vet Clin Pathol. 35-4. 2006.


Immunoistochimica: cosa è e a cosa serve?

Talvolta alla fine di un referto istologico il clinico può trovare un commento del patologo che indica la possibilità di eseguire sui tessuti stessi, già esaminati, un’indagine aggiuntiva di immunoistochimica.

A volte si pensa che l’esame istologico in sé sia quanto di più completo ed esaustivo per la diagnosi di una determinata entità patologica, così nel riscontrare nel commento un simile “suggerimento” di approfondimento diagnostico il clinico può restare deluso in questa sua aspettativa.

Indubbiamente il patologo si limita ad elencare al clinico quali sono le varie opportunità per completare il quadro diagnostico, lasciando poi la scelta di richiedere o meno tali indagini aggiuntive al cliente stesso, offrendo sempre e comunque la propria disponibilità a spiegare, con la propria attività di consulenza, l’utilità di tali eventuali test.

In ogni caso può risultare utile, al clinico, la lettura di questo breve approfondimento relativo all’immunoistochimica, per comprenderne al meglio il funzionamento e l’utilità.

Senza scendere troppo nei dettagli tecnici, l’immunoistochimica è una tecnica analitica che si esegue sui tessuti al fine di valutare l’espressione, da parte delle cellule che li compongono, di determinate molecole mediante l’utilizzo di anticorpi specifici che le vanno a legare, sul tessuto stesso, e di opportuni sistemi di rilevamento di tale legame per mezzo di anticorpi secondari.

Vediamo ora quale sia l’utilità e quali possano essere le applicazioni di questa metodica.

Generalmente l’immunoistochimica trova il suo impiego per la diagnostica oncologica, essendo utile alla rilevazione sui tessuti neoplastici dell’espressione di determinate molecole da parte delle cellule che li compongono, definite generalmente come marker tumorali.

Ad esempio, alcune neoplasie possono risultare assai scarsamente o solo parzialmente differenziate, per cui, anche con l’esame istologico di base, che prevede l’utilizzo della colorazione di routine ematossilina/eosina e talvolta di alcune colorazioni ‘speciali’ istochimiche (come il Blu di Toluidina o il Giemsa per rivelare la metacromasia delle granulazioni citoplasmatiche dei mastociti), può risultare impossibile effettuare una diagnosi morfologica esatta, ovvero dire con certezza di quale neoplasia si tratti.

Questo può accadere per alcune neoplasie maligne con elementi cellulari talmente immaturi, poco o quasi per nulla differenziati, da rendere impossibile determinarne l’origine tissutale solo sulla base dei loro caratteri morfologici e della loro disposizione.

In altri casi, pur riuscendo a definire in parte la natura del tessuto neoplastico, come ad esempio nel caso dei cosiddetti sarcomi dei tessuti molli, il patologo non può esprimersi con certezza assoluta sull’origine tissutale della neoplasia stessa in quanto nello spettro di tali entità ricadono neoplasie differenti, ma con aspetti morfologici in parte sovrapponibili. Nel caso dei sarcomi dei tessuti molli, appunto, risulta spesso difficile o impossibile determinare con certezza, solo sulla base dei loro caratteri morfologici, se l’origine sia ad esempio dalle guaine perivascolari o dalle guaine nervose periferiche.

Analogamente spesso anche le neoplasie rotondocellulari risultano non così ben differenziate, dal punto di vista morfologico, da consentirne una diagnosi certa con il solo esame istologico di base o ancora, nel caso di un disordine linfoproliferativo, il solo aspetto istologico delle lesioni può essere border-line tra una forma neoplastica, ovvero linfomatosa, ed una forma reattiva.

Per i linfomi, inoltre, l’immunoistochimica, consentendo di definire l’immunofenotipo neoplastico, fa parte del gold standard diagnostico che comprende esame citologico, esame istologico, definizione dell’immunofenotipo neoplastico B o T appunto mediante indagine immunoistochimica e valutazione della clonalità linfoide mediante PCR (PARR).

Ci sono inoltre anche casi in cui la valutazione, con indagini di immunoistochimica, dell’espressione di determinati marker, è utile per attribuire un maggiore valore prognostico al referto stesso.

Ad esempio, per i mastocitomi del cane, è possibile eseguire, ad integrazione del referto base, un’indagine immunoistochimica per C-Kit (CD117). Tale molecola è un recettore tirosin-chinasico che gioca un importante ruolo nelle neoplasie mastocitarie canine (così come in quelle umane). L’espressione immunoistochimica di questo marker è in condizioni normali è di tipo membranario, mentre viene considerata aberrante una sua localizzazione in sede citoplasmatica (a spot perinucleari o diffusa).

In altri casi esistono marker utili a valutare la frazione di crescita cellulare, come il Ki67, per cui sono stati determinati in letteratura scientifica dei valori di cut-off (espressi come percentuale di nuclei positivi) utili ai fini prognostici nel caso di determinate neoplasie, come quelle di origine melanocitaria o gli stessi mastocitomi nel cane.

Senza scendere ulteriormente nei dettagli esistono anche innumerevoli altri esempi di utilità diagnostica delle indagini di immunoistochimica.

Come già accennato è compito del patologo, a seconda di ciascun caso istologico, indicare al clinico se vi siano e quali siano le ulteriori opportunità di approfondimento diagnostico utili ai fini prognostici/terapeutici. Resta poi una libera scelta del medico veterinario, dietro consiglio del suo oncologo clinico di fiducia, avvalersi o meno di tali indagini supplementari, anche a seconda della volontà e della compliance dei proprietari degli animali relativa all’iter oncologico/terapeutico del caso.

Un ulteriore, ma non meno importante, campo di utilità diagnostica dell’immunoistochimica si ha, infine, nella diagnostica infettivistica. In alcuni casi, infatti, la molecola target può essere un antigene espresso da un agente patogeno, come ad esempio un Papillomavirus o il Feline Infectious Peritonitis Coronavirus (il virus della FIP). In tal caso mediante l’immunoistochimica è resa possibile la visualizzazione diretta sui tessuti, nonché la relativa esatta localizzazione negli stessi, di uno specifico antigene, indicativo della presenza del patogeno stesso.

Sperando che questo brevissimo approfondimento possa risultare utile a comprendere il motivo per cui, a volte, il patologo indica nel commento la possibilità di eseguire indagini di immunoistochimica su un caso istologico, ricordiamo che siamo sempre a disposizione dei clinici per spiegazioni e suggerimenti relativi ai loro esami.

 

Dr.ssa Gaia Vichi - DVM Dipl. ECVP


IL REFERTO CITOLOGICO - Parte V: Disposizione delle cellule nei preparati e popolazione prevalente

Quali campi valutiamo?

Ovviamente i vetrini vanno esaminati interamente, prima a piccolo ingrandimento per trovare le aree più significative, poi a maggiore ingrandimento; dopo aver descritto lo sfondo e semiquantificato la cellularità, ci troviamo a dover accuratamente scegliere su quali campi basare la nostra descrizione e la nostra interpretazione.

Il campo migliore è quello in cui le cellule appaiono ben colorate, ben conservate e distese in un monostrato che ci consente di apprezzarne tutti i dettagli.  Esistono casi nei quali le stesse cellule assumono aspetti morfologici diversi se valutate in differenti campi (assenza di monostrato, asciugatura lenta, colorazione non uniforme): il caso forse più classico è quello delle cellule linfoidi che valutate in campi differenti nello stesso preparato possono talvolta suggerire diagnosi discordanti fra loro.

Figure 1- 2: Istiocitoma, cane: campo periferico e al centro del vetrino (MGG 100x).

Figure 3-4: Linfonodo, cane: stesso preparato ma campi differenti (MGG 100x).

 

Ordine descrittivo

Le cellule presenti nel campione citologico possono essere costituite da un unico tipo cellulare (popolazione unica), o da più tipi (popolazione mista); nel secondo caso è necessario utilizzare lo schema della “piramide invertita”, ovvero identificare e descrivere per prima la popolazione numericamente prevalente, e poi a seguire le altre popolazioni in ordine decrescente.

 

Distribuzione cellulare su vetrino

C’è la possibilità che in vetrini differenti della stessa lesione, vi siano aspetti citologici completamente diversi: in questi casi è consigliabile descrivere i preparati separatamente perché tutti possono avere una loro importanza clinica. Ad esempio, nel caso di una neoformazione del cavo orale di un gatto è possibile che alcuni vetrini presentino unicamente una flogosi neutrofilica settica, mentre altri siano costituiti prevalentemente da cellule epiteliali squamose di tipo neoplastico. In casi come questi è consigliato descrivere entrambi i quadri citologici; nell’interpretazione finale si potrà fare una sintesi esprimendo una diagnosi di neoplasia epiteliale associata a flogosi neutrofilica settica.  Nel caso in cui anche in uno stesso vetrino siano presenti campi molto diversi è preferibile descrivere questa particolare distribuzione. Ad esempio: nella maggior parte dei campi del preparato si osserva una popolazione prevalente di…. ; in rari campi sono presenti…. ; oppure ancora, nel caso di uno striscio di versamento emorragico: il campione è costituito da sangue; in coda allo striscio si osservano numerosi macrofagi in eritrofagocitosi recente e occasionali cellule mesoteliali isolate…

Nel caso di popolazioni non infiammatorie devono essere descritti i rapporti tra le cellule: le cellule possono esfoliare singolarmente (cellule isolate), oppure dimostrare coesività (cellule lassamente o fortemente coesive) e organizzarsi in gruppi tridimensionali, in foglietti, in ammassi. Frequentemente le cellule coesive si organizzano a formare ben definite “citoarchitetture” (che saranno argomento della prossima pillola!).

 

Dr.ssa Giulia Mangiagalli DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl ECVCP


Campioni endoscopici dell'apparato gastroenterico

Parliamo oggi delle biopsie endoscopiche eseguite ai fini diagnostici in corso di patologie croniche del tratto gastroenterico nel cane e nel gatto.

Il campionamento bioptico per via endoscopica andrebbe solitamente eseguito in seguito ad un iter completo diagnostico volto a fornire dati clinici e di patologia clinica, nonché in seguito a trials terapeutici (es. con cambi di dieta mirati, integrazioni con prebiotici/probiotici etc…) e ad indagini di diagnostica per immagini.

Se alla fine di tale iter diagnostico non si riesce a giungere ad una conclusione diagnostica e si sospetta la presenza di una patologia infiltrativa o di una lesione focale a carico del tratto gastroenterico con interessamento mucosale vi sono i presupposti per un’indagine endoscopica con campionamento bioptico.

Il valore diagnostico dell’esame endoscopico, in questi casi, è dato dalla possibilità di visualizzare direttamente l’aspetto macroscopico dei tratti raggiungibili (esofago-stomaco-duodeno-colon ed in alcuni casi ileo), dalla possibilità di ottenere campioni multipli dallo stesso tratto, aumentando le chances diagnostiche anche per lesioni che possono avere una distribuzione irregolare a livello mucosale.

Ovviamente qualora le indagini di diagnostica per immagini abbiano evidenziato alterazioni stratigrafiche parietali in sede più profonda rispetto alla tonaca mucosa e al piano più superficiale della sottomucosa, oppure in sedi non raggiungibili mediante endoscopia (es. digiuno), è consigliabile il campionamento transmurale per via chirurgica (sebbene più invasivo dell’esame endoscopico).

Il prelievo bioptico per via endoscopica va eseguito in maniera tale da avere un numero sufficiente di campioni da esaminare, di profondità, dimensioni e qualità adeguate dal punto di vista diagnostico. Non ci soffermiamo su questo punto in quanto il clinico si avvarrà della collaborazione di endoscopisti esperti con conoscenze ed abilità tecniche tali da eseguire dei buoni campionamenti.

Dal punto di vista della “vita dei campioni” dal prelievo al conferimento al laboratorio ci sono invece alcuni punti degni di essere sottolineati per la loro importanza ai fini della successiva qualità ed esaustività diagnostica:

1 – I campioni dovrebbero essere estratti dalle pinze bioptiche con estrema delicatezza mediante l’ausilio di un ago ed immersi in un adeguato volume di fissativo e con la corretta concentrazione dello stesso (ad esempio in un volume di formalina tamponata al 10%, 9 volte maggiore al volume dei campioni) prima della loro possibile essiccazione, nel più breve tempo possibile, preferibilmente dopo essere stati deposti su un apposito supporto, come cartine per prelievi bioptici o spugnette da chiudere in biocassette di plastica (vedi figura 1)

2- I campioni, se posizionati su supporti come le cartine per prelievi bioptici, dovrebbero essere orientati in file parallele e minuziosamente allineati tra loro, con la parte più profonda appoggiata al supporto e la superficie verso l’alto (ed evitando un’eccessiva pressione in grado di danneggiare i campioni stessi). Le cartine, infatti, non creano problemi al taglio con microtomo solo se incluse nel blocchetto di paraffina perpendicolarmente rispetto alla superficie di taglio: quindi al taglio stesso tutti i campioni devono risultare perfettamente allineati per “affiorare” insieme sulla stessa sezione e disposti in maniera tale che la loro stratigrafia sia interamente osservabile sullo stesso piano di taglio (vedi figura 1 e figura 2)

3 – I campioni provenienti da tratti diversi dell’apparato gastroenterico non dovrebbero essere “mescolati” tra loro, ma ogni contenitore o biocassetta dovrebbe contenere campioni provenienti dallo stesso tratto e la sede di prelievo dovrebbe essere chiaramente indicata sul contenitore o sulla biocassetta, in quest’ultimo caso utilizzando una matita(per evitare che eventuali inchiostri possano dissolversi durante le successive fasi di processazione dei campioni stessi)

4 – Il materiale inviato al laboratorio dovrebbe essere accompagnato da un’adeguata scheda anamnestica con dati clinici, di patologia clinica, diagnostica per immagini, esito di eventuali trials terapeutici e dettagli endoscopici, se possibile anche assieme allo stesso referto endoscopico.

Figura 1: estrazione delicata con ago dei campioni dalla pinza bioptica e loro corretto posizionamento su apposito supporto (spugnetta o, come riportato nell’immagine cartina per prelievi bioptici). NB: come descritto nel riquadro in alto i campioni vanno appoggiati sul supporto con la loro parte più profonda, mentre la porzione più superficiale, corrispondente alla superficie mucosale, risulta rivolta verso l’alto.

Figura 2: durante l’inclusione in paraffina qualora siano state usate cartine apposite per deporre i campioni bioptici queste vengono orientate perpendicolarmente rispetto a quella che sarà la superficie di taglio al microtomo. Risulta pertanto di estrema importanza che le biopsie siano perfettamente allineate così da poter risultare presenti su un unico piano di taglio e che siano orientate correttamente secondo la stratigrafia tissutale (vedi figura 1).

 

Dr.ssa Gaia Vichi DVM, Dipl. ECVP


IL REFERTO CITOLOGICO - Parte IV: aspetto macroscopico e sfondo dei preparati citologici

L’ASPETTO MACROSCOPICO dei preparati citologici, prima della colorazione, può indicare la natura della lesione campionata. Si possono osservare goccioline lipidiche oleose, se campionato del tessuto adiposo (prelievo accidentale o un lipoma), oppure materiale gessoso biancastro se è avvenuto il campionamento di materiale calcifico (calcinosis circumscripta). Entrambi questi aspetti si modificano in seguito alla colorazione: i lipidi si sciolgono a contatto con i coloranti a base alcolica e il materiale calcifico invece assume una colorazione violacea. Inoltre, è importante ricordare che quando osserviamo macroscopicamente un liquido biologico (liquido sinoviale, versamenti cavitari, lavaggio broncoalveolare o liquido cefalorachidiano) il suo colore e aspetto possono suggerirci quello che possiamo riscontrare da un punto di vista microscopico o chimico; ad esempio campioni rosati – rossastri suggeriscono la presenza di emazie nel campione, l’aumentata viscosità può essere conseguente a un’aumentata concentrazione proteica, oppure la torbidità può indicare un’elevata cellularità o la presenza di materiale in sospensione.

La valutazione e la descrizione microscopica dello SFONDO sono una parte fondamentale del referto citologico, in quanto possono fornire informazioni utili sia sull’origine dell’organo campionato sia sulla diagnosi. Lo sfondo può essere costituito da sangue (sfondo ematico); la presenza di emazie può essere conseguente a traumatismo dall’ago nel momento del campionamento della lesione, oppure può essere parte della lesione stessa perché costituita da sangue (ematoma, neoplasia vascolare) o in casi di organo altamente vascolarizzato (ad es. milza).

Sullo sfondo possiamo riscontrare eventuali contaminanti e artefatti, conseguenti al tipo di campionamento o alla metodica di prelievo (ad es. gel ecografico, talco dei guanti) o presenti sulla superficie della lesione nel dettaglio:

  • Nuclei nudi, strie nucleari, frammenti citoplasmatici: elementi presenti per una possibile aumentata fragilità cellulare (cellule neoplastiche o degenerate) o per un prelievo e un allestimento dei preparati “troppo violenti”;
  • Materiale esogeno “iatrogeno”: gel ecografico, talco dei guanti, impronte digitali;
  • Frammenti vegetali: possono essere contaminanti presenti accidentalmente sulla superficie della lesione campionata, o direttamente coinvolti in un processo flogistico (reazione da corpo estraneo vegetale).

Ancora, sullo sfondo possiamo riscontrare agenti eziologici, sia contaminanti che diretti responsabili della lesione campionata come batteri, funghi, protozoi ecc.

Infine, lo sfondo può essere caratterizzato da aspetti peculiari utili a confermare quale organo sia stato campionato (ad es. liquido sinoviale, bile, tessuto adiposo) o a orientare la diagnosi (ad es. granuli di melanina, granuli eosinofili o magenta, detrito cheratinico). Nel dettaglio:

  • Detrito necrotico: materiale granulare amorfo grigio – bluastro – violaceo costituito da prodotti di degradazione in seguito a morte cellulare;
  • Detrito cheratinico: componente di lesioni di tipo epiteliale sia cistiche che di origine neoplastica;
  • Muco: materiale rosato per lo più organizzato in stralci, componente para fisiologica di alcuni organi – apparati (respiratorio, gastroenterico);
  • Sfondo granulare proteinaceo con cellule disposte in file ordinate nel liquido sinoviale;
  • Amiloide: sostanza intercellulare amorfa o fibrillare purpurea o intensamente rosata
  • Fibrina, sostanza fondamentale/ matrice extracellulare, collagene
  • Materiale proteinaceo granulare: fortemente indicativo di peritonite infettiva felina in versamenti cavitari con altre caratteristiche compatibili
  • Latte: citologicamente appare come pigmento bluastro, per lo più fagocitato da macrofagi della ghiandola mammaria;
  • Emosiderina – ematoidina: prodotti di degradazione dell’emoglobina, sotto forma di pigmento verde – bluastro e cristalli romboidali dorati, rispettivamente, indicatori di emorragia non recente;
  • Bile: materiale amorfo grigiastro, violaceo, brunastro
  • Melanina: pigmento nerastro, sia in granuli che in ammassi, indicativo di lesioni pigmentate (ad es. neoplasia delle cellule basali pigmentata) e di neoplasie melanocitarie (melanoma, melanocitoma);
  • Granuli citoplasmatici liberi: si possono osservare in seguito a rottura delle cellule che li contengono (ad es. mastociti, granulociti eosinofili, linfociti LGL, materiale secretorio di cellule epiteliali apocrine etc);
  • Calcinosi: materiale granulare – amorfo rosato rifrangente compatibile con cristalli di calcio;
  • Elementi non colorati: cristalli di colesterolo, ovvero elementi trapezoidali-rettangolari non colorati indicativi di lesioni di tipo epiteliale associate a degenerazione cellulare; vacuoli otticamente vuoti o globuli acromatici sparsi compatibili con lipidi/ tessuto adiposo (ad es. lipoma, campionamento accidentale di tessuto adiposo, pannicolite).

 

Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl. ECVCP


Standardizzazione Diagnostica: La Conta Mitotica

Solitamente in un referto istologico relativo ad una lesione neoplastica sono riportati 7 punti fondamentali:

  1. descrizione a piccolo ingrandimento o subgross,
  2. pattern cellulare e descrizione dello stroma,
  3. caratteri citologici della popolazione neoplastica,
  4. anisocitosi/anisocariosi ed altre caratteristiche cellulari,
  5. attività mitotica,
  6. aspetti correlabili alla malignità come invasione vascolare o capsulare, necrosi ed emorragia,
  7. altri dettagli come segni di mineralizzazione, ulcerazione, infiammazione

Tra questi uno dei più importanti, che rientra anche negli schemi di grading di molte neoplasie o ad ogni modo è spesso riconosciuto come indicatore prognostico significativo anche per entità neoplastiche per cui non è stato definito un vero e proprio sistema di grading è l’attività mitotica.

Questa viene valutata come conta mitotica, ovvero come numero di mitosi identificate su una determinata superficie di tessuto in esame.

Nell’ultimo decennio il mondo della patologia si è iniziato a porre la questione della standardizzazione diagnostica, che include, dove possibile, l’oggettivazione della valutazione dei vari parametri morfologici, soprattutto nel caso di entità neoplastiche.

Uno dei parametri più facilmente oggettivabili e più importanti da valutare in maniera standardizzata è appunto la conta mitotica.

In passato la conta delle mitosi veniva effettuata su un’area di 10 campi a forte ingrandimento (High Power Fields o HPFs). Purtroppo, quest’area ha dimensioni differenti a seconda del sistema ottico utilizzato dal patologo (e per le scansioni digitali varia a seconda delle caratteristiche del monitor e, ovviamente, dell’ingrandimento utilizzato).

Al fine di standardizzare la conta mitotica, eseguendola su un’area di dimensioni inequivocabilmente stabilite, la comunità scientifica ha scelto il sistema metrico internazionale per la sua misurazione e come valore quello dell’area corrispondente a 10 HPFs esaminati con il tipo di oculari ad ingrandimento 10X più diffuso, ovvero con numero di campo (Field Number o FN) pari a 22. Tale area, osservata a forte ingrandimento con obiettivo ad ingrandimento 40x equivale a 2,37mm2.

Nel caso si utilizzino altri tipi di oculari l’area di 2,37 mm2 corrisponde ad un diverso numero di campi visivi (field of view o FOV). Così il patologo che utilizza oculari con FN18 dovrà eseguire la conta mitotica su 15 campi, quello che usa oculari con FN20 su 12 campi e quello che usa oculari con FN26,5 su 7 campi, ma, aspetto fondamentale della questione, tutti valuteranno le mitosi sulla stessa identica area!

In microscopia digitale i sistemi informatici consentono il calcolo e l’annotazione di un’area di 2,37mm2 in maniera anche più semplice.

Oltre alla superficie su cui effettuare la conta mitotica un altro aspetto standardizzabile è il metodo con cui effettuare la scelta dell’area da valutare su un’intera sezione. In questo caso la comunità scientifica indica di effettuare la conta mitotica laddove sono più elevate la densità cellulare e l’attività mitotica (cosiddetto hot-spot).

Infine, ovviamente, la comunità scientifica ha fornito chiare indicazioni anche sulla distinzione tra figure mitotiche da conteggiare (tra cui anche le mitosi atipiche o multipolari) e le cosiddette false-mitosi o mitotic-like figures (MLF), già ben nota ai patologi, ma importante comunque da riportare nelle linee guida internazionali alla luce dell’obiettivo della standardizzazione diagnostica.

Grazie al continuo progresso dell’attività dei vari gruppi di lavoro per la standardizzazione diagnostica il mondo della patologia sta cercando di uniformare il livello di precisione e la qualità stessa dei referti istopatologici, con un conseguente miglioramento sia del servizio diagnostico stesso, sia della precisione e dell’uniformità delle informazioni scientifiche che si possono ottenere dall’attività diagnostica anche ai fini di ricerca (senza standardizzazione viene meno il fondamento della ripetibilità degli studi scientifici stessi).

È importante, infine, anche che tali informazioni vengano trasmesse ai clinici, in quanto si troveranno a leggere referti ‘in evoluzione’ alla luce delle linee guida internazionali e a dover interpretare informazioni fornite secondo le stesse linee guida. Con questa ‘pillola di istologia’ abbiamo ad esempio cercato di spiegare perché la conta mitotica si sta evolvendo da numero di mitosi su 10 HPFs a numero di mitosi su un’area di 2,37mm2.

 

Dr.ssa Gaia Vichi - DVM Dipl. ECVP

 

Bibliografia:

  • Mitotic Count and the Field of View Area: Time to Standardize. D. J. Meuten, F. M. Moore, J. W. George. Guest Editorial. Vet Pathol 2016 Vol. 53(1) 7-9
  • International Guidelines for Veterinary Tumor Pathology: A Call to Action. D. J. Meuten et al. Vet Pathol 2021 58(5):766-794
  • Veterinary Cancer Guidelines and Protocols website: www.vcgp.org

IL REFERTO CITOLOGICO – Parte III: adeguatezza, cellularità, conservazione e rappresentatività dei preparati citologici

I preparati citologici per essere valutati accuratamente e per far si che il patologo clinico possa trarre delle conclusioni, devono essere innanzitutto considerati ADEGUATI. Un campione è adeguato quando consente a chi lo legge di poterlo valutare… adeguatamente: ciò significa che deve essere ben allestito (vale a dire ben prelevato, ben colorato, ben conservato) e con una cellularità intatta, almeno sufficiente a poter esprimere una diagnosi.

N.B. Un campione adeguato non necessariamente è anche rappresentativo! (vedi oltre)

Come valutare un buon Allestimento:

Il prelievo

Deve essere utilizzato il metodo che meglio preserva l’integrità delle cellule (ad es. l’ago infissione preserva meglio le cellule linfoidi rispetto all’ago aspirazione); non deve essere utilizzata eccessiva “violenza” nello strisciare su vetrino il materiale campionato; deve essere ottenuto un monostrato cellulare; il materiale prelevato deve essere asciugato rapidamente all’aria.

La conservazione

I vetrini devono essere conservati a temperatura ambiente (se refrigerati spesso appaiono artefatti che impediscono la lettura del campione). Non serve usare fissativi, anzi spesso questi rovinano la morfologia cellulare. I preparati si conservano stabili per molti giorni. In nessun caso i vetrini devono essere esposti ai vapori di formalina! Pena l’impossibilità (irreversibile!) di poterli valutare.

La colorazione

È estremamente importante che la colorazione sia eseguita correttamente: un vetrino ipocolorato o ipercolorato o con bizzarre sfumature causato da un utilizzo sbagliato dei coloranti (età, tempi di immersione etc) risulta estremamente difficile (fino a impossibile) da valutare.

La cellularità

Dopo aver valutato se un campione sia stato correttamente allestito, passiamo a valutarne la cellularità, al fine di completare la valutazione dell’adeguatezza.

La cellularità esprime una valutazione semi – quantitativa del numero di cellule nucleate presenti nel campione, e può essere molto scarsa – scarsa, moderata, buona, elevata – molto elevata. Se il campione non contiene cellule, si definisce acellulare (quindi non diagnostico).

Il numero di cellule presenti se elevato può di per sè essere considerato un criterio di malignità, ad esempio in corso di neoplasia mesenchimale, oppure di iperplasia ad esempio nel caso di alcuni epiteli, di prelievi epatici o di versamenti cavitari (in caso di iperplasia mesoteliale).

Non basta ovviamente che un campione abbia una cellularità elevata o buona, ma le cellule presenti devono essere intatte e ben preservate: mai tentare di fare una diagnosi su un tappeto di cellule rotte, o degenerate (necrotiche, ad esempio) nemmeno se è possibile intuire di quali cellule si tratta, poiché la loro morfologia sarà comunque distorta e ingannevole. Per definire la qualità morfologica delle cellule presenti si parla di cellularità ben, moderatamente o scarsamente conservata.

Figura 1. Gatto. Ago infissione linfonodo sottomandibolare. Campione non adeguato: elevata cellularità, scarsamente conservata, numerose cellule rotte e nuclei nudi (MGG 10x).

Figura 2. Gatto. Ago infissione linfonodo sottomandibolare. Campione adeguato: buona cellularità, ben conservata, buon allestimento: linfoma high – grade (MGG, 40x).

 

Infine, è importante sottolineare che un campionamento benché adeguato potrebbe non essere RAPPRESENTATIVO (della lesione di nostro interesse). Facciamo un esempio: se il nostro obbiettivo era quello di andare a valutare citologicamente un linfonodo sottomandibolare ma accidentalmente è stata campionata la ghiandola salivare, questo non toglie che i vetrini possano essere adeguatamente allestiti, e costituiti da una buona cellularità; tuttavia, il campione non rappresenta l’organo o la lesione di nostro interesse. Altri classici esempi possono essere i sospetti lipomi (il citologo vede solo adipociti: ma se fosse stato campionato grasso perilesionale e se accanto ci fosse una neoplasia maligna?) o le lesioni costituite esclusivamente da cheratina (e se oltre al contenuto cheratinico ci fosse una porzione parenchimatosa non campionata di una neoplasia).

Figura 3. Cane. Ago infissione linfonodo sottomandibolare. Moderata cellularità, moderatamente conservata: campionamento accidentale di ghiandola salivare (MGG, 40x).

 

Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM – Dr.ssa Silvia Rossi, DVM dipl ECVCP