Proseguendo la nostra serie di “pillole di istologia” sulle varie parti di un referto istologico ci concentriamo, con questa breve discussione, sugli ultimi paragrafi della descrizione istologica, relativi in particolare alle entità neoplastiche.

 

A. I caratteri associati a comportamento biologico maligno di una neoplasia possono essere diversi. Vediamone un breve elenco:

  1. Necrosi: vanno sempre descritti, se presenti nel contesto di un tessuto neoplastico, eventuali fenomeni di necrosi, indicandone se possibile anche la loro esatta tipologia (necrosi coagulativa, necrosi colliquativa, necrosi caseosa, cosiddetta “single cell necrosis” o necrosi di cellule neoplastiche singole disseminate nel contesto della lesione). Ovviamente se la necrosi è presente va indicata anche la sua distribuzione e soprattutto la sua estensione in relazione alle dimensioni della lesione in termini percentuali. La percentuale di necrosi sul tessuto neoplastico è infatti, per alcune entità patologiche, uno dei parametri da valutare per il grading istologico (ad esempio per i sarcomi dei tessuti molli).
  2. Emorragia: anche per eventuali fenomeni di tipo emorragico va descritta, nel caso siano presenti, la distribuzione e la loro estensione nel contesto della lesione.
  3. Invasione capsulare: a volte la distinzione di un processo neoplastico maligno rispetto alla sua controparte benigna può risultare difficoltosa, in quanto le cellule di una neoplasia maligna non necessariamente mostrano un grado elevato di anisocitosi/anisocariosi o abbondante attività mitotica. In alcuni casi un criterio distintivo di malignità può essere l’invasione di un eventuale tessuto capsulare che circonda lo stesso tessuto neoplastico (ad esempio ciò accade spesso per i carcinomi della tiroide).
  4. Invasione vascolare: alcune neoplasie maligne hanno un comportamento biologico non solo aggressivo ed infiltrante nei confronti dei tessuti limitrofi, ma anche con tendenza ad invadere i vasi linfatici, e talvolta ematici, formando emboli che possono poi consentire, entrando in circolo, l’impianto neoplastico in linfonodi regionali o in altri organi e tessuti a distanza. Va pertanto indicata l’eventuale presenza di emboli neoplastici intravasali, indicando il loro quantitativo (scarso: <5 foci; moderato: 5-10 foci; abbondante: >10 foci), la tipologia di vasi coinvolti (linfatici/ematici) e la loro distribuzione (intratumorale/peritumorale).

Anche la presenza di elementi neoplastici in sede subendoteliale, che tendono a protrudere nel lume vascolare senza oltrepassare l’endotelio stesso (cosiddetto “vascular impingement”, oppure esito di una ri-endotelizzazione di tessuto neoplastico dopo invasione vascolare vera e propria), merita l’attenzione del patologo in quanto impone l’attenta ricerca di ulteriori parametri tali da identificare una eventuale invasione vascolare propriamente detta (presenza di trombi aderenti ad elementi neoplastici intravasali, cellule neoplastiche che invadono sia la parete vasale che l’endotelio, cellule neoplastiche nel lume di spazi vascolari rivestiti da endotelio, cellule neoplastiche in strutture di natura vasale confermata anche con eventuale ausilio di markers immunoistochimici nei casi dubbi).

 

B. Vi sono poi anche dettagli morfologici aggiuntivi, talvolta anche essi importanti per il grading istologico di alcune entità neoplastiche, come la presenza e l’eventuale intensità di una flogosi concomitante al processo neoplastico (che costituisce ad esempio uno dei parametri che concorrono al sistema di grading per i sarcomi dei tessuti molli cutanei e sottocutanei del gatto recentemente proposto da Dobromylskyj et al. nel 2021), l’eventuale presenza di ulcerazione (che costituisce un parametro prognostico sfavorevole, ad esempio, per le neoplasie melanocitarie cutanee del cane), o la presenza di mineralizzazione (ad esempio per eventuali fenomeni di calcificazione distrofica nel contesto di foci di necrosi, oppure legata ad alcune entità patologiche specifiche, come ad esempio il pilomatricoma, che costituisce una neoplasia benigna di origine annessiale/follicolare, talvolta anche con possibile formazione di tessuto osseo).

Infine, se nei preparati sono presenti altre alterazioni a carico dei tessuti limitrofi alla lesione principale (che sia neoplastica o meno) il patologo descriverà anche tali aspetti morfologici, al fine di “contestualizzare” le lesioni stesse.

Concludendo, al clinico potrà sembrare che tutti i dettagli riportati dal patologo nel paragrafo descrittivo di un referto istologico siano meno importanti dei campi relativi alla diagnosi morfologica e al commento sulla lesione, ma in realtà come recita un vecchio detto “il diavolo si nasconde nei dettagli” e, soprattutto, i dettagli osservati e descritti dal patologo consentono di corroborare la sua conclusione diagnostica ed agevolano anche un eventuale confronto tra colleghi sul caso stesso, in quanto documentano, appunto nel dettaglio, tutto ciò che il patologo ha visto, come una lunga serie di “fotografie” scattate ai vari campi microscopici.

I dettagli descrittivi garantiscono anche il fatto che il patologo abbia effettivamente valutato a fondo il preparato o i preparati, non limitandosi ad una descrizione sommaria o a una diagnosi “preconfezionata” applicabile ad entità patologiche simili, della stessa natura, ma non necessariamente identiche. Non si tratta solo di una “personalizzazione” del referto, ma di una sua effettiva validazione in termini qualitativi e di corrispondenza alla realtà oggettiva dell’aspetto istologico delle singole lesioni.

 

Dr. Gaia Vichi, DVM, Dipl. ECVP

 

Bibliografia: