scil/Heska acquisisce BiEsseA

scil /Heska acquisisce BiEsseA

Heska Corporation  (NASDAQ: HSKA; "Heska"),  società  quotata  e  fornitore di soluzioni di diagnostica veterinaria avanzata e di prodotti  specializzati, acquisisce BiEsseA - Laboratorio di Analisi Veterinarie S.r.l. (“BiEsseA”) tramite la controllata scil animal care company S.r.l. (“scil Italia”).

scil Italia è un primario operatore nel mercato italiano della diagnostica di laboratorio, della diagnostica per immagini e della formazione dei medici veterinari,  appartenente al Gruppo tedesco scil, leader  mondiale  nel settore della diagnostica veterinaria,  a propria volta acquisito da Heska nel 2020.

BiEsseA, con sede a Milano, rivolge da più di quarant’anni la sua attività ai medici veterinari e ad altri  laboratori di analisi  veterinarie con il ruolo di service e l’obiettivo di offrire un servizio di qualità, che trova le sue fondamenta nella ricerca e nella  letteratura scientifica internazionale.

L’operazione si inquadra nel progetto di espansione geografica di Heska su scala globale tramite l’acquisizione di eccellenze nel mondo veterinario al fine di poter offrire sempre migliori e più completi servizi avanzati a favore dei medici veterinari presenti nei mercati serviti.

Dott. Giorgio D’Urso, già Amministratore Delegato di scil Italia, è stato nominato Amministratore Delegato  di  BiEsseA e  lavorerà  a  stretto  contatto  con  il Dott. Emanuele Minetti  che continuerà a prestare la sua competenza e professionalità pluriennale in qualità di Direttore Sanitario. Tutta la squadra di professionisti di BiEsseA, che si è sempre contraddistinta per la sua eccellenza, è stata in toto confermata dalla nuova proprietà.


Il Mastocitoma Canino: cosa valuta il patologo?

Il mastocitoma canino è un’entità patologica complessa, da tempo oggetto di molteplici studi inerenti la sua classificazione, i sistemi di grading e la valutazione di indici prognostici valutabili non solo mediante l’indagine istologica di routine, ma anche con l’ausilio di indagini aggiuntive quali colorazioni immunoistochimiche e PCR per le mutazioni del c-KIT.

Il mastocitoma viene classificato sulla base della sua localizzazione in mastocitoma cutaneo e mastocitoma sottocutaneo (oltre ovviamente alle forme con coinvolgimento viscerale).

Le due entità di mastocitoma cutaneo e mastocitoma sottocutaneo canino prevedono la valutazione di parametri differenti e con differenti valori di cut-off, ai fini della prognosi.

Per il mastocitoma cutaneo sono stati messi a punto nel corso degli anni diversi sistemi di grading. Quello riconosciuto fino a pochi anni fa è il cosiddetto grading “secondo Patnaik”.

Tale sistema di grading suddivide i mastocitomi cutanei in mastocitoma in grado I, II, e III.

  • Mastocitomi di Grado I: l’infiltrato neoplastico rimane confinato nello spessore del derma a livello degli spazi inter-follicolari ed è costituito da mastociti ben differenziati disposti in cordoni o piccoli foglietti separati da fibre di collagene del derma stesso. Non si osservano aspetti di anisocitosi ed anisocariosi di entità significativa né mitosi.
  • Mastocitomi di Grado II: l’infiltrato cellulare neoplastico mostra una densità da moderata ad elevata e si sospinge anche nello spessore del derma profondo e talvolta in parte anche nel sottocute ed occasionalmente coinvolge il tessuto muscolare o altri tessuti limitrofi. Gli elementi cellulari neoplastici hanno un aspetto moderatamente pleomorfo, con moderati caratteri di anisocitosi ed anisocariosi, possibile presenza di sporadiche cellule binucleate, aspetti di edema e necrosi. Le mitosi sono presenti in numero variabile da 0 a 2 per HPF (HPF: campo ad ingrandimento 40x).
  • Mastocitomi di Grado III: infiltrato neoplastico risulta ad elevata densità cellulare con aspetti di marcato pleomorfismo delle stesse cellule neoplastiche e si sospinge abbondantemente nel sottocute e nei tessuti limitrofi. Le granulazioni citoplasmatiche dei mastociti neoplastici possono risultare assai scarsamente evidenti. Gli elementi cellulari binucleati sono frequenti e possono essere presenti anche cellule giganti e multinucleate. Possono essere presenti anche aspetti di necrosi, edema ed emorragia. Le mitosi sono presenti in numero ≥3 per HPF.

Più recentemente è stato introdotto un nuovo sistema di grading 2 tier “secondo Kiupel”, che riduce il livello di soggettività nell’interpretazione degli indicatori prognostici da parte dei patologi e, secondo anche studi successivi, ha un valore prognostico maggiore rispetto al sistema di grading secondo Patnaik.

Tale sistema di grading suddivide i mastocitomi cutanei canini semplicemente in Low-Grade ed High-Grade:

  • Mastocitomi cutanei low-grade: indice mitotico <7 mitosi su 10 HPF, <3 cellule multinucleate su 10 HPF, <3 nuclei atipici su 10 HPF, assenza di cariomegalia (i nuclei con diametro grande almeno il doppio di quello della media della popolazione neoplastica sono <10%)
  • Mastocitomi cutanei high-grade: indice mitotico ≥7 mitosi su 10 HPF, ≥3 cellule multinucleate su 10 HPF, ≥3 nuclei atipici su 10 HPF, presenza di cariomegalia (i nuclei con diametro grande almeno il doppio di quello della media della popolazione neoplastica sono ≥10%). NB: è sufficiente una di queste caratteristiche per classificare la neoplasia come high-grade.

Entrambi questi sistemi di grading non si applicano, ad ogni modo, ai mastocitomi sottocutanei, per i quali si fa invece riferimento ad un ulteriore studio, condotto da Thompson et al. che individua piuttosto i parametri istologici interpretabili come indicatori prognostici sfavorevoli.

  • Indicatori prognostici sfavorevoli per i mastocitomi sottocutanei canini
    • Indice mitotico >4 mitosi su 10 HPF, pattern di accrescimento di tipo infiltrante e presenza di multinucleazione (numero di cellule con più di 1 nucleo ≥1 su 10 HPF).

Il patologo valutando quindi questi parametri alla colorazione di routine con Ematossilina-Eosina formula il grading per il mastocitoma in esame (oltre ovviamente a segnalare l’eventuale coinvolgimento dei margini, le dimensioni e l’estensione della neoplasia stessa, l’eventuale coinvolgimento linfonodale anche esso con la sua classificazione, ed altri parametri valutabili sul campione in esame ed utili alla valutazione oncologica del caso stesso) e consiglia indagini aggiuntive che possano fornire ulteriori indicazioni per la prognosi e la terapia del caso in esame.

Le indagini di immunoistochimica che vengono consigliate sono quelle con i markers c-KIT e Ki67.

Il c-KIT (CD117) è un recettore tirosin-chinasico che gioca un importante ruolo nelle neoplasie mastocitarie canine. L’espressione immunoistochimica di questo marker è in condizioni normale di tipo membranario. La sua espressione aberrante (citoplasmatica diffusa o a spot perinucleari) è correlata con una prognosi sfavorevole (minor tempo di sopravvivenza, aumento recidive).

Il Ki67 è invece una proteina presente a livello nucleare associata con la proliferazione cellulare, costituendo pertanto un marker di proliferazione per il tessuto neoplastico.

Viene inoltre consigliata anche la valutazione, mediante indagine PCR, dello stato mutazionale del gene che codifica per il c-KIT, in quanto eventuali mutazioni di questo gene hanno un valore sia prognostico che di indicazione ai fini terapeutici per l’eventuale utilizzo di farmaci inibitori tirosin-chinasici.

Scatta a questo punto la sinergia tra patologo ed oncologo clinico che valuterà, sulla base del referto istopatologico, come procedere con gli approfondimenti diagnostici consigliati dal patologo stesso ed il piano terapeutico per la patologia neoplastica in questione.

Figura 1: Mastocitoma cutaneo canino low-grade. Gli elementi cellulari neoplastici hanno aspetto tra loro uniforme, non si osservano aspetti di dismetria nucleare di entità significativa, non sono presenti nuclei a profilo bizzarro e non si osservano cellule multinucleate, le mitosi sono rare (assenti in questo campo microscopico). Colorazione Ematossilina-Eosina 60X.

Figura 2: Mastocitoma cutaneo canino high-grade. Gli elementi cellulari neoplastici mostrano aspetti di anisocitosi ed anisocariosi, i nuclei sono tra loro dismetrici (alcuni con diametro doppio di altri), talvolta con profilo bizzarro; sono anche presenti cellule multinucleate (segnate con testa di freccia) e numerose mitosi (3 in questo campo microscopico, segnate con freccia, di cui 2 multipolari). Colorazione Ematossilina-Eosina 40X.

 

Dr.ssa Gaia Vichi – DVM, Dipl. ECVP

 

Bibliografia:

  • Patnaik, AK, Ehler, WJ, Macewen, EG. Canine cutaneous mast cell tumor: morphologic grading and survival time in 83 dogs. Vet Pathol. 1984;21(5):268–274.
  • Kiupel, M, Webster, JD, Bailey, KL. Proposal of 2-tier histologic gradind system for canine cutaneous mast cell tumors to more accurately predict biological behavior. Vet Pathol. 2011;48(1):147–55.
  • Thompson JJ, Pearl DL, Yager JA, Best SJ, Coomber BL, Foster RA. Canine subcutaneous mast cell tumor: characterization and prognostic indices. Vet Pathol. 2011 Jan;48(1):156-68.


MICROBIOMA INTESTINALE ANIMALE

L’intestino è un “organo metabolico”, un biosistema unico caratterizzato dalla presenza di migliaia di tipi diversi di microbi che convivono ed interagiscono attivamente con l’organismo ospite, intervenendo nella regolazione di numerose funzioni sistemiche e aventi un ruolo cruciale nella diagnosi di numerose malattie gastrointestinali.
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TEST "DELTA WBC" IN CORSO DI FIP

Cari Colleghi,

nel nuovo listino 2019 è possibile richiedere questo nuovo test (sul cartaceo nella sezione Citopatologia).

La peritonite infettiva felina (FIP) è una malattia letale causata dall’interazione tra un Coronavirus mutato e il sistema immunitario dell’ospite.

La diagnosi di questa malattia è sempre stata considerata una sfida per il clinico e tutt’ora non è possibile avanzare una diagnosi di certezza, se non mediante l’esame istologico di prelievi bioptici od in corso di necroscopia con successivo esame immunoistochimico.

Si può ipotizzare una diagnosi presuntiva in base alla combinazione di storia clinica, diagnostica per immagini ed esami di laboratorio.

Recenti studi hanno proposto la valutazione su versamento del DELTA WBC. Questo parametro viene prodotto dallo strumento che si utilizza per leggere l’ematologia nel nostro laboratorio, il Sysmex XT2000iV, una macchina contaglobuli automatica che funziona sia a impedenza sia laser. La conta dei leucociti avviene con la seconda e produce un doppio valore: DIFF e BASO.

Il primo classifica le cellule in base alla complessità ed alla quantità di acido nucleico, mentre il canale BASO divide le cellule in base al volume ed alla complessità dei residui cellulari che rimangono in seguito ad una reazione con una sostanza acida che lisa tutte le cellule, eccetto i basofili.

La differenza tra le cellule contate del canale DIFF e BASO viene definito DELTA WBC.

In corso di FIP questo numero risulta essere più elevato che in corso di altre patologie; si ipotizza che questo avvenga perché nei versamenti in corso di FIP il reagente del canale BASO crea coaguli per la presenza elevata di fibrina e di globuline, intrappolando le cellule e ne impedisce la lettura, in questo modo creando una differenza maggiore tra le cellule contate dal canale DIFF e BASO. Questo è ciò che vi è alla base del test di Rivalta ma con una standardizzazione meccanica.

Il cut off che è stato stabilito è:

  • Delta WBC >1.7 : sospetto di FIP (sensibilità 90%, specificità 93.5%)
  • Delta WBC > 2.5 : fortemente sospetto di FIP (specificità 100%)

 

Modalità di prelievo e conservazione del campione:

Raccogliere il versamento (circa 1 mL) in provetta con anticoagulante con K3EDTA e consegnarla al laboratorio entro 12-18 ore dal prelievo. La presenza di frustoli/coaguli macroscopicamente visibili non consentirà la lettura strumentale.

Buon lavoro!

D.ssa Silvia Rossi


PUNTI CHIAVE NEL TRATTAMENTO DELLA DERMATITE ATOPICA

Buongiorno spettabili colleghi,
trovate nella seconda immagine riassunti i punti chiave da ricordate ed attuare durante il trattamento dei pazienti atopici.
Spero siano chiari ed utili, ovviamente siamo a vostra disposizione per ogni possibile ulteriore informazione.
Settimana prossima alcuni altri punti chiave sulle indagini allergologiche che possiamo eseguire su cane, gatto e cavallo.

Buon lavoro

Emanuele Minetti DVM SSPV

Microbiota, miliardi di microrganismi governano la nostra salute

Cari Colleghi,
vi ricordo che in BiEsseA forrniamo a costi ragionevoli l'indagine del microbiota intestinale: per informazioni chiamate in laboratorio e contattate la Dottoressa Daniela Olivero olivero@biessea.com responsabile del progetto in campo veterinario ed esperta di riferimento presso la nostra società

Leggete qui:

ENDOCRINOLOGY SLAM 3a GIORNATA: DIABETE, INSULINOMA E CASI CLINICI

 

Buongiorno Colleghi,
vi invitiamo alla terza giornata gratuita di endocrinologia. Per iscrizioni come sempre contattate la mail sulla locandina eventi@vetsanfrancesco.it.
Vi preghiamo, una volta prenotata la presenza, di disdire nel caso non possiate partecipare per lasciare posto ad altri colleghi in lista d'attesa.
Buon lavoro.
Emanuele Minetti DVM SSPV
CEO - Direttore sanitario
Via Amedeo d'Aosta, 7 - 20129 Milano MI
Tel 0229404636
Fax 0229404644

Dr A. Zatelli-D.ssa P. D'Ippolito: Scelta dell’Antibiotico in Corso di Infezione delle Vie Urinarie (UTI) nel Cane

Scelta dell’Antibiotico in Corso di Infezione delle Vie Urinarie (UTI) nel Cane

Le infezioni delle vie urinarie del cane meritano, nella quasi totalità dei casi, un approccio tramite somministrazione di antibiotici. L’utilizzo di queste terapie deve sottostare a strette regole, al fine di non aumentare il rischio che si sviluppino antibioticoresistenze. L’antibioticoresistenza, crescente negli ultimi anni, vede il Medico Veterinario come un tassello importante per arginare questo fenomeno rischioso per la salute animale e dell’uomo.

L’antibioticoresistenza e conseguente a numerosi fattori che possono determinarla, tra i quali ricordiamo:

  1. Antibioticoterapia in assenza di infezione batterica – E’ necessario ricorrere all’uso di antibiotici esclusivamente nel caso di infezioni batteriche. Dobbiamo ricordarci che una “sintomatologia riferibile a cistite”, non necessariamente implica una infezione batterica e per poter diagnosticare una cistite batterica è necessario identificare il patogeno.
  2. Dosaggi e tempi di trattamento non appropriati – I dosaggi degli antibiotici sono facilmente reperibili, ma per alcuni antibiotici (ad es. enrofloxacina) abbiamo assistito a loro progressive variazioni negli anni. I tempi di trattamento dovrebbero basarsi sulla suddivisione delle UTI in semplici e complicate. Le UTI associate a patologie concomitanti che possono rendere meno efficace la terapia impostata e/o limitare la risposta dell’organismo, vengono considerate complicate. Alcuni esempi di UTI complicate sono rappresentati da infezioni su neoplasia, infezioni in pazienti con concomitanti endocrinopatie, quali morbo di Cushing e diabete mellito, oppure infezioni che si sviluppano a seguito di terapie che determinino immunosoppressione. Sono, inoltre, considerate complicate tutte le UTI che coinvolgono la prostata. Le UTI semplici vengono solitamente trattate con antibiotico per 7 giorni, mentre quelle complicate vedono un tempo di trattamento della durata media di 4 settimane.
  3. Scelta dell’antibiotico che non tenga  in considerazione il distretto interessato da infezione e la capacità dell’antibiotico di raggiungerlo in forma attiva ed in concentrazione adeguata -  Ad esempio, la amoxicillina ha una buona escrezione renale in forma attiva, ma ha una scarsa capacità di penetrazione nel tessuto prostatico.
  4. Caratteristiche del distretto infetto, che possono determinare inattivazione dell’antibiotico - Ad esempio aree ascessuali, caratterizzate non solo da da condizioni di iperosmoticità, ma anche da pH tendenzialmente acido, sono in grado di inattivare diversi antibiotici.

Ricorrere ad un esame colturale ed antibiogramma, ci può offrire fondamentali indicazioni sulla terapia antibiotica da impostare; la scelta dell’antibiotico non potrà però essere esclusivamente basata sui risultati di sensibilità e MIC, ma dovrà considerare numerosi fattori:

  1. Capacità dell’antibiotico di raggiungere il distretto in forma attiva e ad una concentrazione adeguata.
  2. Caratteristiche del distretto infetto, che possano determinare inattivazione l’antibiotico.
  3. Compliance del proprietario e del paziente, anche in funzione dei tempi di trattamento previsti.
  4. Eventuale tossicità dell’antibiotico o possibilità di effetti indesiderati e collaterali, anche in funzione del tempo di trattamento previsto.
ClassificazioneAntibiotici di prima sceltaDosaggio
Infezione non complicataAmoxicillina11-15 mg/kg per os ogni 8 ore
Trimetoprim- Sulfa15 mg/kg per os ogni 12 ore (dose determinata su totale Trimetoprim + Sulfadiazina)
Infezione complicata (eseguire esame colturale ed antibiogramma)Amoxicillina11-15 mg/kg per os ogni 8 ore
Trimetoprim-Sulfa15 mg/kg per os ogni 12 ore  (dose determinata su totale Trimetoprim + Sulfadiazina)
Pielonefrite (eseguire esame colturale ed antibiogramma)EnrofloxacinaCane: 15-25 mg/kg per os ogni 24 ore

Amoxicillina

Viene escreta nelle urine quasi esclusivamente in forma attiva, in presenza di funzione renale conservata. Viene preferita alla associazione amoxicillina ed ac. clavulanico, non essendoci evidenze del vantaggio nell’utilizzo della associazione delle due molecole nei confronti della sola amoxicillina. Nel caso l’antibiogramma indirizzasse all’utilizzo di amoxicillina ed ac. Clavulanico, il dosaggio raccomandato è di 12.5-25 mg/kg per bocca  ogni 8 ore (la dose è determinata sul totale amoxicillina + ac. clavulanico). L’ampicillina non è solitamente contemplata per la scarsa biodisponibilità dopo somministrazione per via orale (via di somministrazione di maggiore utilizzo nel caso di UTI non complicate e con paziente non in regime di ricovero).

Trimetoprim-Sulfa

Rappresenta un’ottima scelta, in modo particolare nei cani maschi, in cui sia diagnosticata o sospettata un’infezione della prostata. Deve essere posta attenzione agli effetti indesiderati, che possono manifestarsi in alcuni pazienti in seguito alla somministrazione di trimetoprim-sulfa; forme idiosincrasiche e immuno-mediate sono più frequenti in corso di terapie di lunga durata. Nel caso di somministrazione superiore ai 7 giorni sono consigliabili un test oftalmico di Schirmer prima di iniziare la somministrazione del farmaco e la sua ripetizione settimanale fino a termine terapia. Inoltre, è necessario informare il proprietario circa la possibilità di sviluppo di KCS e sulla necessità di un monitoraggio domiciliare della lacrimazione.

Enrofloxacina

Viene escreta nelle urine quasi completamente in forma attiva. Sono documentate sempre maggiori resistenze a questo antibiotico ed ha una scarsa efficacia nei confronti degli enterococchi, ma viene considerata una buona prima scelta in corso di pielonefrite. Il suo utilizzo in corso di pielonefrite prevede il ricorso a dosaggi più elevati rispetto a quelli abitualmente consigliati. Gli elevati dosaggi ed il lungo periodo di somministrazione, in caso di pielonefrite, rendono necessario un attento monitoraggio della funzionalità renale e la valutazione del rischio di retinopatia nel gatto. Nel caso di comparsa di segni di retinopatia il farmaco deve essere preferibilmente interrotto. Alternativa all’enrofloxacina può essere rappresentata dalla marbofloxacinaanch’essa escreta nelle urine principalmente in forma attiva. Sono documentate sempre maggiori resistenze anche a questo antibiotico che ha una scarsa efficacia nei confronti degli enterococchi, ma è considerata una scelta corretta in corso di pielonefrite. Nel caso l’antibiogramma identifichi sensibilità alla marbofloxacina e non all’enrofloxacina il dosaggio consigliato è di 4-6 mg/kg ogni 24 ore per un periodo massimo di 30 giorni.

Cefalessina, Cefadroxil, Ceftiofur

La maggiore limitazione che si pone all’utilizzo di questi antibiotici è dovuta alla resistenza degli enterococchi. In alcuni casi (scarsa compliance del paziente e difficoltà a ricorrere alla somministrazione orale) potrebbe essere scelta la cefovecina al dosaggio di 8 mg/kg sottocute ogni 7 giorni (il trattamento può essere ripetuto dopo 7-14 giorni). La cefovecina ha un lungo periodo di escrezione nelle urine e questo può rendere difficoltosa l’interpretazione di esami colturali di controllo post trattamento. Anche la Cefovecina non è attiva nei confronti degli enterococchi.

Doxiciclina

Ha una principale escrezione intestinale e la sua concentrazione nelle urine può essere anche estremamente bassa, e questo ne limita l’utilizzo nelle UTI. Nel caso di utilizzo della doxiciclina, basata su antibiogramma, il dosaggio solitamente raccomandato è di 5 mg/kg per os ogni 12 ore.

Nitrofurantoina

Ha una attività batteriostatica nei confronti di numerosi Gram negativi e di alcuni Gram positivi; non è attiva nei confronti diProteus sppSerratia spp e Pseudomonas spp. Può rappresentare una valida seconda scelta, in modo particolare quando ci troviamo di fronte ad infezione non complicata, oppure quando i batteri identificati denotano multiresistenza. Il dosaggio di nitrofurantoina raccomandato è di 5 mg/kg per os ogni 8ore (potendo arrivare anche a 10 mg/kg per os ogni 8 ore nel cane). La nitrofurantoina può antagonizzare l’attività antimicrobica dei Fluorochinoloni e la loro associazione non è consigliabile. Nel caso venga somministrata per lunghi periodi, è necessario il monitoraggio della funzionalità renale.

Buon lavoro!

 

Dr Andrea Zatelli
Dr.ssa Paola D’Ippolito
Consulenti Scientifici

Via Amedeo d'Aosta, 7 - 20129 Milano MI

Tel 0229404636

Fax 0229404644

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Letture consigliate

Weese JSBlondeau JMBoothe DBreitschwerdt EBGuardabassi LHillier ALloyd DHPapich MGRankin SCTurnidge JDSykes JE. Antimicrobial use guidelines for treatment of urinary tract disease in dogs and cats: antimicrobial guidelines working group of the international society for companion animal infectious diseases. Vet Med Int. 2011.

J.S. Weese, S. Giguere, L. Guardabassi, P.S. Morley, M. Papich, D.R. Ricciuto, and J.E. Sykes. ACVIM Consensus Statement on Therapeutic Antimicrobial Use in Animals and Antimicrobial Resistance. J Vet Intern Med 2015.


Microbioma e Microbiota intestinale: caso clinico n. 1/2018

CASO CLINICO n. 1/2018
Victor è un jack Russel di 8 anni che vive 8 mesi all’anno in Florida. Nel Marzo di quest’anno viene ricoverato d’urgenza per vomito quotidiano, diarrea, dolori addominali.

L’esame obiettivo generale rivela un cane nauseato, inappettente, con addome contratto e poco trattatibile. Gli esami ematobiochimici supportano l’ipotesi diagnostica di pancreatite:
i granulociti neutrofili sono: 12.69 (V.N. 2.95-11.64)
Lipasi 5362 (V.N. 200-1800)
Amilasi 1978 (V.N. 500-1500)
CPL: gravemente anormale
La citologia fecale evidenzia un’abnorme crescita di Clostridium spp.
La diagnosi finale è dunque di pancreatite ed enterite da Clostridium spp.
Victor è ricoverato in clinica e trattato con fluidi endovena, Cerenia, anti-acidi, Metronidazolo e Probiotici.
Dopo pochi giorni la patologia acuta si risolve e il cane viene dimesso con la prescrizione di una dieta commerciale Low fat .
Le condizioni di Victor però non sono eccellenti: persiste infatti la diarrea ed il vomito più volte alla settimana.
Poche settimane dopo i proprietari tornano in Italia e decidono di sottoporre il cane a nuovi accertamenti diagnostici. Il Veterinario curante cui si rivolgono, esegue un esame microbiologico delle feci presso lo Zooprofilattico che isola Clostridium perfrigens e Clostridium spp.
In seguito ad un nuovo trattamento antibiotico senza alcun risultato soddisfacente, il Collega decide di analizzare il microbiota intestinale di Victor per verificare un’eventuale disbiosi e valutare l’efficacia della dieta .
Le feci vengono prelevate durante l’emissione spontanea, prima che tocchino terra ed inserite in un apposito contenitore con una sostanza preservante il DNA batterico. La quantità necessaria per l’analisi è di circa 2 grammi.
La metodica analizza le 7 regioni variabili del gene 16SRNA ottenendo così una copertura completa dell’intero genoma batterico che evidenzia la presenza di numerose OTU batteriche relative ai batteri del genere “Leclercia Adecarboxilata”, mentre il numero di OTU batteriche relative al Clostridium Perfrigens e Paraputrificum è solo lievemente aumentata.
Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Il batterio identificato come Leclercia Adecarboxilata è un bacillo Gram negativo che vive generalmente nelle acque stagnanti responsabile in Florida di numerosi casi di patologie gastrointestinali in pazienti immunocompetenti. La patogenicità del batterio è pari a quella dell’E. Coli , ma generalmente è opportunista, dipendendo da altri batteri: in questo caso i Clostridi.

Nel cane sono segnalate forme di eritema e dermatite pustolosa ricorrente resistente ai normali trattamenti antibiotici.
Victor dopo un adeguato trattamento a base di Enrofloxacina non ha più manifestato sintomi gastrointestinali.
L’analisi metagenomica delle feci si rivela quindi un utile strumento diagnostico in caso di patologie intestinali non facilmente risolvibili.

Daniela Olivero Medico Veterinario
Responsabile Istologia e Gastroenterologia
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Dr A. Zatelli-D.ssa P. D'Ippolito: La batteriuria subclinica nel gatto

Il gatto è stato a lungo considerato un animale particolarmente resistente alla colonizzazione batterica delle vie urinarie, che è stata identificata con maggiore frequenza nel sesso femminile, nei gatti in età avanzata ed in quelli affetti da patologie concomitanti (diabete, ipertiroidismo, malattia renale cronica) e con riduzione del peso specifico urinario.(1,2) 
Per batteriuria subclinica (BS) si intende l’identificazione di batteri all’esame delle urine, non associata a segni clinici di infezione delle vie urinarie. 
Uno studio clinico prospettico della durata di 3 anni ha valutato la prevalenza di BS in gatti anziani con funzionalità renale conservata; a tale scopo sono stati effettuati 5 esami colturali delle urine su campioni raccolti per cistocentesi ed i gatti con esame colturale positivo, ma assenza di segni clinici di infezione delle vie urinarie non sono stati sopposti a trattamento.(3) 
Gli Autori hanno inoltre valutato la possibile correlazione della BS con la mortalità (indipendentemente dalle cause di mortalità).(3) Sono stati inclusi nello studio 67 gatti, 28 femmine e 39 maschi, considerati arbitrariamente anziani, perché di età uguale o superiore ai 7 anni. 
Hanno evidenziato BS, ad uno o più esami colturali effettuati durante lo studio, 11 gatti, di cui 9 femmine e 2 maschi e la BS è stata rilevata con una prevalenza variabile dal 10% al 13% e quasi il 50% dei campioni positivi hanno evidenziato piuria all’esame del sedimento urinario. 
I batteri più facilmente isolati sono stati E. coli e Staphylococcus spp. coagulasi negativo. Nel corso dello studio, le femmine sono risultate a maggior rischio di BS, senza correlazioni significative con il Peso Specifico urinario e la funzionalità renale. 
Gli Autori non hanno evidenziato alcuna correlazione tra BS, peggioramento delle condizioni cliniche dei gatti che ne erano affetti e mortalità. 
I risultati dello studio di White e Colleghi (3) mettono in evidenza la prevalenza elevata di BS nel gatto e sollevano due importanti quesiti: 
1) In assenza di segni clinici di infezione delle vie urinarie, la sola identificazione di batteri all’esame delle urine determina la necessità di una terapia antibiotica? 
2) Quale è il nesso di causalità tra batteriuria e malattia renale cronica? 
La risposta alla prima domanda ci viene offerta dal Consensus Statement on Therapeutic Antimicrobial Use in Animals and Antimicrobial Resistance (4), che considera come non opportuno il trattamento antibiotico della batteriuria non associata a segni clinici di infezione delle vie urinarie. La terapia antibiotica è attualmente oggetto di attenta disanima nella clinica del gatto e del cane e la principale limitazione al suo utilizzo viene identificata nel rischio di antibiotico resistenza, in modo particolare nel caso di proprietari che possono interrompere il trattamento a causa di scarsa compliance del paziente o per motivi di costi. Anche gli Autori dello studio (3), concludono che i dati in loro possesso sembrano confermare che un risultato positivo all’esame colturale delle urine, in assenza di segni clinici, non meriti un trattamento antibiotico se non nei pazienti a rischio, quali quelli immunosoppressi o immunodepressi e i gatti affetti da malattia renale, nei quali una eventuale risalita dei batteri dalle basse alle alte vie urinarie potrebbe determinare l’insorgenza di una pielonefrite ed il conseguente decremento di una funzionalità renale compromessa.
Nel merito del nesso di causalità tra batteriuria e malattia renale cronica, le difficoltà incontrate nella pratica clinica al rispondere a questa domanda sono notevoli, in modo particolare se si pensa che la certa identificazione di un danno renale associato ad infezione delle vie urinarie spesso non è ottenibile se non attraverso procedure che prevedono il campionamento di tessuto e la sua successiva valutazione istopatologica e/o colturale. E’ altresì vero che, essendo identificata la BS con prevalenza elevata anche nei gatti non affetti da malattia renale cronica, non potremo permetterci di considerare l’eventuale batteriuria quale certa causa del danno renale e sarà necessario percorrere un iter diagnostico che tenga in considerazione tutte le possibili cause di nefropatia. 
Utilità clinica 
1) Un esame delle urine positivo per la presenza di batteri (incluso un esame colturale positivo), in assenza di segni clinici di infezioni delle vie urinarie, non merita un trattamento antibiotico se il paziente non è considerato a rischio di peggioramento del quadro clinico (ad esempio sepsi nei gatti immunosoppressi o immunodepressi; pielonefrite gatti affetti da malattia renale cronica). 
2) La prevalenza di batteriuria subclinica nei gatti è elevata. Nella popolazione affetta da nefropatia, è ragionevole proporre un esame colturale delle urine in associazione all’esame chimico-fisico e del sedimento, anche in assenza di segni clinici di infezione delle vie urinarie. 
3) L’identificazione di batteri nelle urine di un gatto nefropatico deve essere interpretata con cautela, senza essere necessariamente considerata quale causa del danno renale. 

Buon lavoro!
Dr Andrea Zatelli 
Dr.ssa Paola D’Ippolito 
Consulenti Scientifici







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Tel 0229404636
Fax 0229404644

Bibliografia

1) Lekcharoensuk C, Osborne CA, Lulich JP. Epidemiologic study of risk factors for lower urinary tract diseases in cats. J Am Vet Med Assoc. 2001;218(9):1429-1435.

2) Lister A, Moss S, Platell J, Trott DJ. Occult bacterial lower urinary tract infections in catsurinalysis and culture findings. Vet Microbiol. 2009;136(1-2):130-134.

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