IL REFERTO ISTOLOGICO: Parte I: dall'identificazione del caso alla descrizione microscopica "subgross"
Con questa pillola di istologia si apre una serie dedicata alla spiegazione delle varie parti di cui si compone un referto istologico.
Ciò permette una migliore comprensione della struttura e dei dettagli del referto stesso, anche da parte di chi normalmente non si occupa di patologia e rende più facile spiegare il referto anche ai proprietari degli animali.
Iniziamo a vedere insieme le varie parti che compongono il REFERTO ISTOLOGICO:
A. I primi dati che vengono riportati su ogni referto istologico sono quelli relativi all’identificazione del caso (data di accettazione, numero di referto, data di refertazione, dati del proprietario e del Medico Veterinario referente), seguiti dai dati di segnalamento del soggetto (specie, razza, sesso, età), oltre al numero progressivo di inclusione dei campioni.
B. Segue quindi un campo che riporta i dati forniti dal clinico in merito alla descrizione del materiale inviato e all’anamnesi: ovviamente i dati saranno tanto più ricchi ed esaustivi ed utili al patologo stesso quanto più sarà dettagliata la descrizione del caso e del materiale inviato fatta dal clinico. Per questo vi invitiamo a consultare, seguendo il link riportato in seguito, una delle nostre passate “Pillole di istologia” relativa alla corretta compilazione del modulo di richiesta per gli esami istologici: L'importanza della corretta compilazione del modulo di richiesta dell'esame istopatologico - Biessea
C. Entrando nella sezione descrittiva, il primo campo che troveremo sarà quello della Descrizione Macroscopica del campione o dei campioni; vediamo quindi quali possono essere le informazioni qui riportate ed il loro significato:
- Tipo di campionamento: biopsia incisionale (il che significa che il campione è rappresentativo solo di una parte della lesione) eseguita mediante punch bioptico, o mediante ago bioptico o con altro mezzo chirurgico, biopsia escissionale (ovvero campione rappresentativo della lesione in toto), biopsie endoscopiche etc…
- Dimensioni del campione: vengono indicate le dimensioni post-fissazione, che possono risultare lievemente inferiori rispetto a quelle del campione appena escisso.
- Informazioni relative ai margini: vengono riportate ogni qual volta possibile, sulla base delle indicazioni fornite dal clinico sull’eventuale orientamento spaziale dei margini del campione (ad esempio con un diverso numero di punti da sutura o con colori acrilici o inchiostri diversi posti sui vari margini del campione). Tali indicazioni sono poi utilizzate dal patologo durante la lettura istologica dei preparati per la valutazione dei margini chirurgici, che può essere effettuata grazie a varie metodiche di trimming (idonee alla tipologia del campione stesso).
Nota bene: relativamente alla corretta indicazione dei margini chirurgici (nel caso si sia effettuata un’exeresi completa di una lesione e si intenda richiederne appunto la valutazione dei margini di escissione) vi invitiamo a consultare una delle nostre passate “Pillole di istologia” dedicata a tale argomento: Come indicare correttamente i margini chirurgici al laboratorio - Biessea
D. Ed ora iniziamo finalmente ad entrare “nel cuore” di un referto istologico, ovvero nella sezione dedicata alla Descrizione Microscopica:
La descrizione microscopica si compone fondamentalmente di 7 paragrafi per le lesioni neoplastiche, con alcuni punti descrittivi in comune con le lesioni non neoplastiche (come ad esempio quelle infiammatorie).
In questa prima “Pillola di istologia” dedicata alle parti del referto istologico analizzeremo il primo di questi paragrafi, rimandando gli altri “alle prossime puntate” e nel corso di queste, dopo aver parlato dei punti descrittivi delle lesioni neoplastiche, tratteremo nel dettaglio la descrizione di quelle non neoplastiche.
I. Descrizione Microscopica, prima parte: descrizione “sub-macroscopica” o “subgross”.
In questo paragrafo il patologo indica quanto osservabile relativamente al campione e alle lesioni in esso presenti valutando i preparati ad un basso ingrandimento, ovvero solitamente con obiettivi 2,5x oppure 4x. I parametri valutabili a questo ingrandimento sono i seguenti:
- Organo/i tessuto/i coinvolti, localizzazione esatta delle lesioni e loro distribuzione: ad esempio potremmo indicare che la lesione o le lesioni coinvolgono come organo la cute ed in particolare il derma superficiale e medio (risparmiando il derma profondo ed il sottocute). Ovviamente nella maggior parte dei casi il clinico sa già perfettamente quale sia l’organo coinvolto da una lesione, ma può capitare, ad esempio per lesioni intracavitarie soprattutto intra-addominali che non sia immediatamente chiaro a livello macroscopico, durante la chirurgia, quale sia la sede di origine di una lesione occupante spazio. Inoltre, indicare la localizzazione esatta di un processo patologico, consente di individuare con precisione il coinvolgimento stratigrafico nel caso di organi con una precisa stratigrafia (come la cute e gli organi cavi). Soprattutto per le lesioni non neoplastiche, ad esempio infiammatorie, si indica anche il loro pattern di distribuzione: ad esempio diffuso, disseminato, multifocale, multifocale-confluente.
- Dimensioni/estensione delle lesioni: possono essere indicate le dimensioni assolute della lesione (come spesso si fa nel caso di masse neoplastiche) o relative, riportando la percentuale di tessuto campionato coinvolto.
- Forma: la forma delle lesioni viene indicata nel caso di neoplasie ed altre lesioni occupanti spazio. Una massa, ad esempio, può avere forma rotondeggiante o globosa, ovoidale, allungata, a placca, concava, cupoliforme, polipoide, con base di impianto peduncolata o sessile.
- Aspetto capsulato o non capsulato o con pseudocapsula composta da tessuto connettivale compresso dall’espansione della lesione.
- Demarcazione: si indica se la lesione è ben delimitata, moderatamente delimitata, scarsamente delimitata o non delimitata.
- Tipo di crescita: comportamento espansivo o infiltrante a carico del tessuto in cui si sviluppa la lesione.
- Densità cellulare: questo parametro si indica sia per le lesioni neoplastiche che per altre lesioni, ad esempio nel caso di un infiltrato infiammatorio.
Dr.ssa Gaia Vichi - DVM, Dipl.ECVP
Immunoistochimica: cosa è e a cosa serve?
Talvolta alla fine di un referto istologico il clinico può trovare un commento del patologo che indica la possibilità di eseguire sui tessuti stessi, già esaminati, un’indagine aggiuntiva di immunoistochimica.
A volte si pensa che l’esame istologico in sé sia quanto di più completo ed esaustivo per la diagnosi di una determinata entità patologica, così nel riscontrare nel commento un simile “suggerimento” di approfondimento diagnostico il clinico può restare deluso in questa sua aspettativa.
Indubbiamente il patologo si limita ad elencare al clinico quali sono le varie opportunità per completare il quadro diagnostico, lasciando poi la scelta di richiedere o meno tali indagini aggiuntive al cliente stesso, offrendo sempre e comunque la propria disponibilità a spiegare, con la propria attività di consulenza, l’utilità di tali eventuali test.
In ogni caso può risultare utile, al clinico, la lettura di questo breve approfondimento relativo all’immunoistochimica, per comprenderne al meglio il funzionamento e l’utilità.
Senza scendere troppo nei dettagli tecnici, l’immunoistochimica è una tecnica analitica che si esegue sui tessuti al fine di valutare l’espressione, da parte delle cellule che li compongono, di determinate molecole mediante l’utilizzo di anticorpi specifici che le vanno a legare, sul tessuto stesso, e di opportuni sistemi di rilevamento di tale legame per mezzo di anticorpi secondari.
Vediamo ora quale sia l’utilità e quali possano essere le applicazioni di questa metodica.
Generalmente l’immunoistochimica trova il suo impiego per la diagnostica oncologica, essendo utile alla rilevazione sui tessuti neoplastici dell’espressione di determinate molecole da parte delle cellule che li compongono, definite generalmente come marker tumorali.
Ad esempio, alcune neoplasie possono risultare assai scarsamente o solo parzialmente differenziate, per cui, anche con l’esame istologico di base, che prevede l’utilizzo della colorazione di routine ematossilina/eosina e talvolta di alcune colorazioni ‘speciali’ istochimiche (come il Blu di Toluidina o il Giemsa per rivelare la metacromasia delle granulazioni citoplasmatiche dei mastociti), può risultare impossibile effettuare una diagnosi morfologica esatta, ovvero dire con certezza di quale neoplasia si tratti.
Questo può accadere per alcune neoplasie maligne con elementi cellulari talmente immaturi, poco o quasi per nulla differenziati, da rendere impossibile determinarne l’origine tissutale solo sulla base dei loro caratteri morfologici e della loro disposizione.
In altri casi, pur riuscendo a definire in parte la natura del tessuto neoplastico, come ad esempio nel caso dei cosiddetti sarcomi dei tessuti molli, il patologo non può esprimersi con certezza assoluta sull’origine tissutale della neoplasia stessa in quanto nello spettro di tali entità ricadono neoplasie differenti, ma con aspetti morfologici in parte sovrapponibili. Nel caso dei sarcomi dei tessuti molli, appunto, risulta spesso difficile o impossibile determinare con certezza, solo sulla base dei loro caratteri morfologici, se l’origine sia ad esempio dalle guaine perivascolari o dalle guaine nervose periferiche.
Analogamente spesso anche le neoplasie rotondocellulari risultano non così ben differenziate, dal punto di vista morfologico, da consentirne una diagnosi certa con il solo esame istologico di base o ancora, nel caso di un disordine linfoproliferativo, il solo aspetto istologico delle lesioni può essere border-line tra una forma neoplastica, ovvero linfomatosa, ed una forma reattiva.
Per i linfomi, inoltre, l’immunoistochimica, consentendo di definire l’immunofenotipo neoplastico, fa parte del gold standard diagnostico che comprende esame citologico, esame istologico, definizione dell’immunofenotipo neoplastico B o T appunto mediante indagine immunoistochimica e valutazione della clonalità linfoide mediante PCR (PARR).
Ci sono inoltre anche casi in cui la valutazione, con indagini di immunoistochimica, dell’espressione di determinati marker, è utile per attribuire un maggiore valore prognostico al referto stesso.
Ad esempio, per i mastocitomi del cane, è possibile eseguire, ad integrazione del referto base, un’indagine immunoistochimica per C-Kit (CD117). Tale molecola è un recettore tirosin-chinasico che gioca un importante ruolo nelle neoplasie mastocitarie canine (così come in quelle umane). L’espressione immunoistochimica di questo marker è in condizioni normali è di tipo membranario, mentre viene considerata aberrante una sua localizzazione in sede citoplasmatica (a spot perinucleari o diffusa).
In altri casi esistono marker utili a valutare la frazione di crescita cellulare, come il Ki67, per cui sono stati determinati in letteratura scientifica dei valori di cut-off (espressi come percentuale di nuclei positivi) utili ai fini prognostici nel caso di determinate neoplasie, come quelle di origine melanocitaria o gli stessi mastocitomi nel cane.
Senza scendere ulteriormente nei dettagli esistono anche innumerevoli altri esempi di utilità diagnostica delle indagini di immunoistochimica.
Come già accennato è compito del patologo, a seconda di ciascun caso istologico, indicare al clinico se vi siano e quali siano le ulteriori opportunità di approfondimento diagnostico utili ai fini prognostici/terapeutici. Resta poi una libera scelta del medico veterinario, dietro consiglio del suo oncologo clinico di fiducia, avvalersi o meno di tali indagini supplementari, anche a seconda della volontà e della compliance dei proprietari degli animali relativa all’iter oncologico/terapeutico del caso.
Un ulteriore, ma non meno importante, campo di utilità diagnostica dell’immunoistochimica si ha, infine, nella diagnostica infettivistica. In alcuni casi, infatti, la molecola target può essere un antigene espresso da un agente patogeno, come ad esempio un Papillomavirus o il Feline Infectious Peritonitis Coronavirus (il virus della FIP). In tal caso mediante l’immunoistochimica è resa possibile la visualizzazione diretta sui tessuti, nonché la relativa esatta localizzazione negli stessi, di uno specifico antigene, indicativo della presenza del patogeno stesso.
Sperando che questo brevissimo approfondimento possa risultare utile a comprendere il motivo per cui, a volte, il patologo indica nel commento la possibilità di eseguire indagini di immunoistochimica su un caso istologico, ricordiamo che siamo sempre a disposizione dei clinici per spiegazioni e suggerimenti relativi ai loro esami.
Dr.ssa Gaia Vichi - DVM Dipl. ECVP
Campioni endoscopici dell'apparato gastroenterico
Parliamo oggi delle biopsie endoscopiche eseguite ai fini diagnostici in corso di patologie croniche del tratto gastroenterico nel cane e nel gatto.
Il campionamento bioptico per via endoscopica andrebbe solitamente eseguito in seguito ad un iter completo diagnostico volto a fornire dati clinici e di patologia clinica, nonché in seguito a trials terapeutici (es. con cambi di dieta mirati, integrazioni con prebiotici/probiotici etc…) e ad indagini di diagnostica per immagini.
Se alla fine di tale iter diagnostico non si riesce a giungere ad una conclusione diagnostica e si sospetta la presenza di una patologia infiltrativa o di una lesione focale a carico del tratto gastroenterico con interessamento mucosale vi sono i presupposti per un’indagine endoscopica con campionamento bioptico.
Il valore diagnostico dell’esame endoscopico, in questi casi, è dato dalla possibilità di visualizzare direttamente l’aspetto macroscopico dei tratti raggiungibili (esofago-stomaco-duodeno-colon ed in alcuni casi ileo), dalla possibilità di ottenere campioni multipli dallo stesso tratto, aumentando le chances diagnostiche anche per lesioni che possono avere una distribuzione irregolare a livello mucosale.
Ovviamente qualora le indagini di diagnostica per immagini abbiano evidenziato alterazioni stratigrafiche parietali in sede più profonda rispetto alla tonaca mucosa e al piano più superficiale della sottomucosa, oppure in sedi non raggiungibili mediante endoscopia (es. digiuno), è consigliabile il campionamento transmurale per via chirurgica (sebbene più invasivo dell’esame endoscopico).
Il prelievo bioptico per via endoscopica va eseguito in maniera tale da avere un numero sufficiente di campioni da esaminare, di profondità, dimensioni e qualità adeguate dal punto di vista diagnostico. Non ci soffermiamo su questo punto in quanto il clinico si avvarrà della collaborazione di endoscopisti esperti con conoscenze ed abilità tecniche tali da eseguire dei buoni campionamenti.
Dal punto di vista della “vita dei campioni” dal prelievo al conferimento al laboratorio ci sono invece alcuni punti degni di essere sottolineati per la loro importanza ai fini della successiva qualità ed esaustività diagnostica:
1 – I campioni dovrebbero essere estratti dalle pinze bioptiche con estrema delicatezza mediante l’ausilio di un ago ed immersi in un adeguato volume di fissativo e con la corretta concentrazione dello stesso (ad esempio in un volume di formalina tamponata al 10%, 9 volte maggiore al volume dei campioni) prima della loro possibile essiccazione, nel più breve tempo possibile, preferibilmente dopo essere stati deposti su un apposito supporto, come cartine per prelievi bioptici o spugnette da chiudere in biocassette di plastica (vedi figura 1)
2- I campioni, se posizionati su supporti come le cartine per prelievi bioptici, dovrebbero essere orientati in file parallele e minuziosamente allineati tra loro, con la parte più profonda appoggiata al supporto e la superficie verso l’alto (ed evitando un’eccessiva pressione in grado di danneggiare i campioni stessi). Le cartine, infatti, non creano problemi al taglio con microtomo solo se incluse nel blocchetto di paraffina perpendicolarmente rispetto alla superficie di taglio: quindi al taglio stesso tutti i campioni devono risultare perfettamente allineati per “affiorare” insieme sulla stessa sezione e disposti in maniera tale che la loro stratigrafia sia interamente osservabile sullo stesso piano di taglio (vedi figura 1 e figura 2)
3 – I campioni provenienti da tratti diversi dell’apparato gastroenterico non dovrebbero essere “mescolati” tra loro, ma ogni contenitore o biocassetta dovrebbe contenere campioni provenienti dallo stesso tratto e la sede di prelievo dovrebbe essere chiaramente indicata sul contenitore o sulla biocassetta, in quest’ultimo caso utilizzando una matita(per evitare che eventuali inchiostri possano dissolversi durante le successive fasi di processazione dei campioni stessi)
4 – Il materiale inviato al laboratorio dovrebbe essere accompagnato da un’adeguata scheda anamnestica con dati clinici, di patologia clinica, diagnostica per immagini, esito di eventuali trials terapeutici e dettagli endoscopici, se possibile anche assieme allo stesso referto endoscopico.
Figura 1: estrazione delicata con ago dei campioni dalla pinza bioptica e loro corretto posizionamento su apposito supporto (spugnetta o, come riportato nell’immagine cartina per prelievi bioptici). NB: come descritto nel riquadro in alto i campioni vanno appoggiati sul supporto con la loro parte più profonda, mentre la porzione più superficiale, corrispondente alla superficie mucosale, risulta rivolta verso l’alto.
Figura 2: durante l’inclusione in paraffina qualora siano state usate cartine apposite per deporre i campioni bioptici queste vengono orientate perpendicolarmente rispetto a quella che sarà la superficie di taglio al microtomo. Risulta pertanto di estrema importanza che le biopsie siano perfettamente allineate così da poter risultare presenti su un unico piano di taglio e che siano orientate correttamente secondo la stratigrafia tissutale (vedi figura 1).
Dr.ssa Gaia Vichi DVM, Dipl. ECVP
Standardizzazione Diagnostica: La Conta Mitotica
Solitamente in un referto istologico relativo ad una lesione neoplastica sono riportati 7 punti fondamentali:
- descrizione a piccolo ingrandimento o subgross,
- pattern cellulare e descrizione dello stroma,
- caratteri citologici della popolazione neoplastica,
- anisocitosi/anisocariosi ed altre caratteristiche cellulari,
- attività mitotica,
- aspetti correlabili alla malignità come invasione vascolare o capsulare, necrosi ed emorragia,
- altri dettagli come segni di mineralizzazione, ulcerazione, infiammazione
Tra questi uno dei più importanti, che rientra anche negli schemi di grading di molte neoplasie o ad ogni modo è spesso riconosciuto come indicatore prognostico significativo anche per entità neoplastiche per cui non è stato definito un vero e proprio sistema di grading è l’attività mitotica.
Questa viene valutata come conta mitotica, ovvero come numero di mitosi identificate su una determinata superficie di tessuto in esame.
Nell’ultimo decennio il mondo della patologia si è iniziato a porre la questione della standardizzazione diagnostica, che include, dove possibile, l’oggettivazione della valutazione dei vari parametri morfologici, soprattutto nel caso di entità neoplastiche.
Uno dei parametri più facilmente oggettivabili e più importanti da valutare in maniera standardizzata è appunto la conta mitotica.
In passato la conta delle mitosi veniva effettuata su un’area di 10 campi a forte ingrandimento (High Power Fields o HPFs). Purtroppo, quest’area ha dimensioni differenti a seconda del sistema ottico utilizzato dal patologo (e per le scansioni digitali varia a seconda delle caratteristiche del monitor e, ovviamente, dell’ingrandimento utilizzato).
Al fine di standardizzare la conta mitotica, eseguendola su un’area di dimensioni inequivocabilmente stabilite, la comunità scientifica ha scelto il sistema metrico internazionale per la sua misurazione e come valore quello dell’area corrispondente a 10 HPFs esaminati con il tipo di oculari ad ingrandimento 10X più diffuso, ovvero con numero di campo (Field Number o FN) pari a 22. Tale area, osservata a forte ingrandimento con obiettivo ad ingrandimento 40x equivale a 2,37mm2.
Nel caso si utilizzino altri tipi di oculari l’area di 2,37 mm2 corrisponde ad un diverso numero di campi visivi (field of view o FOV). Così il patologo che utilizza oculari con FN18 dovrà eseguire la conta mitotica su 15 campi, quello che usa oculari con FN20 su 12 campi e quello che usa oculari con FN26,5 su 7 campi, ma, aspetto fondamentale della questione, tutti valuteranno le mitosi sulla stessa identica area!
In microscopia digitale i sistemi informatici consentono il calcolo e l’annotazione di un’area di 2,37mm2 in maniera anche più semplice.
Oltre alla superficie su cui effettuare la conta mitotica un altro aspetto standardizzabile è il metodo con cui effettuare la scelta dell’area da valutare su un’intera sezione. In questo caso la comunità scientifica indica di effettuare la conta mitotica laddove sono più elevate la densità cellulare e l’attività mitotica (cosiddetto hot-spot).
Infine, ovviamente, la comunità scientifica ha fornito chiare indicazioni anche sulla distinzione tra figure mitotiche da conteggiare (tra cui anche le mitosi atipiche o multipolari) e le cosiddette false-mitosi o mitotic-like figures (MLF), già ben nota ai patologi, ma importante comunque da riportare nelle linee guida internazionali alla luce dell’obiettivo della standardizzazione diagnostica.
Grazie al continuo progresso dell’attività dei vari gruppi di lavoro per la standardizzazione diagnostica il mondo della patologia sta cercando di uniformare il livello di precisione e la qualità stessa dei referti istopatologici, con un conseguente miglioramento sia del servizio diagnostico stesso, sia della precisione e dell’uniformità delle informazioni scientifiche che si possono ottenere dall’attività diagnostica anche ai fini di ricerca (senza standardizzazione viene meno il fondamento della ripetibilità degli studi scientifici stessi).
È importante, infine, anche che tali informazioni vengano trasmesse ai clinici, in quanto si troveranno a leggere referti ‘in evoluzione’ alla luce delle linee guida internazionali e a dover interpretare informazioni fornite secondo le stesse linee guida. Con questa ‘pillola di istologia’ abbiamo ad esempio cercato di spiegare perché la conta mitotica si sta evolvendo da numero di mitosi su 10 HPFs a numero di mitosi su un’area di 2,37mm2.
Dr.ssa Gaia Vichi - DVM Dipl. ECVP
Bibliografia:
- Mitotic Count and the Field of View Area: Time to Standardize. D. J. Meuten, F. M. Moore, J. W. George. Guest Editorial. Vet Pathol 2016 Vol. 53(1) 7-9
- International Guidelines for Veterinary Tumor Pathology: A Call to Action. D. J. Meuten et al. Vet Pathol 2021 58(5):766-794
- Veterinary Cancer Guidelines and Protocols website: www.vcgp.org
Grading dei sarcomi dei tessuti molli nel gatto
I sistemi di grading istologico delle neoplasie, soprattutto nel campo della patologia veterinaria si evolvono e cambiano nel tempo grazie ad importanti studi scientifici che consentono di identificare, non solo per ogni entità patologica, ma per ogni specie animale coinvolta, i parametri, valutabili sulla base dell’esame istologico, che abbiano correlazione significativa con la prognosi.
In passato ed ancora oggi non sono stati identificati, per alcune neoplasie e per alcune specie animali, sistemi di grading con validità universalmente riconosciuta ed in alcuni casi il relativo sistema di grading è stato estrapolato da quello utilizzato in medicina umana o da quello utilizzato per altre specie animali.
Sarebbe tuttavia auspicabile riuscire ad ottenere, nel tempo, una validazione o un valido adattamento o ancora una nuova formulazione degli schemi di grading differenti, relativamente ad ogni tipologia neoplastica, per le varie specie animali.
Ad esempio, per i sarcomi dei tessuti molli del gatto, alcuni studi condotti in passato hanno utilizzato il sistema di grading validato in precedenza per la specie canina dagli studi di Mc Sporran del 2009, Dennis et. al del 2011 (sistema basato sulla valutazione della conta mitotica, della presenza ed eventuale estensione di fenomeni di necrosi e del grado di differenziazione neoplastica).
Tuttavia, un recentissimo lavoro di Dobromylskyj et al. del 2021 propone uno schema di grading specifico per i sarcomi dei tessuti molli della specie felina che si basa sulla valutazione della conta mitotica, dell’assenza o presenza e della relativa estensione di fenomeni di necrosi e dell’eventuale presenza ed entità della flogosi associata alla neoplasia stessa.
Sebbene anche la valutazione dell’entità della flogosi sia in parte soggettiva (così come nel sistema di grading utilizzato per il cane lo è sicuramente la valutazione del grado di differenziazione neoplastica), potrebbe essere reso, in futuro, un parametro maggiormente oggettivabile, mediante l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale applicati alla cosiddetta ‘patologia digitale’.
Ad ogni modo tale sistema di grading ha mostrato, secondo gli autori, una correlazione significativa tra il grado istologico ed il tempo di sopravvivenza medio (median survival time MST), rispettivamente con MST di 900.5 giorni per i soggetti con neoplasia di basso grado, MST di 514 giorni per quelli con neoplasia di grado intermedio e MST di 283 giorni per i soggetti con neoplasia di alto grado.
Figura 1. Sarcoma dei tessuti molli felino: in questo campo si apprezza la presenza di varie mitosi multipolari-atipiche. Per la conta mitotica si valuta il numero di mitosi su 10 HPF (campi a forte ingrandimento: 400x). Ematossilina-Eosina 400x
Figura 2. Sarcoma dei tessuti molli felino: in questo campo si apprezza la presenza di fenomeni di necrosi. Per attribuire un punteggio alla necrosi si valuta la sua estensione espressa come % di area occupata nel contesto del tessuto neoplastico. Ematossilina-Eosina 100x
Figura 3. Sarcoma dei tessuti molli felino: in questo campo si apprezza la presenza di flogosi associata alla neoplasia, nello specifico in questo campo si osserva un focale ampio infiltrato di linfociti. Ematossilina-Eosina 100x
Questo nuovo sistema di grading ad ogni modo necessita ancora di una validazione con studi prospettici e su larga scala, anche con eventuale valutazione di ulteriori markers prognostici (come lo stato dei margini di escissione) e potrebbe in futuro anche essere implementato con ulteriori dati con un maggiore focus su specifiche entità neoplastiche come il cosiddetto ‘sarcoma da inoculo’ o feline injection-site sarcoma (FISS).
Ad esempio, relativamente al feline injection-site sarcoma (FISS) è riportato, in un altro recente lavoro di Porcellato et al. del 2017, un valore prognostico sfavorevole per le dimensioni della neoplasia valutate in seguito a fissazione in formalina (con valore cut-off di 3,75 cm) e per la conta mitotica (con valore cut-off di 20 mitosi su 10 HPF).
In quest’ultimo studio, inoltre, relativamente al FISS, non è stata rilevata una correlazione tra la presenza/assenza di neoplasia ai margini di escissione ed il rischio di recidiva, associato invece ai due parametri appena citati (dimensioni della neoplasia e conta mitotica).
Dr.ssa Gaia Vichi – DVM DIpl.ECVP
Bibliografia:
- Prognostic factors and proposed grading system for cutaneous and subcutaneous soft tissue sarcomas in cats, based on a retrospective study. Dobromylskyj M. et al. J Feline Med Surg. 2021; 23(2):168-174.
- Feline injection-site sarcoma. Porcellato I. et al. Vet Pathol. 2017; 54(2):204-211.
Lesioni solar-induced
È fatto ormai noto che l’esposizione alle radiazioni ultraviolette della luce solare UVA (lunghezza d’onda 315-400 nm) ed UVB (lunghezza d’onda 280-315 nm), sia in grado di causare gravi alterazioni cellulari nei tessuti irradiati, in particolare a carico dell’epidermide dei distretti cutanei, soprattutto glabri o con scarsa presenza di pelo di rivestimento e non pigmentati. L’assorbimento delle radiazioni UV da parte del DNA determina la formazione di dimeri pirimidinici potenzialmente mutageni. Le radiazioni UV, inoltre, sono anche in grado di generare specie reattive dell’ossigeno (cosiddetti radicali liberi). Queste molecole altamente reattive causano molti tipi di danni al DNA, comprese alterazioni delle basi azotate, rotture dei filamenti dell’elica del DNA e cross-link DNA-Proteine. Tali alterazioni possono portare a mutazioni, attivazione di vari oncogeni ed inattivazione di geni cosiddetti tumor suppressor con conseguente variazione della sopravvivenza e della proliferazione dei cheratinociti. Inoltre, l’iniziazione e la progressione della carcinogenesi da parte dei raggi UV, coinvolge meccanismi complessi come quelli di apoptosi, proliferazione cellulare, autofagia, riparazione del DNA, segnali checkpoint, metabolismo e infiammazione. Tutto ciò si traduce, nei nostri pazienti animali, soprattutto nell’insorgenza di fenomeni di cheratosi attinica, carcinomi squamocellulari ed anche neoplasie vascolari. Alle nostre latitudini si può notare un aumento di incidenza di tali patologie durante la stagione calda, in conseguenza di un maggior tempo di esposizione degli animali alle radiazioni solari.
Figura1: schema riassuntivo degli effetti delle varie tipologie di raggi UV sulla cute.
La cheratosi attinica è classificata come lesione preneoplastica (denominata anche carcinoma ‘in situ’ in quanto i cheratinociti che proliferano nel suo contesto non oltrepassano la membrana basale dell’epidermide e non infiltrano ancora il derma sottostante). Tale lesione si caratterizza per un marcato ed irregolare ispessimento dell’epidermide per la proliferazione di cheratinociti che, oltre a poter manifestare gradi variabili di atipia cellulare, mostrano un caratteristico ‘affollamento dei nuclei’ a livello dello strato basale, un’intensa attività mitotica a carico dello strato basale e talvolta degli strati soprabasali, alterazione della normale polarità cellulare e disorganizzazione degli strati dell’epidermide stessa, in alcuni casi anche con aspetti di cheratinizzazione intraepidermica. Tutte queste alterazioni di natura preneoplastica possono evolvere, nel tempo, ad una forma neoplastica maligna ed infiltrante, per cui i cheratinociti proliferanti oltrepassano la membrana basale ed invadono il derma ed i tessuti limitrofi, con evoluzione a carcinoma squamocellulare (o carcinoma squamoso).
Alla cheratosi attinica si possono accompagnare anche altre alterazioni cutanee quali aspetti di fibrosi e/o elastosi del derma sottostante, formazione di cosiddetti comedoni attinici (dovuti alla fibrosi che tende a strozzare gli ostii infundibolari dei follicoli piliferi determinando l’ectasia degli infundiboli stessi con accumulo di materiale cheratinico al loro interno).
Ovviamente quando un referto istologico riporta queste alterazioni a livello cutaneo il clinico deve fornire al proprietario dell’animale chiare indicazioni su come proteggere il soggetto dall’ulteriore esposizione alla luce solare che potrebbe determinare l’evoluzione del quadro clinico in senso neoplastico e deve pianificare visite di controllo per monitorare il caso nel suo follow-up.
E’ stata inoltre dimostrata una correlazione, nell’uomo e negli animali, tra la sovraespressione (valutata mediante indagini di immunoistochimica) della ciclo-ossigenasi 2 (COX2) e le lesioni della cheratosi attinica (e la loro evoluzione clinica), nonché un miglioramento delle lesioni stesse in seguito al trattamento con inibitori delle COX2, per cui è anche possibile per il clinico ottenere, dal referto di cheratosi attinica, (eventualmente, dietro richiesta del dermatologo, anche corredato dalla valutazione con indagine di immunoistochimica dell’espressione della COX2), questa ulteriore indicazione per la gestione terapeutica del caso stesso.
Come sopra accennato il carcinoma squamocellulare (o carcinoma squamoso) costituisce lo step successivo nell’evoluzione delle alterazioni epidermiche indotte dalla luce solare (anche se come tipologia neoplastica può anche insorgere in varie sedi senza legame con la stimolazione solare, ma con insorgenza spontanea o a partire da lesioni indotte da infezione da Papillomavirus).
Il carcinoma squamocellulare può avere diverse varianti (convenzionale, acantolitico, a cellule fusate o ‘spindle cell’, verrucoso, papillare), ad ogni modo tutte con comportamento maligno, infiltrante e con potenziale metastatico.
Oltre a quanto dimostrato per le neoplasie dell’epidermide è presente anche una correlazione tra la stimolazione da parte delle radiazioni solari e l’insorgenza di neoplasie vascolari: in alcuni soggetti, in conseguenza dell’azione fisica dei raggi UV possono insorgere tumori vascolari anche multipli, sia benigni (emangiomi) che maligni (emangiosarcomi), sia simultaneamente che in sequenza.
Il patologo quindi, in caso vengano riscontrate neoplasie vascolari cutanee, così come in caso venga diagnosticato un carcinoma squamocellulare, valuterà sempre lo stato dell’epidermide e del derma della cute di rivestimento e limitrofa alla lesione (se presente nel campione) ed inserirà nel referto l’eventuale riscontro di lesioni riconducibili a cheratosi attinica, fibrosi/elastosi del derma, presenza di comedoni attinici, tali da far sospettare un’eziologia/patogenesi legate a stimolazione solare, non per semplice ‘complemento’ al referto, ma sempre per suggerire al clinico e di conseguenza ai proprietari dell’animale la necessità, oltre all’approccio oncologico in sé, di un’attenta protezione del soggetto da ulteriore esposizione alla luce solare.
Il clinico troverà quindi indicazioni utili alla gestione del caso, come sempre, non solo nel campo ‘diagnosi’ del referto istologico, ma anche nella descrizione accurata e completa delle lesioni ed eventualmente nel campo ‘commento’.
Dr.ssa Gaia Vichi – DVM, dipl. ECVP
Bibliografia:
- James F. Zachary, Pathologic basis of veterinary disease, Sixth edition, Elsevier
- Donald J. Meuten, Tumors in Domestic Animals, Fifth Edition, Wiley Blackwell
- Albanese F, Abramo F, Caporali C, Vichi G, Millanta F. Clinical outcome and cyclo-oxygenase-2 expression in five dogs with solar dermatitis/actinic keratosis treated with firocoxib. Vet Dermatol. 2013 Dec;24(6):606-12
Come indicare correttamente i margini chirurgici al laboratorio
Un punto chiave nella diagnostica oncologica è la valutazione dei margini di escissione delle lesioni sottoposte ad indagine istologica in seguito alla loro escissione. L’oncologo clinico ha infatti la necessità di sapere se la neoplasia è ancora presente in maniera residuale ai margini di escissione, al fine di valutare i successivi step nella gestione clinica del caso.
In medicina veterinaria non esistono protocolli universalmente riconosciuti per l’invio al laboratorio, il trimming (sezionamento del campione sotto cappa con selezione di sue porzioni per il successivo esame istologico) e per la valutazione dei margini.
Sono ad ogni modo state proposte, già da anni, delle linee guida, ad esempio come quelle pubblicate nel 2010 dal “comitato per l’oncologia” dell’American College of Veterinary Pathologists.
In questo interessante lavoro vengono proposti dei passaggi da seguire ai fini di un’esaustiva e corretta valutazione dei margini dei campioni derivanti dalla chirurgia oncologica.
I primi step fondamentali sono affidati all’equipe clinica che segue il caso ed invia il campione al laboratorio per l’esame istologico: solo con un corretto flusso di informazioni, che parte da una descrizione accurata del campione (eventualmente anche corredata da schemi o fotografie macroscopiche) e dall’orientamento spaziale dei suoi margini, indicati con mezzi opportuni, si può arrivare ad un trimming ottimale che determina poi quali aree del campione saranno sottoposte alla valutazione da parte del patologo.
Biopsia incisionale vs Biopsia escissionale:
Una biopsia incisionale, per definizione, è l’escissione di una parte della lesione e non della lesione in toto, in tal caso si può anche specificare, ovviamente, che non è richiesta una valutazione dei margini di escissione. Al contrario una biopsia escissionale consiste nella lesione escissa in toto, ed in tal caso va indicato in maniera esplicita se è richiesta una valutazione dei margini.
Numero dei campioni e loro identificazione:
Talvolta i campioni escissi da un singolo animale sono multipli, in questo caso è opportuno inviarli in contenitori separati e con esatta identificazione sul contenitore stesso della sede di origine, oppure, nel caso siano inviati in un unico contenitore, è utile identificarli, ad esempio, con fili da sutura di colore o lunghezza diversi (es. campione con un nodo a fili lunghi blu proveniente da coscia sx, campione con due nodi a fili corti verdi proveniente dal dorso etc…)
Indicazione dei margini e del loro orientamento:
Per la valutazione dei margini di escissione di un campione un metodo ideale è quello di utilizzare uno o più inchiostri (pigmenti specifici per la colorazione dei margini istologici o colori acrilici resistenti all’acqua e ai solventi usati durante a processazione del campione). Gli inchiostri, infatti, non solo consentono di orientare correttamente il campione durante il trimming, ma consentono poi al patologo stesso di vedere l’esatto margine esterno di ciascuna sezione sul vetrino. Nel caso si disponga di un solo colore si possono colorare tutti i margini con lo stesso per poi indicare i punti relativi all’orientamento, ad esempio con un numero diverso di fili da sutura.
Esempio con colori diversi: margine profondo giallo, margine craniale verde, margine caudale blu, margine arancione destro, margine rosso sinistro
Esempio con unico colore: margini segnati in blu, un filo da sutura su margine craniale, due fili da sutura su margine destro…va da sé che quelli a loro opposti saranno il caudale ed il sinistro
E’ comunque indispensabile indicare sempre a quali versanti del campione si riferiscono i colori o il diverso numero di fili da sutura, se possibile anche facendo un disegno del campione oppure scattando una foto del campione una volta applicati colori e fili ed indicandone l’orientamento con scritte su cartoncini circostanti o scrivendolo sulla foto stessa (con i programmi di fotoritocco disponibili su pc e cellulari).
Figura 1: esempio di schema per orientamento del campione
Come applicare i colori al campione:
I colori vanno applicati con pennelli o tamponi di cotone sul campione precedentemente lievemente tamponato con una garza o un panno asciutto per ripulirlo dal sangue o da eventuali essudati, si lasciano quindi asciugare giusto per 5-10 minuti (ovviamente evitando un’essiccazione eccessiva che potrebbe causare degli artefatti), durante i quali si possono fare disegni o foto utili per far capire l’orientamento del campione stesso al personale del laboratorio, dopodiché si può mettere il campione nel contenitore con un’opportuna quantità di fissativo.
Figura 2: applicazione dell’inchiostro con tampone di cotone
Le indicazioni di orientamento del campione fornite dai clinici sono indispensabili:
In laboratorio queste informazioni saranno cruciali per eseguire il trimming con le tecniche più opportune: ad esempio il taglio a croce o ‘cross-sectioning’ per le lesioni nodulari di dimensioni piccole o medie, il taglio a sezioni seriali o fette di pane o ‘bread loafing’ per campioni più lunghi, tecnica modificata con sezioni parallele e radiali, tecnica a sezioni tangenziali rispetto al margine stesso ad esempio per i margini di amputazione prossimale di un dito o di una coda o per il margine distale di un condotto uditivo etc…
L’orientamento dei margini così come prelevati durante il trimming (con le indicazioni fornite dal clinico di cui abbiamo parlato nel dettaglio) sarà quindi riportato sulle biocassette e a seguire sui blocchetti e sui vetrini, così che il patologo possa indicare se i margini di escissione sono puliti, oppure se sono raggiunti da elementi neoplastici (e se sì su quale versante del campione) o a quale esatta distanza (e rispetto a quale dei versanti del campione) si sospingano le cellule neoplastiche.
Figura 3: trimming secondo la tecnica del cross-sectioning guidato dallo schema di orientamento della Figura 1.
Figura 4: trimming di una linea mammaria secondo la tecnica del ‘bread loafing’
Figura 5: trimming di una lesione su un dito con sezioni longitudinali e sezioni tangenziali in corrispondenza del margine di amputazione (tessuti molli e tessuto osseo)
Dr.ssa Gaia Vichi – DVM Dipl. ECVP
Bibliografia:
Kamstock DA, Ehrhart EJ, Getzy DM, et al. Recommended Guidelines for Submission, Trimming, Margin Evaluation, and Reporting of Tumor Biopsy Specimens in Veterinary Surgical Pathology. Veterinary Pathology. 2011;48(1):19-31. doi:10.1177/0300985810389316
L'importanza della corretta compilazione del modulo di richiesta dell'esame istopatologico
Una corretta compilazione della scheda relativa ai dati di segnalamento ed anamnestici da parte dei clinici risulta di importanza fondamentale per una corretta interpretazione dei dati morfologici osservati dal patologo durante la valutazione degli istologici.
Questo oltre ad essere un dato di fatto abbastanza intuitivo se si pensa all’importanza del dialogo tra clinico e patologo è un fatto dimostrato anche da studi recenti (Ali et al. 2018) che hanno evidenziato come la disponibilità di dati anamnestici precisi e al contempo concisi riduce il cosiddetto turnaround time (TAT), ovvero le tempistiche di refertazione.
Andiamo a vedere nel dettaglio che cosa si intende per dati di segnalamento ed anamnestici precisi e concisi:
- Specie animale, sesso, età (ed eventuale stato di sterilizzazione), razza, mantello
- Anamnesi recente: sede, distribuzione e tipologia esatta delle lesioni, dimensioni delle stesse, tempo di insorgenza ed evoluzione, eventuali patologie concomitanti
- Numero e descrizione esatta dei campioni in relazione alle lesioni stesse e tipologia del campione (es. biopsie escissionali se includono le lesioni in toto, incisionali se sono rappresentative solo di loro porzioni, eseguite con losanga escissa a lama fredda, o con elettrobisturi etc…, eseguite con punch da tot mm, eseguite con ago da biopsia, endoscopiche etc…)
- Indicazione esatta dei margini di escissione qualora si sospetti forma neoplastica e si vogliano valutare i margini di escissione chirurgica
- Anamnesi farmacologica: terapie eseguite
- Anamnesi relativa a esami aggiuntivi: ulteriori indagini già eseguite sul caso
- Anamnesi remota: patologie pregresse
Ovviamente va da sé che la massima precisione è richiesta nell’indicare la tipologia di lesioni (facendo riferimento all’opportuna terminologia di descrizione macroscopica: evitando ad esempio di indicare come ‘cisti’ delle lesioni nodulari che all’ago-infissione o alla palpazione non paiono avere contenuto liquido o fluido, nel dubbio indicandole come ‘lesione sferica’ oppure ‘rotondeggiante’ o ‘cupoliforme’ del diametro di tot cm oppure mm).
Altrettanta precisione è richiesta nell’indicare il numero e la provenienza esatta dei campioni inviati, identificandoli con opportune lettere da riportare poi ad esempio nei contenitori in cui vengono inviati assieme al nome di riferimento del proprietario o dell’animale.
Non da ultimo una particolare attenzione va dedicata all’indicazione dei margini e al loro orientamento spaziale: ad esempio usando colori acrilici si può colorare con un primo colore il margine profondo e con colori diversi i vari margini (craniale/ caudale, laterale/mediale, sinistro/destro, dorsale o prossimale/ ventrale o distale). NB: in caso per maggiore ausilio allo staff tecnico e ai patologi nell’orientamento dei preparati e poi nella loro interpretazione si può scattare una foto dei campioni una volta colorati ed orientati prima di immergerli nel fissativo ed inviarla al laboratorio via e-mail o farne un disegno esplicativo ed allegarlo alla richiesta.
Per fare un esempio di tutto ciò alleghiamo due schede adeguatamente compilate (a titolo esemplificativo, per cui con nomi fittizi e senza indicazioni relative al Medico Veterinario richiedente).
Bibliografia:
- Ali SMH, Kathia UM, Gondal MUM, Zil-E-Ali A, Khan H, Riaz S. Impact of Clinical Information on the Turnaround Time in Surgical Histopathology: A Retrospective Study. Cureus. 2018 May 8;10(5):e2596. doi: 10.7759/cureus.2596.
Dr.ssa Gaia Vichi DVM, Dipl. ECVP
Neoplasie melanocitarie del gatto in sede extra-oculare
Parliamo oggi delle neoplasie melanocitarie del gatto in sede extra-oculare.
Le neoplasie melanocitarie del gatto in sede extra-oculare non sono frequenti e presentano un ampio range di comportamento biologico. Ad oggi non esistono criteri prognostici universalmente riconosciuti sulla base dei riscontri istopatologici.
Un recente ed interessante lavoro pubblicato su Veterinary Pathology nel 2019 da Pittaway et al. ha proposto, con uno studio condotto su 324 casi, un nuovo schema di grading per questo tipo di neoplasie (tale sistema di grading ha una sensibilità pari all’ 80% ed una specificità del 92% nel predire la morte dovuta alla patologia neoplastica in questione, con una sopravvivenza media di 90 giorni per gli animali con neoplasia classificata come di alto grado).
Secondo tale studio le variabili prognostiche indipendenti (all’analisi multivariata) sono:
- la sede di insorgenza
- l’indice mitotico
- la presenza di necrosi nel contesto del tessuto neoplastico
Se la localizzazione è a carico di labbra, mucosa orale, mucosa nasale, planum nasale è sufficiente il riscontro di una conta mitotica ≥4 mitosi su 10 HPF (HPF: campi microscopici con ingrandimento 40x) o di fenomeni di necrosi nel tessuto neoplastico per definire la neoplasia di alto grado.
Se la localizzazione extra-oculare interessa sedi differenti da quelle appena elencate occorre il riscontro di entrambi questi indicatori per definire la neoplasia di alto grado (sia un mitotico ≥4 mitosi su 10 HPF, sia la presenza di necrosi intralesionale).
Relativamente ai parametri valutabili con indagine immunoistochimica gli autori segnalano la positività degli elementi neoplastici per PNL-2 e Melan-A, che si confermano come markers validi per il riconoscimento delle neoplasie melanocitarie, soprattutto nel caso si tratti di forme amelanotiche con caratteristiche tali da porre dei dubbi diagnostici con altre entità neoplastiche in diagnosi differenziale (ad ogni modo tali markers non risultano utili ai fini della valutazione prognostica).
Viene riportata inoltre la positività, in molti casi per COX-2. Tale dato risulta interessante suggerendo una possibile utilità terapeutica dei farmaci inibitori delle COX-2.
Dr.ssa Gaia Vichi, DVM dipl. ECVP
Bibliografia:
Pittaway R, Dobromylskyj MJ, Erles K, Pittaway CE, Suárez-Bonnet A, Chang YM, Priestnall SL. Nonocular Melanocytic Neoplasia in Cats: Characterization and Proposal of a Histologic Classification Scheme to More Accurately Predict Clinical Outcome. Vet Pathol. 2019 Nov;56(6):868-877.
Artefatti in Istologia: Se li conosci li eviti!
Parliamo oggi di un aspetto della diagnostica istologica che riguarda sia il patologo che il clinico: ovvero l’origine degli artefatti.
Iniziamo col dire che in istologia e citologia l’artefatto rappresenta un aspetto morfologico non normalmente presente in cellule e tessuti viventi (e non dovuto a reali alterazioni patologiche).
Gli artefatti possono ostacolare il processo diagnostico in quanto possono essere in alcuni casi confusi con alterazioni patologiche ed in altri casi possono impedire la valutazione dei dettagli morfologici del campione in esame.
In istologia gli artefatti possono nascere in momenti diversi della vita del campione.
Le fasi sulle quali può intervenire il clinico per evitare artefatti sono essenzialmente due:
- pre-fissazione: ovvero fase di prelievo e manipolazione del campione
- fissazione: relativa al periodo di tempo che il campione trascorre nel fissativo dal prelievo all’arrivo in laboratorio per la processazione
Gli artefatti da pre-fissazione possono essere dovuti a svariati fattori, andiamoli a conoscere uno ad uno.
A. Modalità di prelievo:
- Prelievo con elettrobisturi o laser: è in grado di causare disidratazione e condensazione dei tessuti e coagulazione delle proteine.
Risultato: marcata acidofilia e perdita dei dettagli cellulari citoplasmatici e nucleari.
NB: Sconsigliabile soprattutto se volete richiedere una valutazione dei margini di escissione di una sospetta neoplasia o se il campione da prelevare è di dimensioni molto ridotte (<5mm di asse maggiore) e rischia di essere coagulato per intero dall’azione fisica dell’elettrobisturi o del laser
Figura 1: Margine coagulato di un campione bioptico ottenuto con elettrobisturi. Ematossilina-Eosina 4x
- Prelievo con punch o tru-cut o schiacciamento da pinza: è in grado di causare per azione meccanica una compressione dei tessuti.
Risultato: soprattutto ai margini delle sezioni gli elementi cellulari possono avere aspetto distorto, stirato o appiattito ed un’aumentata basofilia, alcune lesioni elementari possono essere perse (ad esempio rottura di pustole o lesioni bollose da campioni dermatologici).
NB: Sconsigliabile soprattutto se il campione è da lesioni cutanee con lesioni che possono andare soggette a rottura o da tessuti molto delicati come ad esempio da tessuti linfoidi.
Figura 2: Cellule ad aspetto distorto e stirato in conseguenza dello schiacciamento da pinza bioptica. Ematossilina-Eosina 40X
B. Intervallo temporale eccessivo tra prelievo-fissazione: consente l’essiccazione del campione, specie se di piccole dimensioni.
Risultato: indurimento del tessuto con successive difficoltà al taglio delle sezioni, “fusione dei nuclei” con loro perdita di dettaglio, alterazioni di autolisi di entità variabile a seconda dell’intervallo temporale trascorso prima della fissazione
NB: sconsigliabile soprattutto se il campione è di piccole dimensioni e pertanto soggetto a rapida disidratazione o se l’intervallo è veramente eccessivo (ore) permettendo fenomeni di autolisi in campioni anche di dimensioni maggiori. In pratica è sempre sconsigliabile lasciar passare troppo tempo prima di immergere il campione nel fissativo.
Figura 3: Campione di piccole dimensioni essiccato per ritardata immersione nel fissativo. Ematossilina-Eosina 4X.
C. Schiacciamento in cassettina da biopsie: può essere dovuto ad un eccessivo schiacciamento tra le due spugne spesso usate per l’invio in cassetta dei campioni di piccole dimensioni oppure all’intrappolamento del tessuto ai bordi della cassetta quando questa viene chiusa.
Risultato: il tessuto viene “stampato” con la sagoma dei rilievi delle spugnette o schiacciato dai bordi della cassetta.
NB: Sconsigliabile soprattutto se i campioni sono di piccole dimensioni e quindi è importante che tutta l’estensione ne sia valutabile.
Figura 4: Impronte dei rilievi delle spugnette per eccessiva pressione all’interno della cassetta da biopsia. Ematossilina-Eosina 10x
D. Presenza di materiale estraneo: fili da sutura, materiale ingerito nel tratto gastroenterico, peli…
Risultato: il materiale estraneo può ostacolare il taglio delle sezioni (es. fili da sutura o ingesta nel tratto gastroenterico) o può causare dubbi interpretativi (raramente).
NB: A volte questo tipo di artefatti non è evitabile! In alcuni casi il materiale estraneo è veramente presente nel contesto del tessuto in esame e non è una mera contaminazione
Gli artefatti da fissazione possono anche essi essere dovuti a varie cause. Andiamo a conoscerle nel dettaglio.
- Inadeguato rapporto volumetrico tessuto:fissativo (formalina): normalmente il rapporto ideale è 1:9 (questo vuol dire che per un campione con un volume di 1 cm3 una fissazione ideale richiederebbe 9 ml circa di formalina)
- Mancata incisione della superficie d’organo quando il tessuto capsulare è particolarmente spesso: ad esempio per l’albuginea testicolare
- Inadeguato tempo di fissazione: minimo 24 ore, evitare anche tempi eccessivi (settimane o mesi)
- Utilizzo di un fissativo non idoneo: ad esempio etanolo (usare solo in caso di emergenza quando la formalina o un fissativo da istologia formalin-free non è disponibile) o formalina non tamponata o con concentrazione non ideale di formaldeide (la formaldeide va usata sotto forma di soluzione acquosa, tamponata, con concentrazione del 4%, ovvero 10% di formalina al 40% di aldeide)
Risultati:
- Fissazione zonale (effetto roastbeef) ed autolisi
- Formazione di pigmento formolico (si forma quando la formalina a pH acido reagisce con l’emoglobina). Col tempo la formalina si decompone naturalmente formando acido formico che causa tale problema, a cui si può ovviare usando formalina tamponata ed evitando tempi di fissazione eccessivi (non accade a meno che non passino settimane/mesi prima del conferimento del campione al laboratorio)
- In caso di utilizzo di etanolo possono verificarsi difetti al taglio delle sezioni per eccessiva fragilità del tessuto (aspetto “a veneziana”) ed alterazioni di colorazione (possono colorarsi male i tessuti epiteliali ed il connettivo, con aspetto amorfo dei fasci collagenici)
Figura 5: Campione andato incontro ad autolisi per immersione in un quantitativo troppo scarso di fissativo. Ematossilina-Eosina 10X.
Dr.ssa Gaia Vichi DVM, Dipl. ECVP
Bibliografia:
Rolls OG, Farmer JN, Hall BJ. Artifacts in Histological and Cytological Preparation. Scientia Leica Microsystems Education Series. April 2008