Relazioni cell – into – cell

In citologia sono descritte differenti condizioni in cui cellule vengano fagocitate da altre, sia in condizioni neoplastiche che non. Il termine “fagocitosi” deve essere riservato alle cellule che hanno una competenza fagocitica (macrofagi, istiociti) perché il meccanismo che vi è alla base prevede la presenza di pseudopodi e lisosomi con azione digestiva; per le altre cellule che manifestano un comportamento di “internalizzazione” sono riservate altre terminologie.

Con cannibalismo si intende la capacità di alcune cellule neoplastiche ad attività non fagocitica di internalizzare attivamente e in maniera irreversibile cellule del sistema immunitario o della loro stessa origine. Vi possono essere differenti forme di cannibalismo in base alle cellule che vengono coinvolte in questo processo: auto- cannibalismo (autofagia) è una condizione fisiologica di riciclo energetico da parte della stessa cellula che auto- fagocita i propri organelli dopo un periodo di carenza energetica; cannibalismo omotipico è quando una cellula tumorale inghiotte altre dello stesso tipo; xenocannibalismo avviene quando cellule neoplastiche inghiottono altre di diversa origine, solitamente leucociti. Le cellule internalizzate vengono digerite da specifici enzimi contenuti nei vacuoli delle cellule cannibali, fornendo loro in questo modo sostentamento e rendendole più resistenti ad eventuali condizioni sfavorevoli causate da una riduzione dell’apporto nutritivo nei tumori solidi a rapida crescita. Il cannibalismo cellulare deve essere differenziato dalla sovrapposizione visiva di altre cellule che può capitare in casi di concomitante flogosi; per confermare la presenza di cellule all’interno di vacuoli citoplasmatici è necessario servirsi della microscopia elettronica. In veterinaria, sono state riportate differenti neoplasie in grado di avere questo comportamento come tumori epiteliali (carcinoma squamo- cellulare, neoplasie mammarie e polmonari) e mastocitomi. In disordini linfoproliferativi (linfoma e leucemia linfocitica cronica) è riportato xenocannibalismo nei confronti degli eritrociti.

Con emperipolesi si intende una condizione sia patologica che fisiologica, in cui alcune cellule (prevalentemente leucociti, come linfociti e neutrofili) attraversano il citoplasma di altre cellule senza subire alcuna alterazione da parte delle cellule che hanno invaso; la differenza con il cannibalismo sta nel fatto che le cellule contenute non appaiono degenerate.

Con entosi si intende un fenomeno innescato dalla perdita di attaccamento alla matrice extracellulare che porta alcune cellule (ad esempio quelle di origine epiteliale), spinte dalla forza di compattazione, ad invadere quelle vicine uguali a loro. Le cellule vive interiorizzate possono essere degradate dagli enzimi lisosomiali, andando incontro a morte cellulare programmata non- apoptotica, o essere successivamente rilasciate.

 

Dr.ssa Silvia Rossi, DVM ECVCP dipl – Dr.ssa Giulia Mangiagalli, DVM

 

Bibliografia:

  • Erythrophagocytic low-grade extranodal T-cell lymphoma in a cat. Carter et a. Vet Clin Pathol. (2008);37:416–421.
  • Four cases of cell cannibalism in highly malignant feline and canine tumors. Costa Ferreira et al. Diagnostic Pathology (2015) 10:199
  • Cell cannibalism by malignant neoplastic cells: three cases in dogs and a literature review. Melendez-Lazo et al. Vet Clin Pathol 44/2 (2015) 287–294
  • What is your diagnosis? Liver aspirate from a cat. Heinrich et al. Vet Clin Pathol 45/3 (2016) 513–514
  • What is your diagnosis? Thoracic mass in a dog. Yang et al. Vet Clin Pathol (2019);48:774- 776.
  • What is your diagnosis? Lymphocytes engulfing erythrocytes in a cat. Mochizuki et al. Vet Clin Pathol. (2019);48:768–770.
  • https://hms.harvard.edu/news-events/multimedia/entosis
  • https://www.youtube.com/watch?v=RMraoAh72kI


Calcio Totale versus Calcio Ionico

Identificare correttamente una forma di ipocalcemia o ipercalcemia è estremamente importante poiché le diagnosi differenziali di entrambe queste alterazioni sono piuttosto poche, consentendoci così di restringere molto il campo di indagine.

Quando misuriamo il calcio sierico totale, misuriamo tre differenti frazioni di tale elemento:

  • Calcio libero presente in forma ionica: circa il 50%
  • Calcio legato alle proteine (soprattutto alle albumine): circa il 40- 45%
  • Calcio legato ad anioni non proteici (fosfati, lattati, citrati): circa il 10-15%

Il calcio ionico rappresenta la frazione biologicamente più attiva ed è la forma che deve essere valutata per diagnosticare uno stato di ipo o ipercalcemia patologici; viene misurato in genere mediante emogasanalizzatori, poiché il campione deve essere analizzato immediatamente (contatto con l’aria e ritardata processazione alterano il pH e quindi il valore del calcio ionico). Poiché a causa dell’instabilità del campione, la spedizione ad un laboratorio esterno è poco praticabile e poiché molte strutture non sono dotate di emogasanalizzatori, sarebbe auspicabile poter avere informazioni utili sulla calcemia dalla misurazione del calcio totale.

Purtroppo, la calcemia totale (ottenuta con strumenti di biochimica liquida o secca) non sempre correla con la calcemia ionica. Numerose pubblicazioni hanno dimostrato che il calcio corretto (ottenuto tramite una formula di “correzione” che utilizza i valori di calcio totale, albumina e proteine totali) è scarsamente correlato al calcio ionico, poiché entrambi non sono influenzati soltanto da albumine e proteine totali, ma anche ad esempio dal legame con anioni non proteici (fosfati, lattati, citrati) e da condizioni di acidosi o alcalosi; molti autori sconsigliano l’uso di tale calcolo. Ad esempio, in base allo studio di Schenck et al. utilizzare questa formula nel cane porterebbe a una sovrastima dei normocalcemici e degli ipercalcemici (soprattutto in corso di insufficienza renale) ed una sottostima degli ipocalcemici.

Quindi, cosa dobbiamo tenere presente quando interpretiamo una calcemia totale? Che tipo di informazioni ci fornisce rispetto alla calcemia ionica? Quando è necessario rivalutare una calcemia totale misurando la calcemia ionica? Ecco di seguito alcuni punti chiave interpretativi:

  • In linea generale, una diagnosi di ipo o ipercalcemia può essere fatta esclusivamente misurando la calcemia ionica.
  • È possibile sospettare con elevata probabilità la presenza di ipercalcemia o ipocalcemia ioniche a fronte di valori di calcio totale rispettivamente molto superiori o molto inferiori agli intervalli di riferimento e soprattutto se è presente una sintomatologia clinica compatibile (es. tremori muscolari, PU/PD etc).
  • Una calcemia totale bassa o normale ma vicina al limite inferiore di normalità consente di escludere con elevata probabilità una ipercalcemia ionica (e viceversa).
  • Alcuni lavori hanno dimostrato che in presenza di iperfosfatemia (ad esempio in corso di insufficienza renale) la calcemia totale può risultare falsamente sovrastimata indipendentemente dalla calcemia ionica.
  • Una calcemia totale normale non consente di escludere iper o ipocalcemia ioniche.
  • Un’ipocalcemia totale in presenza di iperkalemia e in assenza di segni clinici è quasi certamente dovuta a una contaminazione del siero con K-EDTA!
  • In presenza di ipoalbuminemia/ ipoprotidemia deve essere sempre misurata la calcemia ionica poiché anche le formule di correzione (calcio corretto) non sono considerate attendibili.

Bibliografia:

  • Schenck et al. Prediction of serum ionized calcium concentration by use of serum total calcium concentration in dogs. AJVR, Vol 66, No. 8; 2005
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • Messinger et al. Ionized Hypercalcemia in dogs: a retrospective study of 109 cases (1998 –2003). J Vet Intern Med 2009;23:514–519
  • Groth et al. Determination of a serum total calcium concentration threshold for accurate prediction of ionized hypercalcemia in dogs with and without hyperphosphatemia. J Vet Intern Med. 2019;1–9.
  • Galvao et al. Update on feline ionized hypercalcemia. Vet Clin Small Anim 47 (2017) 273–292

Il Mielolipoma

Il mielolipoma è un tumore benigno segnalato in differenti specie di uccelli, primati, furetti, ratti, felini selvatici e più raramente anche nel cane e nel gatto. Può avere diverse localizzazioni: caratteristica negli uccelli sulle ali, mentre nel cane e nel gatto è riportato maggiormente su milza e fegato ed occasionalmente su surreni, omento, canale spinale ed occhio; possono essere singoli o multipli e variare da pochi mm fino a raggiungere grandi dimensioni (fino a 10 cm di diametro).

L’eziopatogenesi rimane sconosciuta, ma vi sono differenti ipotesi per quanto riguarda la proliferazione anomala di tessuto ematopoietico:

  • Durante la vita embrionale, l’ematopoiesi avviene in maniera diffusa nel tessuto connettivo della cavità peritoneale a partire da cellule staminali ematopoietiche e scompare nel momento in cui si formano gli organi deputati all’ematopoiesi. Queste cellule accidentalmente vengono intrappolate nel tessuto adiposo e iniziano a proliferare portando alla formazione di focolai di ematopoiesi anomali.
  • Citochine o altri fattori di crescita ematopoietici stimolati da una neoplasia, un danneggiamento e/o una rigenerazione tissutale promuovono le cellule staminali totipotenti a differenziarsi in cellule ematopoietiche.
  • Patologie a carico del midollo osseo stimolano la formazione di focolai di ematopoiesi extra-midollare (da valutare contestuale quadro ematologico periferico).

Pochi casi sono riportati in letteratura sia nel cane che nel gatto, per cui è difficile stabilire una predisposizione di razza o sesso, però solitamente interessa soggetti anziani (tra gli 11 e i 16 anni). Spesso sono reperti occasionali in sede ecografica poiché nella maggior parte queste neoplasie non danno sintomatologia clinica, a meno che non vadano a comprimere o lesionare gli organi vicini o che li contengono (ad esempio se si localizzano nel canale spinale o a livello oculare oppure se causano emoaddome per rottura d’organo).

Il quadro citologico è caratterizzato da sfondo ematico con vacuoli otticamente vuoti e da una popolazione mista di precursori della linea eritroide, mieloide e megacariocitica, spesso associata ad adipociti maturi. La principale diagnosi differenziale è l’ematopoiesi extramidollare se si tratta di masse di pertinenza epatica o splenica, valutando anche la possibilità che sia presente una  milza accessoria; l’unico modo per orientare la diagnosi verso il mielolipoma è il riscontro di  adipociti maturi e vacuoli otticamente vuoti sullo sfondo, che nel caso della sola ematopoiesi extramidollare sono in genere assenti.

La diagnosi definitiva è istologica e l’escissione chirurgica è curativa.

Bibliografia:

  • Meuten DJ. Tumor in domestic animals. 5th 2017
  • Raskin R. Meyer DJ. Canine and feline cytology. 3ed edition. 2016
  • Wouda RM et al. Hepatic myelolipoma incarcerated in a peritoneopericardial diaphragmatic hernia in a cat. Australian Veterinary Journal. Vol 88, No 6, June 2010
  • Kamiee J et al. Multicentric myelolipoma in a dog. J. Vet. Med. Sci. 71(3): 371–373, 2009


Perche’ sono importanti i parametri biochimici di un versamento?

Nell’esame di un versamento endocavitario (pleurico, peritoneale ed in minor misura pericardico) il solo esame citologico non sempre può dare risposte sull’esatta patogenesi della sua formazione; per migliorare le nostre possibilità diagnostiche diventa di fondamentale importanza integrarlo con altri test quali ad esempio la conta cellulare, la misurazione delle proteine totali o di altri parametri biochimici, l’esame colturale, il test di Rivalta, eventuali PCR per la ricerca di agenti infettivi, la citometria a flusso etc.  Utilizzando più test diventa più spesso possibile classificarlo non solo secondo la classificazione “tradizionale” (essudati, trasudati) ma anche secondo quella patogenetica, più recente e secondo il nostro parere assai più valida (per una trattazione approfondita di questa classificazione rimandiamo alla letteratura. Stockham L., Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Capitolo 19, seconda edizione, 2008).

Per quanto riguarda i parametri biochimici, quelli che riteniamo più utili e che routinariamente misuriamo su versamento presso il nostro laboratorio sono i seguenti:

  • Proteine totali
  • Bilirubina
  • Colesterolo e Trigliceridi
  • Creatinina
  • Lipasi totale

Tutti questi parametri possono essere determinati sul surnatante ottenuto dopo centrifugazione del campione raccolto in EDTA. Va premesso che sebbene siano ormai state fatte diverse pubblicazioni circa l’analisi biochimica dei versamenti cavitari, mancano dati circa l’accuratezza diagnostica di tali tests, per cui senza dati sufficienti che abbiano stabilito sensibilità, specificità e cut-offs di ciascuno, non è possibile determinare la loro reale affidabilità e pertanto devono essere tutti considerati come suggestivi per la tal condizione.

BILIRUBINA PER LA DIAGNOSI DI COLEPERITONEO

Devono essere misurate contestualmente bilirubina nel versamento e bilirubina sierica; nel caso in cui il rapporto bilirubina del versamento : bilirubina sierica risulti > 1 (vale a dire che il valore nell’effusione è più alto di quello sierico) si può ipotizzare con elevata probabilità una rottura delle vie biliari (COLEPERITONEO). Da un punto di vista citologico questo tipo di versamento è caratterizzato da elevata cellularità, con una popolazione mista di granulociti neutrofili non degenerati prevalenti, macrofagi e cellule mesoteliali reattive. La bile può essere visibile sullo sfondo come ammassi di materiale amorfo bluastro o come granuli verdastri-giallo oro all’interno del citoplasma delle cellule infiammatorie. Anche l’aspetto macroscopico è utile per formulare il sospetto diagnostico (aspetto verdastro-giallastro, spesso filante), sebbene sia possibile anche il caso di coleperitoneo secondario alla presenza della così detta bile bianca che non colora tipicamente di giallo-verde il versamento (ma in genere persiste l’aspetto mucoso).

COLESTEROLO E TRIGLICERIDI PER LA DIAGNOSI DI VERSAMENTO CHILOSO  

Trigliceridi superiori a 100 mg/dL o un rapporto colesterolo : trigliceridi del versamento < 1 (vale a dire un valore di trigliceridi nell’effusione più alto di quello del colesterolo) indicano nella maggior dei casi una natura chilosa e si può parlare di CHILOTORACE/CHILOADDOME. Solo in rari casi è possibile che un versamento non-chiloso abbia il rapporto < 1. Da un punto di vista citologico ricordiamo che tali versamenti sono caratterizzati dalla presenza di un elevato numero di piccoli e medi linfociti (> 50%); possono essere inoltre presenti macrofagi schiumosi e più rari granulociti neutrofili non degenerati e cellule mesoteliali reattive. La diagnosi di chilo può essere confermata esclusivamente misurando il rapporto colesterolo : trigliceridi, poiché è possibile avere versamenti in cui la popolazione prevalente è rappresentata da linfociti ma che hanno questo rapporto > 1, che vengono definiti appunto non chilosi.

CREATININA PER LA DIAGNOSI DI UROPERITONEO

Quando il rapporto tra creatinina del versamento e creatinina sierica contestuali è > 2 (vale a dire un valore nell’effusione almeno doppio rispetto a quello sierico) si può diagnosticare un uroperitoneo. Bisogna ricordare però che con il passare del tempo (2-3 giorni) a causa della diffusione della creatinina per gradiente di concentrazione, i valori di creatinina sierica e del versamento tenderanno ad essere simili. È importante perciò che le due misurazioni vengano effettuate nel più breve tempo possibile a partire dalla presunta rottura delle vie urinarie. Citologicamente, l’uroperitoneo può essere acellulare o più frequentemente può essere caratterizzato da una popolazione mista con prevalenza di granulociti neutrofili, occasionali macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

LIPASI PER LA DIAGNOSI DI PANCREATITE

Sebbene la letteratura sull’argomento sia piuttosto scarsa, è stato evidenziato in diverse pubblicazioni che se in corso di pancreatite acuta si sviluppa un versamento peritoneale il confronto tra lipasi sierica e lipasi nel versamento rappresenta un utile test diagnostico. Premesso che devono essere utilizzati o il metodo DGGR per la lipasi totale (in uso nel nostro laboratorio) oppure la lipasi pancreatica specifica, quando la lipasi nel versamento è molto elevata o molto superiore a quella sierica è probabile che le cellule pancreatiche stiano “versando” l’enzima nel versamento per rottura degli acini.  Citologicamente, questa effusione è caratterizzata da cellularità elevata e da una popolazione prevalente di granulociti neutrofili, da macrofagi e cellule mesoteliali reattive.

Bibliografia:

  • De Arespacochaga G et al. Comparison of lipase activity in peritoneal fluid of dogs with different pathologies – A complementary diagnostic tool in acute pancreatitis? Journal of Veterinary Medicine. A, Physiology, Pathology, Clinical Medicine. 2006; 53: 119-122.
  • Zimmermann E, et al. Serum feline-specific pancreatic lipase immunoreactivity concentrations and abdominal ultrasonographic findings in cats with trauma resulting from high-rise syndrome. J Am Vet Med Assoc. 2013; 1;242(9):1238-43.
  • Liehmann LM et al. Pancreatic rupture in four cats with high-rise syndrome. J Feline Med Surg. 2012; 14(2):131-7.
  • Paltrinieri S, Bertazzolo W, Giordano A. Patologia clinica del cane e del gatto approccio pratico alla diagnostica di laboratorio. Prima edizione, 2010.
  • Stockham L, Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second Edition. Blackwell Publ. 2008.
  • http://eclinpath.com/cytology/effusions-2/


Le Cellule di Foa- Kurloff

Osservando lo striscio ematico delle cavie (porcellini d’India) o dei capibara, oltre agli eterofili (che rappresentano la popolazione leucocitaria prevalente nei roditori e nei lagomorfi), i linfociti, gli eosinofili, e i monociti, si possono osservare le cellule di Foa – Kurloff. Sono cellule mononucleari contenenti nel citoplasma una singola inclusione citoplasmatica, di circa 1-8 um di diametro, eosinofilica, finemente granulare- fibrillare, che sposta il nucleo in posizione eccentrica; questa inclusione consiste in una struttura lisosomiale per lo stoccaggio di mucopolisaccaridi. Tali cellule rappresentano fisiologicamente il 3-4% delle cellule linfoidi e il 1-2 % di tutti i leucociti circolanti.

La loro funzione risulta essere ancora sconosciuta anche se si ipotizza che agiscano come linfociti natural killer o come difensori fetali che operano a livello placentare.

È riportato che fino ai 2-3 mesi di vita non vi è distinzione nella quantità tra maschi e femmine, ma successivamente vi è un aumento del numero circolante in seguito all’innalzamento del livello di estrogeni, e scompaiono in seguito a sterilizzazione.

Si possono trovare anche nel timo, nei polmoni, nella polpa rossa della milza di femmine gravide o sotto stimolazione degli estrogeni.

Bibliografia:

  • Hematological assessment in pet Guinea pigs (Cavia porcellus). Zimmerman K. et al. Vet Clin Exot Anim 18; 33–40. 2015
  • Schalm’s Veterinary Hematology. Weiss DJ, Wardrop KJ. Sixth edition. 2010
  • The Kurloff cells. Revell PA. International Review of Cytology. 51; 975-314. 1977


La Stima Piastrinica

Con stima piastrinica si intende il numero medio di piastrine osservate in almeno 10 campi ad immersione (1000x). Diversamente da come molti intendono, non si tratta di un “giudizio” personale espresso dal patologo clinico che mette insieme tutte le informazioni relative alle piastrine (conta strumentale, presenza/assenza e entità degli aggregati piastrinici, morfologia piastrinica), bensì di una vera e propria misurazione. Un recente studio di Paltrinieri et al. ha rilevato un’elevata variabilità del numero di piastrine per campo 1000x sia in base alla porzione di striscio ematico che si valuta microscopicamente, sia in base all’osservatore. Il monostrato centrale è la regione dello striscio dove vi è maggiore concordanza tra gli osservatori, mentre le altre regioni (coda e regioni laterali dello striscio) hanno maggior concordanza con la conta strumentale ma una concordanza inferiore tra gli osservatori. Tale elevata variabilità rende questa misurazione inaccurata, al punto che diverse misurazioni fatte da diversi operatori o in diverse aree dello striscio misclassificano il paziente che ad esempio può risultare trombocitopenico in una lettura ma in un’altra avere piastrine normali. Anche la conta strumentale può risultare inaccurata, soprattutto nel gatto e quando misurata con strumenti ad impedenza e non laser. Per queste ragioni è di fondamentale importanza che il numero di piastrine sia valutato sommando tutti i dati a disposizione (lettura strumentale, valutazione morfologica delle piastrine, presenza di aggregati e stima piastrinica). Per quanto riguarda il numero di piastrine per campo a 1000x, è possibile trovare in letteratura (sia su libri che su articoli) diverse tabelle che riportano intervalli di riferimento di specie piuttosto variabili, a conferma che, proprio a causa della moderata accuratezza della conta, diversi lavori hanno prodotto intervalli diversi, che per questa ragione devono essere considerati soltanto indicativi. Nel caso in cui il numero medio di piastrine contato sia superiore o inferiore all’intervallo adottato, la stima piastrinica viene definita inadeguata – aumentata, mentre se al di sotto inadeguata – diminuita.

Intervalli di riferimento secondo Stockham SL (Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology, I ed., 2002):

SPECIE

NON ADEGUATA

DIMINUITA

ADEGUATA

NON ADEGUATA

AUMENTATA

Cane≤910-25>30
Gatto≤1415-40>48
Cavallo≤45-17>21
Bovino≤45-40>48
Ovino≤1213-37>45
Caprino≤1415-30>36

La stima piastrinica può inoltre essere espressa come numero totale delle piastrine per microlitro moltiplicando il numero medio di piastrine ottenuto su 10 campi ad immersione 1000x per 15-20.000 (nel cane) o 20.000 (nel gatto). Ad esempio, un cane con una media di 12 piastrine per campo 1000x, presumibilmente avrà un numero di piastrine pari a 180.000-240.000/uL. Il numero di piastrine per microlitro corrisponderà al numero di piastrine contato dallo strumento nel caso in cui la lettura strumentale risulti accurata (ad esempio le piastrine non sono state erroneamente contate come eritrociti perché troppo grandi, o gli eritrociti come piastrine perché molto piccoli, oppure non sono presenti aggregati o coaguli in provetta).

Bibliografia:

  • Analytical variability of estimated platelet counts on canine blood smears. Paltrinieri et al. Vet Clin Pathol. 2018;47:197–204.
  • Estimation of platelet count of feline blood smear. Tasker et al. Vet Clin Path. 1999; 28; 2.
  • Estimating platelets and leukocytes on canine blood smears. Tvedten et al. Vet Clin Path. 1988; 17;1
  • Harvey JV. Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition Elsevier, 2012
  • Stockham SL and Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. First edition Blackwell, 2002
  • http://eclinpath.com/hematology/tests/platelet-count/


Biessea iperkaliemico ed ipocalcemico

Il mio paziente è davvero iperkaliemico ed ipocalcemico? Attenzione agli errori preanalitici!

 

Il kEDTA (acido etilendiamminotetracetico) è l’anticoagulante raccomandato ed utilizzato più comunemente nell’esame emocromocitometrico per la valutazione delle componenti cellulari e della loro morfologia sia in Medicina Veterinaria (come k3EDTA) che in Medicina Umana.

Spesso, nell’effettuare un prelievo di sangue venoso in un paziente, viene riempita prima la provetta per l’esame emocromocitometrico (per evitare che il sangue coaguli velocemente) e poi la provetta vuota/contenente gel per il siero. In questo modo però, può avvenire una contaminazione del siero con il kEDTA che determina contestualmente un aumento della concentrazione di Potassio K (iperkaliemia) ed una diminuzione della concentrazione di Calcio Ca (ipocalcemia). Tali alterazioni pre-analitiche, talvolta anche gravi e chiaramente incompatibili con la vita, sono artefattuali, non sono correlate ad altre alterazioni clinico-patologiche che potrebbero spiegarne la causa e rendono del tutto inaccurate le misurazioni del Potassio e del Calcio.

Il kEDTA contenuto nelle provette per l’esame emocromocitometrico contiene Potassio ed impedisce la formazione del coagulo chelando il Calcio. Inoltre produce legami covalenti anche con altri ioni (Magnesio, Zinco, Rame) e può inficiare la misurazione di altri parametri biochimici quali ALP (determinando valori più bassi), Ferro, UIBC, bicarbonato, ammonio, AST, ALT, LDH, CK ed amilasi.

Vi ricordiamo che anche un semplice contatto del cono della siringa con l’anticoagulante kEDTA (presente non solo sul fondo ma anche su tappo e pareti) può esitare in una contaminazione.

In Medicina Umana diversi articoli riportano questo errore pre- analitico con discreta frequenza, vale a dire nel 20% circa di tutti i campioni con iperkalemia, e consigliano sempre la misurazione del kEDTA nei sieri iperkaliemici (≥ 6 mmol/L). Tale errore può essere dovuto principalmente a 3 meccanismi:

  • Diretto trasferimento di sangue venoso dalla provetta con kEDTA in altre provette;
  • Contaminazione della siringa per contatto con l’anticoagulante kEDTA;
  • Rigurgito di sangue dalle provette sterili sottovuoto (sistema Vacutainer) nell’ago o addirittura in vena

Anche se non vi sono molti studi a riguardo, tale errore viene riscontrato anche in Medicina Veterinaria. Nel lavoro di Nielsen et al., in 74 campioni su 238 che avevano un rapporto sodio:potassio basso (circa il 31%) è stata sospettata una contaminazione con kEDTA (campioni con iperkalemia e ipocalcemia) e questi pazienti sono perciò stati esclusi dallo studio sul rapporto sodio:potassio.

Quando possiamo quindi sospettare che sia avvenuta questa contaminazione?

  • Quando ipocalcemia e iperkalemia sono talmente marcate da essere incompatibili con la vita o comunque talmente severe che dovrebbero dare una sintomatologia clinica grave e conclamata (ad esempio tremori, convulsioni, aritmie cardiache);
  • Quando non ci sono altre alterazioni biochimiche correlate a queste due alterazioni (ad esempio insufficienza renale acuta);
  • Quando anche se lievi, queste due alterazioni non trovano spiegazioni nel quadro clinico e clinico-patologico.

In questi casi l’unica soluzione per confermare la contaminazione resta ripetere il prelievo utilizzando esclusivamente la provetta da siero.

Il nostro Laboratorio consiglia nel caso in cui debbano essere inviati sia siero che sangue in k3EDTA, di riempire per prima la provetta per il siero.

Bibliografia:

  • Asif U et al. Preanalytical potassium EDTA sample contamination: oper versus closed phlebotomy system. Ann Clin Biochem 56(6): 711- 714, 2019
  • Chadwick K et al. kEDTA sample contamination: a reappraisal. J App Lab Med 3(6): 925- 935, 2019
  • Cornes MP et al. Spurious hyperkalaemia due to EDTA contamination: common and not always easy to identify. Ann Clin Biochem 45(6): 601- 603, 2008
  • Ijaz A et al. EDTA contamination in laboratory specimens- effect of an awareness campaign. J Coll Physicians Surg Pak 20 (6): 405- 407, 2010
  • Nielsen L et al. Low ratio of sodium to potassium in the serum of 238 dogs. Vet Rec 162 (14): 413- 435, 2008

linfocitosi matura 2

Linfocitosi Matura nel Cane e nel Gatto

linfocitosi matura 2

I linfociti sono la seconda popolazione numericamente presente nel sangue sia nel cane che nel gatto. La linfocitosi è un’alterazione abbastanza aspecifica e si verifica in corso sia di condizioni “parafisiologiche” sia in corso di patologie parassitarie, virali, batteriche, neoplastiche, endocrine ed immunomediate. Indagare questa alterazione ematologica avendo un ventaglio ampio di ipotesi diagnostiche, può essere una sfida per il clinico.

Quale è l’approccio diagnostico consigliato in corso di linfocitosi matura? Specifichiamo matura perché è evidente che la presenza di linfociti immaturi, atipici orienta verso differenziali unicamente neoplastiche. Dobbiamo innanzitutto rispondere a queste domande:

Di che entità numerica è la linfocitosi?

Aumenti lievi e moderati hanno numerose diagnosi differenziali, ma aumenti molto marcati (maggiori di 50-60.000 linfociti/microlitro) restringono il campo alle forme neoplastiche (leucemia linfocitica cronica, linfoma di basso grado V stadio).

Il paziente presenta un quadro clinico e clinico-patologico che possono chiaramente spiegarci la linfocitosi?

Il dato deve sempre essere interpretato insieme a segnalamento, anamnesi, quadro clinico e altri dati clinico-patologici avendo in mente l’elenco delle possibili diagnosi differenziali (vedi sotto).

La linfocitosi è persistente e/o ingravescente?

Quando viene rilevata una linfocitosi inspiegabile (paziente asintomatico oppure non è possibile identificare una causa), il primo passo è ripetere nel tempo l’esame emocromocitometrico per valutarne l’andamento. Linfocitosi transitorie parafisiologiche sono ad esempio quelle post-vaccinali, quelle del cucciolo (intervalli di riferimento diversi dall’adulto) o quelle secondarie al rilascio di catecolamine (nel gatto, in seguito a stress acuto). Una linfocitosi persistente anche in assenza di segni o sintomi clinici deve sempre essere approfondita. Nel caso in cui il numero dei piccoli linfociti tenda ad aumentare nel tempo, è più probabile che si tratti di una forma neoplastica.

Le cause di linfocitosi matura sono:

  • Fisiologica, legata all’età (cuccioli e gattini)
  • Indotta da stress acuto (gatto)
  • Reazione immunitaria post vaccinale
  • Patologie parassitarie (es: Leishmania, Toxoplasma, Babesia, Spirocerca lupi)
  • Patologie batteriche (es: Bartonella henselae (gatto) ed Ehrlichia)
  • Patologie virali (es: FeLV)
  • Anemia emolitica immunomediata (gatto)
  • Linfoma a piccole cellule V stadio
  • Leucemia linfocitica cronica (CLL)
  • Timoma
  • Morbo di Addison
  • Ipertiroidismo (gatto)

Linfocitosi inspiegabili e citometria a flusso

In assenza di condizioni cliniche e/o alterazioni clinico- patologiche (ivi compresi test per malattie infettive negativi ad esempio) che indirizzino verso una delle diagnosi differenziali qui sopra elencate e dopo aver confermato la persistenza della linfocitosi matura, il test meno invasivo e che può fornirci indicazioni essenziali è l’immunofenotipizzazione mediante citometria a flusso. Attraverso questa analisi è possibile nella maggior parte dei casi distinguere le linfocitosi reattive (infiammatorie, infettive) da quelle neoplastiche e in alcuni casi, in presenza di determinati fenotipi, giungere a una diagnosi definitiva (linfoma, leucemia). Nei casi in cui l’immunofenotipizzazione non fornisca risposte definitive, è consigliabile richiedere l’analisi della clonalità linfoide (PARR).

 

Bibliografia:

  • Schalm’s Veterinary Hematology. Weiss DJ, Wardrop KJ. Sixth edition. 2010
  • Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Colour Atlas. Harvey JV. First Edition. 2012
  • Avery AC, Avery PR. Determining the significance of persistent lymphocytosis. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2007 Mar; 37(2):267-82, vi.

 

 


agglutinaziner salina + caldo

Agglutina o non agglutina? Questo è il dilemma! Lavaggio degli eritrociti con soluzione fisiologica (Saline Agglutination Test)


La diagnosi di anemia emolitica immunomediata (IMHA) si basa sulla presenza di una serie di alterazioni clinico-patologiche che tanto più sono presenti tanto più la supportano. Tra le più importanti ricordiamo:

  • Presenza di sferociti (solo cane)
  • Presenza di ghost cells (cane e gatto)
  • Agglutinazione
  • Iperbilirubinemia, bilirubinuria
  • Policromasia (rigenerazione)
  • Test di Coombs o anticorpi anti eritrociti positivi

La diagnosi viene considerata “facile” quando sono presenti più di 2-3 di queste alterazioni. Sfortunatamente esistono casi seppur meno frequenti in cui nessuna di esse è presente, come ad esempio in corso di IMHA nei confronti dei precursori midollari.

Tra quelle citate forse la più importante e dotata di maggiore specificità per IMHA è la presenza di autoagglutinazione. Il principio per il quale si sviluppa agglutinazione è che gli eritrociti ricoperti di antigeni e anticorpi si “appiccicano” in modo piuttosto forte tra di loro, venendo a formare dei grappoli più o meno voluminosi. Se ne può sospettare la presenza osservando macroscopicamente il campione in provetta (FOTO 1), oppure mettendo un paio di gocce di sangue su un vetrino (FOTO 2); anche la lettura strumentale del campione risulta frequentemente alterata, con presenza di macrocitosi estrema e aumento inverosimile di MCHC.  In tutti questi casi la sospetta agglutinazione deve essere confermata eseguendo un lavaggio con soluzione fisiologica; questo test serve ad escludere che possa trattarsi di pseudo-agglutinazione (FOTO 3), causata dalla presenza di rouleaux (FOTO 4).

Si tratta di un test di facile esecuzione, che ciascuno può effettuare presso la propria struttura. La corretta procedura prevede di miscelare sangue da provetta EDTA con soluzione fisiologica in rapporto da 1:4 a 1:10; per non inondare il vetrino conviene utilizzare una eppendorf vuota, poi risospendere il campione e porre una goccia su vetrino. A questo punto sulla goccia viene posto un coprioggetto e il vetrino viene osservato al microscopio chiudendo il diaframma (come quando si esamina il sedimento urinario). In caso di pseudoagglutinazione gli eritrociti si staccano uno dall’altro e fluttuano liberi nella soluzione (FOTO 5), mentre in caso di agglutinazione si visualizzano ancora i grappoli (FOTO 6).

Rilevare la presenza di agglutinazione è estremamente utile per indirizzare il sospetto diagnostico: alcuni lavori hanno stabilito per questo test una specificità molto elevata (85-100%), che significa che è estremamente improbabile che un paziente che agglutina non abbia una IMHA (falso positivo). Viceversa, un test negativo non consente di escludere del tutto un’emolisi immunomediata poiché in non rari casi non sono presenti immunoglobuline in grado di formare legami forti. Un test di agglutinazione positivo consente anche di evitare ulteriori approfondimenti quali il test di Coombs o la ricerca di anticorpi anti-eritrocita, test che invece sono fortemente consigliati quando vi è il sospetto di IMHA ma non sono presenti le alterazioni classiche sopraelencate.

Bibliografia:

  • Garden OA et al. ACVIM consensus statement on the diagnosis of immune- mediated hemolytic anemia in dogs and cats. 2019. J Vet Intern Med.;1–22.
  • Caviezel LL, Raj K, Giger U. Comparison of 4 direct Coombs' test methods with polyclonal antiglobulins in anemic and nonanemic dogs for in-clinic or laboratory use. 2014 J Vet Intern Med. 28:583-591.
  • Paes G. et al.The use of the rapid osmotic fragility test as an additional test to diagnose canine immune-mediated haemolytic anaemia. Acta Vet Scand; 55:74.
  • http://eclinpath.com/hematology/morphologic-features/red-blood-cells/patterns/

sferociti corpo

Alterazioni morfologiche eritrocitarie: Sferocitosi

sferociti corpo
Biessea sferociti corpo

Gli sferociti sono eritrociti sfericizzati in seguito alla parziale fagocitosi di una parte della loro membrana da parte dei macrofagi: il classico pallore centrale non è più evidente e appaiono più piccoli degli altri eritrociti semplicemente perché sono rigonfi e non più piatti, ma il loro volume non è inferiore a quello degli altri RBC.  Gli sferociti sono facilmente identificabili nel cane, mentre nel gatto è praticamente impossibile distinguerli dagli eritrociti normali poiché questi ultimi mancano del pallore centrale; nella specie felina si utilizzano come marker di emolisi le ghost cells.

La sferocitosi marcata è patognomonica per anemia emolitica immuno-mediata (IMHA): gli eritrociti ricoperti da immunoglobuline vengono letteralmente morsicati dai macrofagi di fegato e milza (emolisi extravascolare) perdendo così la loro forma a disco biconcavo. Altre cause di sferocitosi meno comuni riportate in letteratura includono: danno ossidativo (zinco, paracetamolo), morso di vipera o di vespa, disordini istiocitari emofagocitici, deficienza dell’enzima piruvato chinasi nel Basenji, diseritropoiesi ed altre patologie che possono essere causa di frammentazione degli eritrociti (es. microangiopatie). In tutti questi casi il loro numero generalmente non è elevato.

In un paziente anemico, la presenza di ≥ 5 sferociti per campo ad immersione 100x è suggestiva di anemia emolitica immuno-mediata (IMHA) (63% sensibilità, 95% specificità). Quando si esamina lo striscio è molto importante scegliere l’area corretta dove identificarli: non verso la coda dove spesso tutti gli eritrociti sembrano perdere il pallore centrale (FOTO 1 cane, coda dello striscio non patologico), bensì nel corpo dello striscio, dove comunque è presente un monostrato (FOTO 2 cane, corpo dello striscio non patologico).

Nella maggior parte dei casi riconoscerli nel cane è semplice (FOTO 3 cane, anemia emolitica immunomediata dove sono visibili chiaramente sferociti); il caso più ingannevole nella nostra esperienza si verifica quando TUTTI gli eritrociti sono sferociti, per cui non avendo paragoni con eritrociti “sani” col pallore centrale, possono sfuggire. In questi casi è di fondamentale importanza valutare il caso nell’insieme: se il paziente è anemico, agglutina, rigenera, magari è anche itterico, deve venirci il dubbio che si tratti di una popolazione unica di sferociti! (FOTO 4 cane, anemia emolitica immunomediata con numerosissimi sferociti)

 

Bibliografia:

  • Garden OA et al. ACVIM consensus statement on the diagnosis of immune- mediated hemolytic anemia in dogs and cats. Journal of Veterinary Internal Medicine: 1–22, 2019
  • Harvey JV. Veterinary Hematology, a Diagnostic Guide and Color Atlas. First Edition Elsevier, 2012
  • Stockham SL and Scott MA. Fundamentals of Veterinary Clinical Pathology. Second edition Blackwell, 2008